sabato, 20 Aprile 2024

Il mercato del second-hand fashion conquista la Cina

La Cina, primo consumatore di lusso globale, apre le porte alla moda di seconda mano. Il settore, in rapida crescita, secondo le stime è destinato ad arrivare a quota mille miliardi di yuan, ovvero all’incirca 130 miliardi di euro. Da Gucci a Prada: sulle piattaforme di rivendita online sono numerosi anche i marchi italiani. «Bisogna pensare che un giorno, se una recessione economica colpisse il Paese, gli articoli di alta gamma usati manterrebbero il loro valore come è accaduto in Giappone anni fa. Le culture dell’Asia orientale sono simili. Vediamo promettenti segnali di sviluppo del settore», ha detto il direttore generale della società di investimento TusStar Venture, Liu Bo. In base a una ricerca realizzata dalla University of International Business and Economics e dal portale di second-hand luxury Isheyipai, al momento la quota di questo mercato nella Repubblica Popolare vale solamente il 5% degli acquisti di lusso totali, una percentuale particolarmente esigua se paragonata al 28% del Giappone e al 31% degli Stati Uniti. «In Giappone, il tasso di penetrazione per i beni di alta moda usati ha raggiunto il rapporto di 1:1, ciò significa che ogni volta che viene comprata una nuova borsa, una vecchia verrà rivenduta. In Cina viene rivenduto solo il 3% delle merci. Fondamentalmente, nessuno compra capi di seconda mano», ha spiegato Liu Bo. Il comparto, tuttavia, è destinato a crescere fi no a raggiungere un “boom miliardario”: a provarlo il fatto che il 52% dei consumatori di questo nuovo ramo del fashion sono giovani sotto i 30 anni e che, secondo una ricerca della società di consulenza strategica Bain & Company, nel Paese asiatico si concentrerà la metà degli acquisti di lusso entro il 2025. In più, la maggior parte di coloro che comperano questo tipo di prodotti, li utilizza per un periodo che va da uno a tre anni. L’interconnessione di tali fattori potrebbe stimolare notevolmente le vendite del settore, tanto che numerose start-up e colossi dell’e-commerce, come Alibaba, ne stanno esplorando le potenzialità. Una spinta al second-hand che, già nel 2020, non abbracciava solo il segmento della moda, ma un’ampia gamma di articoli, oltrepassando la soglia dei mille miliardi di yuan. Quanto alla portata generale del mercato della haute couture, stando al report dello scorso dicembre “China’s Unstoppable 2020 Luxury Market” stilato da Bain & Company e Tmall Luxury, i consumi interni hanno trainato l’economia segnando, nonostante la crisi sanitaria, numeri da record, soprattutto se messi in relazione con i risultati registrati nel resto del mondo. Le vendite di abiti e accessori griffati sono aumentate del 48%, toccando quota 346 miliardi di yuan (circa 43 miliardi di euro), a fronte di un calo globale atteso pari al 23%. In più, negli ultimi anni, il comparto ha ricevuto un flusso costante di investimenti. «Ci sono ancora molte opportunità per costruire piattaforme in questo segmento economico», ha affermato il direttore di TusStar Venture. Eppure, la moda “del second-hand” nella Repubblica Popolare stenta a prendere piede, vuoi per il timore di imbattersi in prodotti contraffatti, vuoi per l’opinione diff usa che lo status sociale di una persona possa essere messo in discussione se si acquistano vestiti dismessi, oppure per l’antica superstizione che vieta di indossare abiti di un defunto perché di cattivo auspicio: la tradizione, infatti, raccomanda di bruciarli in modo che possano raggiungerlo nell’aldilà. «L’interesse per gli indumenti di seconda mano resta ancora basso, ma potrebbe essere solo una questione di tempo e di strategie di marketing», ha osservato Xie Xinyan, fashion influencer da un milione di follower. In Cina, le vendite di articoli usati devono passare dal lusso: nella Terra del Dragone probabilmente non funzionerà il negozietto di periferia pieno zeppo di vestiti ammucchiati alla rinfusa, ma la regola del vintage sì. «Stiamo assistendo a un aumento significativo di brand che alzano il livello, proponendo i capi usati come “vintage”, e così si fa tendenza. È una moda importata dal Giappone, dove l’interesse verso la cultura “del rétro” si è diffuso prima», ha spiegato Xie Xinyan. «La maggior parte dei clienti si preoccupa poco dello sconto, mirando più a marchi e qualità», ha precisato Liu Bo. «Potersi fidare di merci costose e di alta qualità è il primo passo affinché i cinesi accettino l’idea di comperare di seconda mano», ha osservato Austin Zhu, cofondatore della piattaforma di rivendita Zhi Er, l’equivalente asiatica dell’americana The RealReal.

Lo sviluppo del business dell’usato potrebbe avere un impatto positivo anche sull’ambiente, visto che l’industria tessile del Dragone produce il 10% delle emissioni nazionali di anidride carbonica. In più, Pechino esporta un grande quantità di indumenti dismessi, soprattutto in Africa: il solo Kenya ne ha acquistato il 20%.

Nel boom del second-hand cinese non mancano le grandi case tricolori: abiti e accessori delle griffe nostrane affollano i siti di e-commerce. «I marchi italiani sono i più popolari sulla nostra piattaforma», ha affermato il cofondatore di Zhi Er. Da Prada a Gucci, molte maison vedono nel settore da 33 miliardi nuove opportunità di marketing, soprattutto a fronte della sua enorme e recente espansione: un incremento del 65% tra il 2017 e il 2021. All’inizio di quest’anno, il gruppo francese Kering ha acquisito il 5% di Vestiaire Collective, piattaforma leader nella rivendita di vestiti e borse chic. E nel 2020, il brand di punta di Kering, Gucci, ha stretto una partnership con The RealReal. Per Lorenzo Bertelli, capo del marketing ed erede designato dell’impero Prada, è un modo per affrontare le sfide di un mercato in continua evoluzione. «Il second-hand è una strategia che stiamo studiando da più di un anno. Per noi è un’ottima opportunità, che potrebbe tradursi in una collaborazione o essere sviluppata internamente all’azienda, oppure entrambe, una sorta di soluzione ibrida come per l’e-commerce», ha dichiarato il futuro amministratore delegato di Prada. ©

Sara Teruzzi

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Nata e cresciuta in Brianza e un sogno nel cassetto – il mare. Ama leggere e scrivere ed è appassionata di comunicazione. Dopo la laurea magistrale in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale, entra nella redazione de “il Bollettino” con un ricco bagaglio di conoscenze linguistiche acquisito durante il percorso scolastico. Ai lettori italiani porta notizie che arrivano da lontano – dall’Asia al mondo arabo.