venerdì, 8 Novembre 2024

Moda e ripartenza: si torna in passerella. Costa, segretario gen. Assomoda: «Giro d’affari da più di 90 mld che dà lavoro a oltre 1 milione di addetti»

Sommario

Con il ritorno sulla passerella, il rilancio della moda è davvero partito. Dal 18 al 22 giugno si terrà la “Milano Fashion Week Men’s Collection”, dal 30 giugno al 2 luglio, ci sarà il Pitti di Firenze. E anche Torino annuncia il suo appuntamento internazionale, “Hoas – History of a Style” al Lingotto dal 25 al 28 novembre. «Il via libera allo svolgimento di iniziative con presenza fisica degli addetti ai lavori è stato un passaggio cruciale per la maggior parte dei comparti economici, ma in modo particolare per la moda, che ha un’intrinseca necessità di contatto interpersonale, a cui l’evoluzione digitale può venire solo parzialmente in soccorso», dice Massimo Costa, Segretario Generale di Assomoda

«Altri settori, come il turismo e lo spettacolo, hanno subito danni enormi dalla crisi indotta dai lockdown, ma il settore della moda non ha ricevuto quella speciale attenzione che il suo rilievo socio-economico avrebbe dovuto richiamare. Spesso si dimentica, anche da parte delle Istituzioni, il ruolo straordinario che l’industria del fashion occupa nell’economia e nella reputazione internazionale del nostro Paese».

I numeri parlano da soli…

«La filiera della moda in Italia offre occupazione a circa 550mila addetti dell’industria manifatturiera e a circa 600mila nell’ambito commerciale e dei servizi, quindi sono ben più di un milione di addetti (dato del 2019); produce un fatturato di oltre 90miliardi che, a seguito della pandemia, non perderà meno del 25% rispetto al 2019, dopo aver perso fino al 45% nel secondo semestre del primo lookdown. E, non dimentichiamo poi il saldo commerciale, in base al quale la moda è il secondo settore per contributo all’aumento dei numeri dell’export, con un peso specifico complessivo che raggiunge circa il 12%, a evidenziare quanto il tessile/moda rappresenti un settore strategico per l’Italia, come lo è l’automotive per la Germania, che però mette in campo ben altre risorse per sostenerlo».

Ora però l’attenzione è tutta sul Recovery Plan e sugli oltre 200 miliardi in arrivo nei prossimi anni…

«Sarà essenziale presentare progetti chiari e condivisi su aspetti come la sostenibilità ambientale, la digitalizzazione, l’internazionalizzazione e, last but not least,  la formazione professionale. Sono tutti aspetti sui quali, anche nell’ambito di Assomoda, si è discusso e ci si confronta costantemente, con la convinzione che la filiera della moda possa dare un apporto significativo al problema della disoccupazione sia giovanile sia femminile e a quello conseguente del ricambio generazionale. Probabilmente, ancora una volta, la moda dovrà sforzarsi a “fare sistema”, a produrre quel gioco di squadra che può rendere più efficace e concreta la rappresentazione delle esigenze del settore. D’altra parte, la filiera vede diversi soggetti e associazioni in campo, con interessi non sempre convergenti tra chi produce e chi vende moda».

La pandemia ha modificato davvero la propensione all’acquisto e il rapporto tra i brand della moda e i consumatori?

«Il rapporto tra brand e consumatori stava già cambiando, direi in modo piuttosto veloce, già prima della crisi indotta dal coronavirus. Fondamentale, nel processo di cambiamento, è stata la trasformazione digitale che sta attraversando in modo profondo l’economia, la politica e più in generale le relazioni sociali. Mi riferisco alla diffusione ampia dei social network e all’accesso per mezzo di vari device a internet.
L’insieme delle cose ha delineato un consumatore molto diverso da quello di un decennio fa, che oggi potremo chiamare “un consumattore”, o addirittura “un consumautore”, il quale vuole essere protagonista assoluto nel processo di acquisto. Il passaggio nella catena di creazione del valore si è verificato e si sta definendo sempre più chiaramente, con una cessione di centralità del prodotto/collezione a beneficio del consumatore e con la conseguenza di una serie di cambiamenti nelle funzioni aziendali, nel ruolo che devono giocare gli agenti e i distributori e, soprattutto, nell’evoluzione che sono costretti a percorrere i negozi, per non rimanere schiacciati dall’avanzata dirompente del canale e-commerce».

Sono due i temi fondamentali che il Covid ci ha insegnato: l’importanza del digitale e la sostenibilità. Per quanto riguarda il primo aspetto, come cambierà la moda dopo l’esperienza pandemica?

«Il Covid-19 ha accelerato la diffusione del digitale e spinto la maggior parte degli operatori, a monte e a valle della filiera, a introdurlo e utilizzarlo nella propria gestione aziendale. Anche le showroom della moda, in particolare plurimarca, che rappresentano il nucleo storico di Assomoda hanno intrapreso percorsi di sviluppo di questo genere, sia individualmente sia in forma collettiva. Lo stesso è a dirsi per i negozi, che non potevano rimanere inerti di fronte alla digitalizzazione dei processi di vendita. Per le showroom, non solo quelle con propensione internazionale, si trattava di mantenere un contatto positivo con i clienti, ai quali era necessario mostrare le collezioni e garantire un adeguato approvvigionamento, pur in condizioni di grave difficoltà durante i lookdown.
Il tema della salute pubblica ha influito ulteriormente nell’organizzazione dei rapporti commerciali in un’ottica di distanziamento e di sicurezza, rendendo fondamentale l’utilizzo del supporto “virtuale”. Ciò detto, occorre chiarire che, secondo l’opinione di molti addetti ai lavori e anche a mio modesto avviso, l’evoluzione digitale non può sopperire al bisogno di un contatto fisico con il prodotto moda da parte del consumatore. Poter vedere, toccare, provare gli abiti e gli accessori, rimane una sequenza di azioni fisiche irrinunciabili, che rappresentano un elemento peculiare dell’acquisto di moda».

Si prospetta già un nuovo modello di business?

«Il nuovo modello di business è nato e si sta sviluppando sulla spinta del concetto di omnicanalità, che preferisco declinare in “crosscanalità” per rendere più efficace il percorso che deve portare ad un incontro virtuoso tra il fisico e il digitale attraverso una costante integrazione. Credo che si arriverà presto a una sostanziale “liquefazione” (dalla società liquida di Bauman) dei confini tra fisico e virtuale e ritengo che, nel retail, ci troveremo di fronte a punti vendita integrati nei quali fare acquisti con modalità differenti, secondo dinamiche che saranno un mix tra digitale ed esperienziale.
I temporary shop, che seguo da anni con un’Associazione denominata Assotemporary, insegnano che anche, oggi soprattutto, chi opera nel canale web ha necessità di avere un approccio reale e concreto con il cliente/consumatore e, dunque, utilizza location temporanee per rendere più visibile e riconoscibile il proprio brand. Aggiungo che, per molte aziende della moda, l’utilizzo del locale a breve termine è ormai divenuto una leva di marketing irrinunciabile».

Moda circolare e pulita sono le nuove parole d’ordine. Il termine sostenibilità è talvolta abusato, ma per la moda è un passaggio fondamentale

«Direi che la sostenibilità rappresenta per la moda una visione strategica, che si combina, pur non esaurendosi in esso, con il concetto di innovazione. Pensiamo ad alcuni temi di investimento, sui quali non dovrà mancare il sostegno pubblico, che saranno essenziali: l’ideazione e la realizzazione di materiali “eco-friendly”, lo sviluppo di modelli di slow fashion, l’utilizzo di materiali biodegradabili per il packaging e gli imballaggi, modelli di sostenibilità che poggino su sistemi di intelligenza artificiale e ancora il riuso e il riciclo dei prodotti. Un insieme di azioni e opportunità che certamente creano innovazione, ma soprattutto possono consentire alla moda, tra i settori più inquinanti, di offrire un forte contributo alla salvaguardia del pianeta in termini di prevenzione di diverse specie, del degrado di importanti ecosistemi naturali e del riscaldamento globale».

“Hoas – History of a Style” al Lingotto dal 25 al 28 novembre. Assomoda ha dato il suo patrocinio a questa seconda edizione all’insegna del green. Di cosa si tratta e qual è la filosofia dell’evento? 

«Oltre al patrocinio, saremo sempre noi a organizzare, probabilmente nella giornata inaugurale, un convegno dedicato ai temi portanti dell’evento e sarà pertanto un momento di particolare approfondimento. Assomoda, che presidia il comparto della distribuzione della moda, vuole trasmettere in questa occasione un chiaro messaggio di sostegno a questo passaggio epocale verso una moda più responsabile e a “misura d’uomo”, convinta altresì del valore immenso che ricopre in Italia e nel mondo il Made in Italy, ormai non più un semplice modo di dire ma un vero e proprio brand che non sarà più solo appannaggio delle griffe stellari, ma che comprenderà quella miriade di laboratori artigianali e di microimprese, quell’universo di agenti, distributori, titolari di showroom e negozi indipendenti, i quali concorrono insieme alla realizzazione del “bello e ben fatto” tipico italiano».             

©  Simona Sirianni