venerdì, 26 Aprile 2024

CROWDFUNDING, VOLANO I FASHION INVESTMENTS

Con un volume di investimento acquisito nel 2021 di 5,6 milioni, diviso tra 494 investitori, il settore moda è legato a doppio giro all’equity crowdfunding. Un trend in continuo aumento che sembra destinato a ottenere successi ancora maggiori. «La crescita a doppia cifra è una situazione che si perpetua di semestre in semestre: lo scorso anno si sono toccati i 100 milioni, quest’anno si potrebbe arrivare a 200 sull’equity crowdfunding e sul lending volumi molto più alti», spiega Alessandro M. Lerro, Presidente dell’Associazione Italiana Equity Crowdfunding e Presidente del Comitato Scientifico di AssoFintech. «Dati dell’Università di Cambridge indicano che l’Italia nel 2020 è stata nel complesso la prima in Europa per finanza alternativa con 1,8 miliardi di raccolta, divisi in circa un miliardo proveniente dall’invoice trading, e circa 800 milioni da lending ed equity. Il risultato di questo semestre non stupisce quindi, è una crescita continua».

Come mai?

«L’Italia è partita con un grande ritardo a livello di business – sebbene si sia mossa per prima nel mondo a definire normativa sul crowd investing – e quindi ne vediamo solo ora risultati rilevanti. A mio avviso qui il successo è dovuto alla coincidenza di due fattori: la crisi dei rendimenti bancari e la diffusione della digitalizzazione che oggi rende possibile per qualsiasi italiano cercare opportunità di investimento online. Il 10 novembre poi entrerà in vigore il regolamento europeo sul crowd investing che consentirà ai portali di fare un’attività di offerta al pubblico in tutta Europa e quindi a un mercato enormemente più grande di quello del singolo Paese: le cose quindi possono solo migliorare».

E per quanto riguarda il fashion?

«Sul crowd investing c’è una grossa spinta digitale; il settore immobiliare sta riscuotendo grande successo grazie alla relativa semplicità dell’investimento immobiliare; ma nel medio e lungo periodo i settori più interessati sono quelli collegati alle nostre industrie più forti, come la moda. Credo che davvero il fashion sia una delle aree in cui ci sono delle potenzialità ancora inespresse e che il tasso di crescita sia destinato a crescere molto di più rispetto ad altri settori imprenditoriali».

Qual è la forma di crowdfunding il cui la moda vede i maggiori successi?

«Il crowdfunding reward (che attualmente è diventato un sistema di prevendita) ha avuto dei risultati importanti a livello internazionale, con raccolte che hanno superato il milione di euro, in genere per campagne per capi di abbigliamento caratterizzati da una certo grado di innovazione o di design. Questo modello, adatto a chi si trova in una fase in cui c’è necessità di raccogliere risorse finanziarie prima di andare in produzione, è passato in secondo piano con l’esplosione del crowd investing. Per avviare un’attività imprenditoriale infatti è più utile utilizzare l’equity, mentre per chi è ancora più avanti nella vita aziendale o per certi tipi di progetti la soluzione può essere il lending crowdfunding che consiste in un’attività di prestito. Quest’ultima opzione è particolarmente interessante per la moda, perché le banche per concedere i prestiti hanno dei criteri di valutazione del progetto che non sempre riescono a essere rispettati in un settore in cui ha volte è necessario arrivare alla terza collezione affinché l’attività cominci ad avere qualche forma di ritorno».

Il successo del settore moda nel crowdfunding è un fenomeno internazionale o interessa solo il Made in Italy?

«All’estero sono i progetti più tecnologici come il fintech o digitale a ottenere i risultati migliori con il crowd investing perché c’è una stretta sinergia tra la raccolta online e il target. In Italia invece questo strumento si sposa molto bene con la capacità del nostro settore imprenditoriale di sviluppare realtà molto piccole, nate magari intorno a un creativo. Per questo credo che l’Italia abbia una potenzialità enorme nei settori che la caratterizzano, come il fashion e il food».

Quante sono le piattaforme che permettono di investire con il crowdfunding?

«Le piattaforme di equity sono circa 50 e sono tutte iscritte presso la Consob. Per quanto riguarda il lending crowdfunding sono circa 30, ma sarà più facile censirle dopo il 10 novembre, sulla base della nuova normativa comunitaria».

Per le aziende del fashion il crowdfunding rappresenta una modalità di finanziamento alternativa o si integra alle strade “tradizionali”?

«Il crowdfunding non va considerato una modalità di finanziamento alternativo nel senso che esclude quelle tradizionali. C’è una concorrenza tra questi strumenti e anzi il successo di una campagna di crowdfunding viene considerato dalle banche un elemento di validazione. Per questo a mio avviso il crowd investing va utilizzato in sinergia con i canali di finanza tradizionali: stiamo assistendo a un cambiamento nella finanza delle imprese».

Quali sono gli svantaggi di scegliere il crowdfunding?

«Non ci sono veri e propri svantaggi, ma spesso è un percorso che viene affrontato con superficialità. Il fatto di trovarsi in pochissimo tempo con molti soci non è facile da gestire; esistono però degli strumenti legali per farlo, che permettono ai soci di seguire il loro investimento e all’azienda di non avere da gestire la complessità e il costo legato alla compagine sociale. Non bisogna pensare che il crowd investing sia come altre attività online che si possono svolgere gratis e in pochi secondi. È un’attività che richiede una preparazione professionale che tuteli gli investitori e che permetta di creare una realtà imprenditoriale con solide possibilità di avere
successo».

Laureato in Economia, Diritto e Finanza d’impresa presso l’Insubria di Varese, dopo un'esperienza come consulente creditizio ed un anno trascorso a Londra, decido di dedicarmi totalmente alla mia passione: rendere la finanza semplice ed accessibile a tutti. Per Il Bollettino, oltre a gestire la rubrica “l’esperto risponde”, scrivo di finanza, crypto, energia e sostenibilità. [email protected]