venerdì, 26 Aprile 2024

CINA: IL BLACKOUT METTE IN GINOCCHIO LA GREEN ECONOMY

La crisi energetica cinese si abbatte sul mondo intero e Pechino corre immediatamente ai ripari rilassando le proprie restrizioni sulla produzione di carbone. Partiamo da un dato: la Cina produce i due terzi dell’elettricità nazionale grazie al combustibile fossile ma nonostante la grande importanza di quest’ultimo elemento, sono stati ben pochi investimenti nel settore. Anzi, il governo ha perseguito principalmente una politica limitativa, chiudendo numerose miniere. Il motivo? Pechino è seriamente intenzionata a raggiungere il net zero di emissioni entro il 2030. 

POLITICA GREEN – L’inquinamento e le politiche green sono definiti centralmente per ciascuna provincia cinese: a ciascuna vengono dati obiettivi specifici e relative scadenze. Molti dei target previsti sono legati al consumo di elettricità. L’implementazione è monitorata centralmente in maniera costante. Non riuscire a raggiungere i target stabiliti può minare la carriera degli ufficiali locali, perciò molte province hanno imposto limiti sull’utilizzo dell’elettricità, in particolare, ad aziende a consumo intensivo di energia come lavorazione dell’acciaio; tessile e beni manifatturieri. In alcuni casi è stato indiscriminatamente richiesto agli impianti produttivi di restringere la produzione a due o tre giorni a settimana. Gli analisti sono certi che non siano le politiche per contrastare il climate change i veri colpevoli ma la confusione regolamentare e problemi con la fornitura di carbone. 

ANTICORRUZIONE E CAP SUI PREZZI – La Cina chiude regolarmente piccole o inefficienti miniere e mette continue restrizioni sull’utilizzo del carbone. Lo scorso anno è stata avviata una politica di anticorruzione per cui molti centri estrattivi sono stati chiusi in occasione del 100esimo anniversario del Partito Comunista Cinese e delle miniolimpiadi domestiche a Shaanxi. Proprio a Shaanxi e Shanxi, nella Mongolia Interna, viene prodotta la maggior parte dell’energia del paese. Di conseguenza, la produzione di carbone è stata in costante caduta nei primi mesi del 2021 così come le importazioni a discapito di un prezzo alto e dazi su import altrettanto alti. La fornitura domestica vale il 90% del consumo ma anche l’import conta. Di recente, Pechino ha imposto sanzioni sul carbone australiano dopo che Canberra ha chiesto di investigare le origini del Coronavirus. Le sanzioni, le inondazioni in Indonesia e lo scoppio della pandemia in Mongolia hanno contribuito alla riduzione dell’import. Come se non bastasse, la Cina ha avuto un’estate eccezionalmente calda (climate change?). Il clima secco ha significato meno energia eolica e idrica. Le compagnie generanti di elettricità non sono state in grado di passare i maggiori costi ai consumatori per via dei cap imposti a livello nazionali. Davanti al produrre elettricità in perdita, i maggiori produttori hanno semplicemente smesso di produrre e, in un momento storico in cui la domanda di prodotti made in china aumenta vertiginosamente in quanto la spesa globale in consumi è in ripresa dal Covid-19, questo rappresenta un duro colpo alle forniture delle varie supply chain globali. I cortocircuiti hanno costretto alcune grandi aziende ad assumere generatori privati per sopravvivere (=più emissioni di carbone), mentre le aziende più piccole non sono state in grado di soddisfare gli ordini e rischiano o già sono fallite. Con i grandi produttori che cercano di recuperare i costi di queste nuove spese, e minori beni esportati, è naturale aspettarsi un aumento generale dei prezzi. Apple, Microsoft e Tesla sono tra i grandi nomi colpiti dalla crisi energetica cinese.

PECHINO CORRE AI RIPARI – La Cina non solo ha deciso di togliere i cap sulla produzione di carbone per il resto del 2021, ma anche di introduce prestiti speciali per aziende estrattive, rilassando, inoltre, le norme in materia di sicurezza sul lavoro. Tutto questo ha avuto l’effetto desiderato: a ottobre il prezzo del carbone domestico è sceso del 5%. Pechino estrarrà più carbone rispetto ai 3.9 miliardi di tonnellate del 2020. Allo stesso tempo, importerà di più da nazioni come l’Australia, rilassando lo stato di crisi con l’arrivo dell’inverno.

NET ZERO AGENDA – La ripresa dell’economia globale post Covid-19 ha fatto pensare a un vicino ritorno alla normalità. Ma i problemi energetici della Cina dimostrano come questo ritorno sia assai fragile. Le province di Guangdong, Jiangsu e Zhejiang sono responsabili di circa il 60% dei 2.5 trilioni di euro di export globali. Sono i più grandi consumatori di energia elettrica e sono anche i più colpiti dalla carenza. Fintantoché l’economia cinese e quella globale, di conseguenza, sono dipendenti dal carbone, ci sarà sempre un conflitto diretto tra tagliare l’uso del carbone e mantenere funzionanti le supply chain. La net zero agenda creerà con ogni probabilità situazioni di malfunzionamento anche in futuro e i business che sopravvivranno saranno quelli che si sono preparati a questo fatto. La Cina e il presidente Xi sono seri riguardo all’abbandono del carbone e negli ultimi anni l’hanno dimostrato concretamente. Pechino ha adottato un sistema a “doppio controllo target” per la protezione ambientale, che consiste nel tagliare sia il consumo di energia che l’ammontare dell’energia per unità di GDP, ovvero l’intensità di energia. Il governo ha intenzione di tagliare quest’ultima di 13.5% entro il 2025 e di abbassare le emissioni per unità di GDP del 18%, per raggiungere le zero emissioni nel 2030. Ma da queste ultime vicende emerge un chiaro segnale: sarà difficile raggiungere l’obiettivo zero emissioni.

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Laureato in Economia, Diritto e Finanza d’impresa presso l’Insubria di Varese, dopo un'esperienza come consulente creditizio ed un anno trascorso a Londra, decido di dedicarmi totalmente alla mia passione: rendere la finanza semplice ed accessibile a tutti. Per Il Bollettino, oltre a gestire la rubrica “l’esperto risponde”, scrivo di finanza, crypto, energia e sostenibilità. [email protected]