martedì, 16 Aprile 2024

CON IL COMITATO EDUCATION SI RIPARTE UNENDO FORMAZIONE E IMPRESE

Un anello di congiunzione tra la formazione e le imprese. È questo lo scopo del nuovo Comitato Education di Confindustria Moda, composto da sette associazioni a rappresentazione dei diversi comparti del settore (tessile-abbigliamento, calzature, pelletteria, occhialeria, oreficeria, pellicceria e concia). Come spiega il Presidente Paolo Bastianello, il problema più grande affrontato dal Comitato (che non partirà da zero ma raccoglierà l’eredità di cinque anni di lavoro all’interno di Sistema Moda Italia), è quello del mancato ricambio occupazionale: «Vogliamo favorire la promozione e la comunicazione al Paese dell’industria della moda e accessori, affinché continui a rimanere uno dei principali settori manifatturieri italiani (parliamo di 98 miliardi di fatturato annuo e di circa 600 mila occupati in periodo prepandemia). Desideriamo dare continuità affinché la sua tradizione storica non venga perduta, operandoci prima di tutto affinché, tramite la formazione, non si perdano le competenze acquisite nel tempo dai nostri collaboratori. Questo vuol dire rivolgersi non solo alle famiglie e ai ragazzi ma anche a tutto il mondo dell’istruzione, al fine di aumentare il numero dei ragazzi che scelgono di investire in questo ambito e quello dei docenti, oltre che migliorare la qualità della formazione».

Quali i maggiori ostacoli da superare per realizzare questi obiettivi?
«I primi sono quelli culturali. L’industria della moda viene spesso percepita come un settore saturo, senza innovazione e in gran parte delocalizzato, ma non è un’immagine veritiera. C’è quindi bisogno di un enorme sforzo comunicativo nei confronti della società, delle istituzioni e del mondo dell’istruzione, che per diverse ragioni non è mai stato innamorato dell’industria. Ci sono però importanti eccezioni, come i 110 ITS italiani che mostrano performance ottime, anche grazie al contatto tra il corpo docente e le imprese del territorio. Penso per esempio al TAM di Biella e il MITA di Scandicci, entrambi a indirizzo moda, che presentano un tasso di occupazione del 93%. Negli ultimi anni, infatti, si è notata la tendenza a privilegiare gli ITS proprio grazie allo sblocco occupazionale, anche dopo il liceo. Per questo stiamo lavorando con il mondo universitario per creare un terzo anno che permetta di raggiungere il titolo di ingegnere diplomato. Nel complesso però gli iscritti agli ITS in Italia – 22mila – sono ancora pochi, soprattutto se li si confronta con gli 850mila in Germania e i 150mila in Francia».

Come mai si contano ancora pochi iscritti?
«Uno dei problemi è che molte scuole e accademie tendono molto a privilegiare la parte creativa e meno quella tecnica e operativa. Se da una parte il talento creativo è necessario per inventare nuove collezioni ogni sei mesi e
per trasmettere emozioni al cliente, dall’altra c’è anche bisogno di personale che sappia operare negli impianti in cui si creano questi capi. All’esterno il percepito del settore si limita alle sfilate, che però sono solo il punto terminale di mesi in cui il personale mette a punto i prodotti. C’è quindi bisogno di una maggiore conoscenza del campo da parte dei docenti orientatori, affinché la formazione tecnica e professionale non venga sminuita a istruzione di serie B. A proposito ricordiamo che dopo le scuole medie circa il 54% dei ragazzi si iscrive ai licei, il 33% si indirizza alla formazione tecnica e solo i rimanenti si rivolgono a quella professionale».

Quali sono le figure professionali più ricercate?
«Tra il 2019 e il 2020 abbiamo portato avanti una ricerca sul tema insieme a 350 aziende del tessile e dell’abbigliamento. Dei 37 profili più richiesti è emerso che 31 appartengono all’area tecnica e operativa, 6 a quella manageriale. Inoltre, la pandemia ha portato a uno sconvolgimento del settore, che ha accelerato i processi di digitalizzazione, informatizzazione e internazionalizzazione, tutte competenze che si riveleranno vitali per mantenere in piedi la filiera. Infine, il concetto chiave che caratterizzerà il mercato del lavoro nei prossimi anni è sicuramente la sostenibilità, che condurrà a grandi rinnovamenti anche nell’industria della moda».

C’è supporto da parte delle istituzioni?
«Il governo attuale ha mostrato interesse verso questi problemi. Penso che sia stato un segnale importante il fatto che Draghi nel suo discorso d’insediamento abbia parlato dell’importanza della formazione tecnica, che è fondamentale non solo per la moda ma anche per la meccanica, la farmaceutica, la chimica, il biomedicale e tutto il mondo dell’industria, dato che comunque rappresentiamo il secondo Paese manifatturiero a livello europeo. Inoltre, attendiamo la riforma degli ITS, già approvata alla camera».

Quali saranno le prime iniziative del Comitato Education?
«Riguarderanno principalmente la promozione, perché questi sono i mesi ricchi di incontri formulati per l’orientamento alla scelta delle scuole superiori; parteciperemo per esempio ai PMI Days e alla trentesima edizione del Job orienta (che quest’anno avrà come temi sostenibilità e digitalizzazione). Inoltre, siamo stati interpellati dal Ministero della Pubblica Istruzione sul tema del rinnovamento delle competenze dei docenti delle materie tecniche a indirizzo moda e accessori e stiamo lavorando a progetti precedenti rimandati a causa del Covid-19, come la mobilità dei docenti per l’aggiornamento formativo e la mobilità dei ragazzi per l’alternanza scuola lavoro».

L’industria della moda è quindi ripartita?
«Assolutamente sì. I numeri vanno ancora valutati con prudenza, perché di sicuro in sole due stagioni non è stato possibile recuperare il calo del 26% registrato l’anno scorso. D’altra parte, non c’è stato un flusso di uscita del personale come si temeva a causa della perdita di fatturato e anzi, grazie a una normativa nazionale a cui abbiamo collaborato, siamo riusciti a terminare gli stage in azienda. Un ulteriore segnale positivo è che, nonostante le difficoltà, nessuna delle realtà che collaborano con noi si è dimostrata disinteressata a nuove proposte di formazione, fondamentali per evitare che alcune figure professionali scompaiano del tutto nei prossimi anni».

Nadia Corvino
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Laureato in Economia, Diritto e Finanza d’impresa presso l’Insubria di Varese, dopo un'esperienza come consulente creditizio ed un anno trascorso a Londra, decido di dedicarmi totalmente alla mia passione: rendere la finanza semplice ed accessibile a tutti. Per Il Bollettino, oltre a gestire la rubrica “l’esperto risponde”, scrivo di finanza, crypto, energia e sostenibilità. [email protected]