sabato, 15 Febbraio 2025

GLI IMPRENDITORI STRANIERI INVESTONO PIÙ AL CENTRO-NORD

Sempre più imprenditori stranieri investono al Centro-Nord piuttosto che al Meridione. Le prime cinque regioni italiane dove si registra la più alta concentrazione di imprese straniere sono Lombardia, Lazio, Toscana, Emilia-Romagna e Veneto. «Questi dati sono compatibili con un tasso di imprenditorialità generale significativamente più basso al Sud. Non c’è quindi da stupirsi», dice Elena Grinza, ricercatrice al Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione del Politecnico di Torino. Tra le prime trenta province italiane che hanno avuto il maggiore tasso di crescita di attività guidate da immigrati, nel primo semestre 2021, solo quattro si trovano nel Mezzogiorno: Taranto, Trapani, Brindisi e Lecce. «Le ragioni di questi trend sono molteplici e si possono in generale ricondurre alla minore attrattività del Sud per fare business. Sappiamo bene che il nostro Meridione è caratterizzato da un mercato del lavoro depresso, con consistenti fuoriuscite di capitale umano altamente qualificato verso il più dinamico Settentrione e verso altri Paesi avanzati – la cosiddetta fuga dei cervelli».

Quali fattori spingono gli stranieri a scommettere in questa parte di Paese e come mai si investe così poco al Sud?

«C’è un problema enorme legato all’insufficienza di infrastrutture, sia fisiche che digitali, e di inefficienza della PA. Tutti questi elementi scoraggiano l’imprenditoria in generale e tanto più quella immigrata che, per definizione, è più mobile. C’è poi da considerare un elemento molto importante tipico dell’imprenditoria immigrata: l’effetto traino. La nascita di nuove imprese immigrate è fortemente collegata alla presenza di altre imprese immigrate nello stesso settore di attività economica, nella stessa provincia e nello stesso paese di origine. Se guardiamo a questo effetto da una prospettiva geografica, la minore presenza di imprese immigrate nel Mezzogiorno è accompagnata da una più bassa apertura di nuove imprese immigrate al Sud, con la conseguente impennata della forbice tra Settentrione e Meridione».

Imprenditori

Nel primo semestre del 2021 si sono registrate +16mila imprese guidate da stranieri in Italia, contro le +10mila del 2019, superando così i livelli pre Covid-19. Un forte impatto per l’economia italiana. Quanto è importante?

«Tra il 2019 e il 2020, si è registrato un saldo positivo di circa 17.600 unità, con un tasso di crescita del 2,9% rispetto all’anno precedente. Questa espansione è ancora più evidente se consideriamo il medio-lungo periodo: tra il 2011 e il 2018, le imprese a titolarità immigrata sono cresciute di circa il 30%. A fronte del grande sviluppo di questo tipo di imprese, le attività imprenditoriali a conduzione italiana hanno subito un calo significativo, che ormai ci portiamo dietro da più di un decennio. Tra il 2011 e il 2018, le imprese italiane sono diminuite di quasi il 3% e durante la pandemia il tasso di chiusura ha subito un’impennata».

La forza degli imprenditori immigrati e delle imprese da loro fondate e gestite sta nell’estrema duttilità e nella capacità di adattamento alle esigenze del mercato, occupando spazi lasciati liberi dai nativi, garantendo flessibilità negli orari di lavoro, disponibilità agli spostamenti, varietà dei prodotti offerti e costi contenuti. Come si evolverà l’economia in Italia in tal senso?

«Gli imprenditori immigrati sono riusciti in questi ultimi anni a conquistare posizioni molto competitive in svariati settori dell’economia. Pensiamo, per esempio, al commercio al dettaglio, al settore dei servizi alla persona e a quello delle costruzioni in cui, tra l’altro, l’incidenza degli immigrati è molto alta (sopra il 16%). In questi settori, gli imprenditori immigrati sono in grado di offrire prezzi competitivi anche a fronte di una buona qualità dei prodotti e dei servizi. Orari di apertura più lunghi e flessibilità maggiore sono ulteriori punti di forza. Chiaramente, questo immette nel sistema economico un maggiore livello di pressione competitiva, che è positivo per i consumatori finali e per l’economia nel suo complesso».

Quanti italiani lavorano nelle imprese guidate da stranieri?

«Purtroppo, non ci sono dati diretti al riguardo. Tuttavia, guardando ad altri dati, tutto fa pensare che le imprese guidate da stranieri tendano ad assumere altri lavoratori immigrati, possibilmente dello stesso paese di origine. Sappiamo, per esempio, che la stragrande maggioranza delle imprese straniere (ovvero quelle con una quota maggioritaria di soci o amministratori nati all’estero) è gestita al 100% da immigrati, sottolineando così una scarsissima interazione tra imprenditori stranieri e nativi».

Tre imprese guidate da immigrati su quattro sono individuali. Il 16,5% una società di capitale, il 6,1% una società di persone, l’1,3% cooperative, lo 0,1% consorzi e lo 0,2% altre forme di natura giuridica. In che modo il Governo italiano può sostenere gli imprenditori stranieri?

«Sappiamo bene che il tessuto industriale italiano è caratterizzato da una prevalenza di micro-imprese (quelle con meno di 10 dipendenti), con tutti i contro della piccola dimensione, per esempio: maggiore difficoltà di raggiungere i mercati internazionali, attrarre talenti o raggiungere economie di scala. Questo elemento della dimensione è, se possibile, ancora più accentuato tra le aziende a titolarità immigrata: il 97,5% di queste ha meno di 10 dipendenti. Ben venga un’imprenditoria straniera capace di dare lavoro a individui non altamente qualificati, ma è cruciale puntare anche sulla capacità di attrarre immigrati con elevate competenze che possano fare impresa nella nostra nazione e dare una spinta innovativa e competitiva al Paese».

Non favoriscono la nascita e la crescita dell’imprenditoria immigrata: difficoltà di accesso ai finanziamenti, fattori normativi e politiche migratorie in essere. Ci sono agevolazioni fiscali e/o regimi fiscali preferiti?

«Credo che i problemi da risolvere siano di due ordini. Il primo è orientato, per così dire, verso l’interno. Servono investimenti su reti infrastrutturali, sia fisiche sia digitali. Serve, altrettanto, una PA più snella ed efficiente. A latere, serve investire sulle competenze degli individui, italiani o immigrati che siano. Abbiamo bisogno di più laureati e di persone altamente qualificate, specialmente con competenze tecnico-scientifiche. Il secondo ordine di problemi da risolvere è invece, per così dire, verso l’esterno. Servono azioni concrete, come corsi di lingua italiana a chi arriva nel nostro paese, corsi in cui si spiegano chiaramente i diritti e i doveri basilari in vigore in Italia e, ancora, corsi su come si può aprire un’impresa da noi. Politiche per incrementare l’interazione tra gli immigrati provenienti dai vari Paesi e di questi ultimi con i nativi sono altresì cruciali, anche nell’ottica di ridurre la tendenza alla segregazione di certi immigrati in certi settori, che spesso non permette agli immigrati stessi di cogliere opportunità migliori».

Cresce in Italia il numero delle imprenditrici di origine straniera. Esistono delle differenze e quali sono, in ordine di grandezza, i fattori di attrazione per le imprese femminili e maschili?

«Negli ultimi 20 anni, il trend è stato in sostanziale crescita e, ad oggi, le donne rappresentano circa un quarto degli imprenditori stranieri. In un recente studio, condotto da me insieme ad Alessandra Colombelli (Politecnico di Torino), Valentina Meliciani (LUISS) e Mariacristina Rossi (Università di Torino), ci concentriamo proprio sul tema dell’imprenditoria immigrata, con particolare riferimento alle donne. In questo lavoro, esploriamo i meccanismi di formazione di nuove imprese a titolarità immigrata e troviamo un significativo effetto network. Per le donne però vediamo che risulta molto meno potente rispetto a quello degli uomini, un fenomeno questo che potrebbe essere dovuto alla minore possibilità delle prime – per esempio – di costituire reti di relazioni utili ai fini dell’attività lavorativa. Un altro risultato interessante è che il modo in cui l’effetto network differisce tra uomini e donne è influenzato enormemente dal grado di disuguaglianza di genere nei Paesi di origine degli immigrati. Chi proviene da Paesi egualitari non presenta differenze significative, mentre le femmine originarie di Paesi con spiccate diseguaglianze di genere presentano una rete di contatti decisamente inferiore rispetto a quella creata dagli uomini».