In Italia, l’inclusione finanziaria degli imprenditori stranieri gode di buona salute. Le small business a titolarità immigrata con un conto corrente dal 2010 al 2018 sono cresciute a un tasso medio dell’8% annuo. Un terzo sono guidate da donne. «Il processo di bancarizzazione delle imprese straniere è in rapida evoluzione», dice Daniele Frigeri, direttore CeSPI (Centro Studi di Politica Internazionale) e dell’Osservatorio sull’Inclusione Finanziaria dei Migranti. «Rimangono alcune fragilità: dimensioni mediamente micro, bassa capitalizzazione, prevalentemente dedicate a un mercato locale. Elementi che si riflettono sull’accesso al credito: solo il 38% delle small business a titolarità immigrata hanno in essere al 31 dicembre 2018 un credito in un’istituzione finanziaria (indipendentemente dalla forma tecnica). Nel 2010 questa percentuale raggiungeva il 56%». Questi e altri dati sono contenuti in un rapporto curato dal CeSPI e da Deloitte Consulting nell’ambito del progetto Futurae – Programma imprese migranti, promosso nei mesi scorsi dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali e realizzato con il supporto di Unioncamere e delle Camere di commercio, grazie al quale è stato creato un Osservatorio sull’inclusione socio-economica e finanziaria delle imprese gestite da migranti che ha permesso rilevare i dati 2021 ed elaborare quelli del 2018.


Come viene percepita la banca dagli immigrati: un luogo dove ottenere credito, un consulente-consigliere per le proprie esigenze finanziarie, una scelta obbligata per vivere e lavorare in Italia o un luogo sicuro dove mettere i propri risparmi?
«Per il 48% del campione la banca è un luogo sicuro dove mettere i propri risparmi. Il 33% è consapevole che l’inclusione finanziaria rappresenti una scelta obbligata per vivere e lavorare in Italia. Il 13% la vede come luogo dove ottenere credito. Un dato importante, in ottica evolutiva, è la percezione della banca come consulente e consigliere per le proprie esigenze finanziarie, che cresce di 4 punti percentuali rispetto al 2011».
Negli ultimi anni la bancarizzazione tra gli stranieri è in aumento. Ciò significa che sempre più migranti hanno i requisiti base per essere integrati nel sistema finanziario formale. Come supportare, rafforzare e sostenere al meglio le politiche e le iniziative di inclusione finanziaria?
«Nel 2010 solo il 61% degli stranieri adulti era titolare di un c/c presso le banche o bancoPosta, nel 2018 la percentuale ha raggiunto l’80% anche grazie a un atteggiamento proattivo degli operatori finanziari che hanno attivato molteplici iniziative di welcome banking e di inclusione finanziaria. La sfida oggi è quella di includere i nuovi arrivi (in particolare i richiedenti asilo) e i segmenti più vulnerabili che ancora sono esclusi. Ma allo stesso tempo non va dimenticato che l’inclusione finanziaria è un processo e lo straniero è un cliente che mantiene alcune peculiarità e fragilità. Tra questi, redditi mediamente più bassi e ostacoli legati alla lingua. Bisogna attuare strategie adeguate e diversificate, capaci di tenere insieme un approccio inclusivo universale senza trascurare le specificità del migrante. Un approccio che faccia leva sul legame risparmio-credito-investimenti in un’ottica di medio periodo».
Emerge l’esigenza di un approccio di sistema, attraverso l’interazione dei diversi stakeholder coinvolti…
«Il campo dell’educazione finanziaria è sicuramente l’ambito in cui tale collaborazione può più facilmente esplicarsi, ma anche lo sviluppo di strumenti finanziari e strategie costruite su un profilo tipico dei low-income che approcci i tre ambiti dell’inclusione finanziaria: l’accumulo del risparmio, la sua protezione (mondo assicurativo) e l’accesso al credito, che possono avere un impatto anche sui segmenti finanziariamente più fragili della popolazione italiana nel suo complesso».
Quali sono i prodotti bancari su c/c retail che gli stranieri usano di più?
«Abbiamo realizzato un’indagine lato operatori in collaborazione con Abi (Associazione Bancaria Italiana), Poste Italiane e Assofin (solo con riferimento all’analisi lato operatori finanziari). Oltre a Poste e agli operatori di credito al consumo, il lavoro ha coinvolto un campione di banche che rappresenta il 63% degli impieghi e il 55% degli sportelli appartenenti al mondo bancario. Sulla base dei dati raccolti (riferiti al 31 dicembre 2019) i servizi di pagamento sono in assoluto la categoria di servizi più utilizzati (carte di debito, con e senza IBAN, bancomat e prepagate) e in continua crescita negli anni. In media un correntista retail straniero possiede quasi tre strumenti di pagamento. Al secondo posto i depositi a risparmio (libretti di deposito). In media uno ogni due correntisti. Da segnalare la crescita dell’internet banking che secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale sull’Inclusione Finanziaria dei migranti nel 2011 riguardava il 23% dei correntisti, nel 2018 raggiunge il 62%. Fra gli strumenti di finanziamento si segnalano i mutui che caratterizzano il 10% dei correntisti. Infine, due fenomeni nuovi e importanti, la crescita dell’incidenza dei prodotti assicurativi (diversi dall’RC auto-moto) che passano dal 30 nel 2011 al 54% del 2018 (un correntista su due ha un prodotto assicurativo ramo vita o danni) e la crescita dei servizi di investimento che passano dal 14% (2011) al 27% (2018), più di un quarto dei correntisti».

Quanti stranieri ricorrono al credito informale per avviare una nuova attività imprenditoriale?
«L’indagine campionaria 2021, che comprende un sottocampione di 80 imprese, consente di evidenziare due dati importanti. Emerge come nel 64% dei casi l’impresa sia stata avviata con risorse proprie e per il 23% con risorse cosiddette informali, ovvero prestiti di piccoli importi di denaro tra amici, familiari e conoscenti. Per il 20% dei casi le risorse sono state ottenute attraverso crediti formali (la percentuale totale è superiore a 100% perché la domanda prevedeva risposte multiple). Con riferimento invece alla domanda “a chi ti rivolgi primariamente se hai bisogno di credito” gli imprenditori immigrati hanno risposto che ricorrono al credito informale per il 10% dei casi».
Dove e in quale misura viene allocato il risparmio degli stranieri?
«Due sono gli aspetti da considerare sotto questo punto di vista: il processo di allocazione del reddito fra consumo, risparmio e investimenti e il processo di allocazione del risparmio fra l’Italia e il Paese di origine. Un primo indicatore riguarda la propensione al risparmio, ossia la percentuale di reddito non destinata ai consumi che si colloca al 27%. Un secondo indicatore riguarda la destinazione geografica del risparmio: circa un quarto (il 26%) prodotto viene inviato nel Paese di origine sottoforma di rimesse. Se il 74% del risparmio si ferma in Italia, una quota significativa, quasi un terzo del complessivo, viene destinato a investimenti, mentre la restante parte accumulata. Anche rispetto a questo dato l’indagine consente un approfondimento. Dove viene allocato il risparmio? Il 21% resta ancora in casa, sottoforma di contante, il 3% alimenta circuiti di credito/risparmio informale e il 76% viene intermediato dal sistema finanziario».
Nel 2017 l’INPS ha documentato un saldo annuo positivo netto di 5 miliardi tra contributi sociali versati e prestazioni sociali ricevute dagli immigrati. Non bisogna dimenticare, però, il peso della Noe (Non observed Economy), tutte quelle attività che sfuggono all’osservazione statistica diretta per diverse motivazioni, tra cui, attività illegali o celate volontariamente al fisco. Che cosa si può fare?
«Regolarizzazione: la presenza di segmenti della popolazione immigrata senza uno status legale (permesso di soggiorno) rappresenta un incentivo all’impiego in attività sommerse per entrambi le parti. Strumenti di emersione del lavoro nero che mettano in moto processi virtuosi e non solo punitivi, attraverso incentivi sia per gli individui che per le imprese. Maggiore accessibilità da parte dei migranti a strumenti di informazione ed educazione sui diritti, a servizi a supporto dei lavoratori accessibili e tutelanti e a forme partecipative sui territori. Ma anche una maggiore formazione dal lato degli imprenditori, attraverso una loro maggiore responsabilizzazione».