martedì, 23 Aprile 2024

Covid-19, l’aumento dei casi frena la ripresa. Natale a rischio. Abrignani, CTS: «Terza dose? Normale, non è già così per i richiami dei nostri figli?»

A fare i conti con il Covid-19 oggi non sono solo i positivi. Da inizio della pandemia, per la campagna vaccinale sono stati indetti lotti di gara pari a 2,8 miliardi, dice Fondazione Openpolis. Di questi 2,48 miliardi – ovvero l’88,4% – solo per l’acquisto delle quattro tipologie somministrate e 320 milioni per beni e servizi strumentali, come aghi e siringhe, costi di trasporto e logistica e campagne di sensibilizzazione. Numeri che si intrecciano inevitabilmente a quelli delle vittime del coronavirus (5 milioni nel mondo), dei contagiati (250 milioni) e dei guariti, che in gran parte scontano però strascichi (a partire dalla comune stanchezza) per mesi.
Nel Regno Unito – dati OCSE – 1,1 milioni di persone (1,7% della popolazione) hanno riportato sintomi di long Covid-19 all’inizio di settembre 2021. Negli Stati Uniti il 37% dei pazienti soffriva di almeno un sintomo di long Covid-19 4-6 mesi dopo la diagnosi. «Quando si risolve l’infezione in alcuni casi ci possono essere delle sequele», dice il Prof. Sergio Abrignani immunologo del Comitato Tecnico Scientifico. «Una situazione che aumenta con l’età… non c’è un completo ritorno alla normalità, rimane un po’ di fibrosi che prima non c’era, di solito al polmone essendo una malattia respiratoria ma può esserci anche a livello renale. Il long Covid-19 però si diagnostica quando è sintomatico, cioè quando ci sono manifestazioni che danno fastidio».

Viste queste conseguenze post malattia, perché non istituire un protocollo di controllo per i guariti?

«Non lo fa nessuno… sarebbe assurdo».

Lo stesso vale per le reazioni post vaccino…

«Anche questa è una conseguenza. C’è una piccolissima percentuale dei giovani vaccinati che può fare una pericardite, che viene comunque risolta in pochi giorni con antiinfiammatori».

In un quadro generale sulla salute, c’è anche una situazione di incertezza e paura che mina l’equilibrio psicologico di molti da quasi due anni. Si è pensato alla parte psicologica della malattia?

«Quando arriva lo tsunami si devono salvare le vite umane, non si pensa a chi ha le paturnie che poi possono evolvere in problemi di tipo psichico. Poi, dopo un anno e mezzo, si comincia a guardare tutto e si cerca di assisterli». I casi di ansia e depressione risultano oggi più del doppio dei livelli osservati prima della crisi nella maggior parte dei Paesi, in particolare in Messico, Regno Unito e Stati Uniti. E lo spettro della quarta ondata, previsto con un picco nel periodo natalizio, non dà prospettive future rassicuranti.

Fuori di dubbio, l’emergenza che stiamo vivendo con sempre maggior stanchezza ha generato enormi costi umani, sociali ed economici e ha rivelato le fragilità organizzative – soprattutto sanitarie – di ogni Paese toccato. Per questo, secondo l’Health at a Glance 2021 che ogni anno fotografa lo status della sanità in 38 Paesi aderenti all’organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico – OCSE, “la pandemia ha dimostrato che una spesa sanitaria efficace è un investimento, non un costo da contenere: sistemi più forti e resilienti proteggono sia le popolazioni che le economie”.
E ancora: “I servizi ospedalieri e ambulatoriali costituiscono la maggior parte della spesa sanitaria, rappresentando in genere il 60% di tutta la spesa sanitaria, che continua a concentrarsi prevalentemente sulle cure curative piuttosto che sulla prevenzione delle malattie e sulla promozione della salute. Si spende molto di più negli ospedali che nell’assistenza sanitaria di base. Segnali incoraggianti indicano il potenziale per un cambiamento sistemico, con progressi nella salute digitale e una migliore assistenza integrata. La pandemia ha accelerato la trasformazione digitale dell’assistenza sanitaria nei paesi OCSE. Ad esempio, una media del 45% degli adulti ha effettuato un teleconsulto medico nel 2021″.

Il Covid-19 ha portato a forti aumenti della spesa sanitaria, ma persistono carenze di personale sanitario. Togliere i numeri chiusi alle Università potrebbe aiutare ad avere più forza lavoro nel settore?

«Più che togliere sarebbe meglio aumentare il numero degli ammessi. Bisognerebbe averne il doppio o il triplo. Quest’anno ad esempio sono aumentati gli specializzandi ed è un passo in avanti perché uno dei problemi che abbiamo è che ci sono pochi specializzandi rispetto ai posti necessari».

Il Ministro Speranza paventa la possibilità di estendere la durata dello stato di emergenza – in scadenza il prossimo 31 dicembre. Costituzionalmente però, come previsto dall’articolo 24 del decreto legislativo 1/2008, questa situazione non può superare i 12 mesi ed è prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi. In definitiva potrebbe durare al massimo fino al 31 gennaio 2022…

«Quando scadrà, scadrà anche il CTS».

E poi chi metterà d’accordo scienza e politica?

«Noi diamo dei pareri tecnici per mitigare questa pandemia».

Però sulle capienze delle discoteche (voi dicevate il 35% e loro hanno messo il 50%) e degli impianti sportivi c’è stata un po’ di discrepanza

«È giusto così. Un tecnico dà il modo migliore per affrontare la pandemia,  poi la politica deve tener conto anche della realtà economica. La domanda che mi pongo è soltanto ed esclusivamente tecnicamente dal punto di vista medico come faccio a mitigare i rischi dell’infezione, il politico si chiede invece – ascoltato i tecnici – “come faccio a conciliare la mitigazione dell’infezione con l’economia di questo Paese e quindi qual è il rischio che posso prendere. Devo dire che ci hanno ascoltato quasi sempre. La politica può fare tutto quello che vuole, può anche ignorare».

Certo però poi uno si domanda che cosa ci sta a fare il CTS, no?

«Ma che vuol dire, hanno seguito il 99% delle cose che abbiamo detto…».

Quindi il trattamento “tachipirina e vigile attesa”, spesso messo all’indice da chi non crede nell’opportunità di aspettare anziché agire all’inizio dell’infezione, lei lo condivide?

«Assolutamente sì, se uno ha solo febbre e tiene sotto controllo la saturazione – che non deve scendere all’improvviso sotto i 94/95 altrimenti ci si rivolge al centro dedicato – non capisco quale sia il problema: è così in tutto il mondo, non è che in Italia uno si inventa le terapie… e poi bisogna evitare assolutamente di prendere antibiotici e cortisone all’inizio, quando non servono».

Beh non si possono andare a comprare in farmacia senza ricetta, serve sempre eventualmente qualcuno che li prescriva…

«Le assicuro che il 70% delle famiglie italiane ha a casa l’armadietto delle medicine con antibiotici e antinfiammatori: faccia una rapida inchiesta e vedrà che quasi tutti hanno a casa una scorta di farmaci».

Pare che in Lombardia ai medici ospedalieri esterni, che quindi sono consulenti o collaboratori, non venga somministrata la terza dose nella struttura dove prestano servizio, come era accaduto per le due precedenti… in questo modo i nosocomi risparmiano in organizzazione, ore di lavoro per garantire il servizio e presidi medici

«Questo è possibile, ma non lo so, guardi. Andrebbe chiesto alle singole Regioni…».

Era già in calendario la terza dose?

«Si fa con la maggioranza dei vaccini, non è una particolarità di questo per il Covid-19».

Come mai non si è detto subito che ci sarebbe stata?

«Perché all’inizio si è cercato di accelerare tutto nell’emergenza e si è chiesto alle aziende di fare le prove cliniche con due iniezioni ravvicinate. Si sa che dopo due dosi si riduce la forte risposta protettiva, come accade per l’epatite B, la polio, la difterite, il tetano etc… in genere è così con tutti i vaccini che facciamo anche fare ai nostri figli: hanno bisogno di tre dosi perché le prime due dosi servono a indurre una forte risposta immunitaria, che però se non è seguita da una terza dose spesso – non sempre ma spesso in una percentuale di soggetti che è il 30% per il Covid-19 – inizia a decadere dopo pochi mesi. Si fa poi una terza dose a 6/12 mesi dall’ultima per innescare una memoria a lungo termine».

Questo per le malattie che lei ha citato, ma quello per il coronavirus è nuovo…

«Siccome non c’è esperienza, ci basiamo su quello che avviene per gli altri vaccini».

E chi è guarito dal Covid-19 che ha ricevuto una sola puntura?

«Loro è come se avesse fatto due dosi perché la prima dose è stata l’infezione».

Condivide l’ipotesi di farlo dai medici di famiglia insieme all’antinfluenzale?

«È normale. Le combinazioni sono la regola. Lei pensi che lo fanno i nostri bambini con i loro vaccini, come l’esavalente… Chi si occupa di vaccini questo lo sa bene»..

Questa situazione però non è la normalità

«No. In un anno abbiamo avuto 131.000 mila morti. Durante la seconda guerra mondiale in tutta Italia, tra il 40 e il 45, sono morte 440.000 persone. Il Covid-19 è stata una cosa epocale».

Visti i lockdown di nuovo in Cina, è plausibile che anche da noi si arrivi di nuovo a tanto con l’aumento dei casi?

«Secondo i nostri dati attuali siamo messi bene. Vedremo, ma speriamo proprio di no».                                     ©

Antonia Ronchei

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Direttore de il Bollettino dal 2020, giornalista dal 1998. Dopo esperienze nel campo musicale e culturale, mi sono occupata di attualità, politica ed economia in radio, tv e carta stampata. Oggi dirigo un giornale storico, del quale ho fatto un completo restyling e che vede coinvolta una redazione dinamica e capace: ho la stessa passione del primo giorno, ma con un po’ di esperienza in più.