martedì, 16 Aprile 2024

GERMANIA, PENNISI: «IL POST ELEZIONI, LE RELAZIONI CON I PAESI EUROASIATICI E GLI AFFARI CON L’ITALIA (116 MLD NEL 2020)»

Dal risultato delle elezioni in Germania dipende, in gran misura, il futuro dell’Italia. Le economie dei due Paesi sono strettamente connesse: Germania e Italia vantano una collaborazione consolidata e dinamica. Prima economia dell’UE e responsabile per circa il 30% del PIL totale dell’Eurozona, il Paese guidato per 16 anni da Angela Merkel condivide con noi una struttura che fa perno sull’industria manifatturiera e orientata all’export e su un sistema di piccole e medie imprese (Mittelstand) fortemente internazionalizzate. Dal punto di vista commerciale, l’importanza reciproca delle relazioni bilaterali è testimoniata innanzitutto dall’elevato volume dell’interscambio italo-tedesco, che nel 2020 ha raggiunto i 116 miliardi di euro, -8,7% rispetto al 2019 a causa della crisi legata alla pandemia. Nel 2020 le esportazioni italiane verso la Germania hanno raggiunto i 55,7 miliardi di euro (circa il 12,8% delle esportazioni italiane), mentre le importazioni tedesche in Italia sono arrivate a 60,3 miliardi.

«I rapporti tra Italia e Germania restano su una nota piuttosto positiva», dice Riccardo Pennisi, analista politico dell’Aspen Institute Italy. «Che l’Italia sia governata da una coalizione che ha messo in difficoltà i partiti estremisti non può che fare piacere alle istituzioni tedesche, da sempre convinte dei benefici dei governi di coalizione tra partiti anche molto diversi. In ogni caso, Roma e Berlino sono anche divise da interessi divergenti. Per cominciare appunto dalla struttura dell’Eurozona – non è affatto detto che i socialdemocratici siano più morbidi di Angela Merkel su questo punto – ma anche dalle varie questioni geopolitiche: la Germania non è abituata a guardare a Sud e al Mediterraneo, dove invece si concentrano i dossier delicati per l’Italia, mentre è impegnata a definire le sue difficili relazioni con il grande spazio euroasiatico, cioè con Cina e Russia. Molto dipenderà anche dalle prossime elezioni francesi (maggio 2022)».

Nell’Unione Europea sta per aprirsi una stagione di riflessioni profonde: si va dalla revisione del Patto di stabilità, dossier delicato, alle politiche ambientali e la transizione energetica, il rapporto con gli Stati Uniti, le relazioni con Cina e Russia solo per citarne alcuni. La posizione di Berlino sarà determinante per deciderne l’orientamento…

«Sì lo è, o almeno è molto rilevante su ogni decisione dell’Unione Europea. In questo caso, la coalizione plurale potrebbe complicare le cose: quattro anni fa, l’ingresso dei liberali al governo saltò sulla questione dei rifugiati. Come sempre, i partiti rispondono per prima cosa all’elettorato del proprio Paese: nemmeno Angela Merkel è sfuggita a questa regola e nel suo lungo regno le decisioni dell’Unione Europea hanno spesso sottostato alle logiche della politica interna della Germania».

Infatti, si avvia verso la creazione di una coalizione di governo composta da almeno tre partiti. Una Germania che si trova quindi senza Merkel e senza un chiaro vincitore: che quadro complessivo si va componendo?

«In valori assoluti il risultato della SPD di Olaf Scholz non è molto brillante. La CDU però ha perso il 9% ed è al minimo storico, i Verdi hanno fallito l’assalto al cuore del potere e i Liberali sono rimasti stabili. La SPD invece ha invertito un trend discendente ed è riuscita a recuperare molti voti all’Est. La “palla” è in mano a Olaf Scholz: starà alla sua abilità non farsela rubare, componendo una coalizione di governo che ruoti attorno al suo partito, magari sia con i Verdi che con i Liberali dentro, in cui sia l’ago della bilancia. Deve stare attento: una coalizione simile è possibile anche con la CDU».

In attesa di conoscere quale coalizione governerà la prima economia europea, l’Europa può dirsi soddisfatta? Quanto influirà il nuovo voto sui Paesi dell’Eurozona?

«È impossibile dissociare l’Unione Europea dalla Germania. Il voto tedesco del 2021 – al contrario di quello di quattro anni fa, dove i partiti estremisti erano cresciuti molto – è molto coerente con gli attuali equilibri di potere all’interno dell’Unione Europea. Ciò che accade in Germania non solo influisce ma produce la politica degli altri membri dell’Eurozona e della UE e questa volta non fa eccezione. Il nodo del futuro è la politica economica, soprattutto il dibattito sul Recovery Fund: i trasferimenti a beneficio dei Paesi più svantaggiati dell’Eurozona devono essere definitivi o quello attuale deve restare un unicum? La posizione della Germania sarà decisiva al riguardo». 

Nei 16 anni di governo di Angela Merkel la Germania ha consolidato la sua posizione come principale potenza economica europea nell’ambito di una fittissima serie di rapporti commerciali e finanziari con gli altri Paesi. Un modello che è apparso di grande successo. Ma è un modello pienamente sostenibile e di sicuro successo anche per il futuro?

«Nella lista dei vincitori del primo ventennio della moneta unica spicca il nome della Germania. Tuttavia la pandemia ha messo in evidenza dei punti critici del suo modello economico, tanto che la ripartenza tedesca non è stata affatto brillante, anzi: la sua economia esportatrice soffre molto i blocchi alle catene di produzione mondiali e il lento declino della globalizzazione, che era già in atto prima del Covid. Il nuovo governo dovrà decidere se attuare politiche espansive che stimolino i consumi e il potere d’acquisto dei tedeschi o aiutare le aziende in difficoltà. Non sarà un dibattito semplice, anche perché coincide con le esigenze della transizione energetica, che infatti in Germania non sta affatto decollando». 

Eurozona, America, Russia e Cina: i nodi da sciogliere sono colossali, come intende occuparsene la Germania attuale. 

«Sono sempre gli Stati Uniti a dettare il ritmo della geopolitica mondiale. In questo momento, la dottrina di Washington prevede quello che è stato chiamato un “doppio Occidente”: da un lato un fronte USA-Pacifico in chiave anti-cinese con gli alleati asiatici, dall’altro un fronte USA-Atlantico in chiave anti-russa con gli alleati europei. È chiaro che questa visione comprime e riduce il ruolo della Germania a quello di un qualsiasi comprimario, per di più obbligato a schierarsi senza se e senza ma con l’intransigenza di Washington quando i suoi interessi in Eurasia, appunto, spingerebbero verso dei compromessi con Mosca e Pechino. Prova ne è il gasdotto Nord Stream 2, che nonostante l’ostinata opposizione americana, presto raddoppierà la quantità di gas russo fornito alla Germania. Neanche i tedeschi amano il caro-bollette. Ma non sarà facile dire sempre no all’America e Berlino dovrà prendere delle decisioni difficili. Tra i partiti candidati a governare, il più filo-americano – specialmente ora che a Washington c’è Joe Biden – sono senz’altro i Verdi». 

Parliamo di rapporti commerciali: la crescita tedesca negli anni di Angela Merkel è legata al consolidamento di un modello economico fortemente votato all’export. Verrà mantenuto? Che cosa succede con questo nuovo risultato?

«Il modello industriale tedesco e la sua vocazione esportatrice sono nel DNA della Germania e non sarà una qualsiasi elezione a cambiarlo. La Germania può contare su un’enorme capacità tecnica e scientifica, su buoni tassi di innovazione, su un tessuto di imprese diffuso a tutti i livelli, su una mentalità industriale radicata anche a livello cellulare (un po’ come da noi accade in certe zone della Lombardia e del Veneto), sul mercato comune europeo e su finanze pubbliche in buona salute. Questo fa sì che produca molto più di quanto può consumare e deve esportare. Il suo debito pubblico è meno della metà del nostro e quindi ha potuto spendere quasi più da sola, per sostenere il proprio sistema economico-sociale durante la pandemia, che tutta l’Unione Europea con il Recovery Fund. Ma nella visione economico-politica tedesca il consolidamento di bilancio resta prioritario: è in questa direzione che saranno spesi i fondi del suo PNRR e il nuovo governo confermerà questa scelta, magari stanziando qualcosa in più per le imprese in nome della transizione ecologica».                           ©