Per le Pmi italiane non è facile affrontare il periodo pandemico. Ma nonostante la batosta economica causata dal Covid-19, molte piccole e medie imprese sono state salvate da online ed e-commerce. Ma c’è di più. Il connubio internet commercio elettronico: «Può generare un incremento del 42% del fatturato con un aumento medio per azienda di 2,5 milioni di euro. Adesso serve una strategia», dice Paola Girdinio, Presidente del Centro di Competenza per la Sicurezza e l’Ottimizzazione delle Infrastrutture Strategiche 4.0 e professore ordinario di Elettrotecnica alla Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Genova. L’Italia, però, resta ancora distante dai best performer europei in relazione alla percentuale di fatturato dalla vendita online prodotta dalle Pmi. «Il gap si riduce aumentando la consapevolezza e facendo awareness».
Nel 2020, il 51% delle imprese italiane aveva una bassa intensità digitale (con un incremento di ben 13 p.p. rispetto al 2019) e il 57%, invece, ha acquistato servizi cloud. Con i fondi del PNRR su che cosa bisogna investire?
«L’Italia deve puntare sulle tecnologie del digitale, dalle TLC, l’energia rinnovabile, i servizi finanziari e le infrastrutture. Ma alla base di tutto c’è la formazione delle competenze e l’open innovation. La vera sfida per le imprese è questa e con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza si deve andare anche in quella direzione».
Il nostro Paese, rispetto all’Internet banking, continua ad arrancare. Nel 2020 soltanto il 39% degli individui lo ha utilizzato a fronte di una media europea del 58%. Come si stanno comportando le banche in Italia su
questo tema?
«Gli istituti di credito italiani sono ancora, nella maggior parte dei casi, molto tradizionali. Anche qui deve crescere la cultura oltre alla consapevolezza in ottica open banking. Però sarebbe scorretto riversare la responsabilità solo sulle banche. Purtroppo, anche il cittadino italiano ha bisogno di crescere. Siamo terzultimi in Europa per competenza e
maturità digitale».
Positiva, ma meno brillante a livello generale, anche la performance relativa alla percentuale di dati precompilati nei moduli online dei servizi pubblici. L’Italia con il 51% si pone ancora al di sotto della media europea a distanza di 12 punti percentuale, con un piccolo avanzamento di 3 p.p. rispetto al 2019. Cosa è mancato in passato?
«La digitalizzazione della Pubblica Amministrazione è un’altra delle grandi sfide del nostro Paese e non a caso è pilastro del PNRR. Qui ritorna forte il tema della sicurezza e della fiducia. I passi avanti dello Stato e della PA devono essere accompagnati da processi di formazione, consapevolezza e supporto ai cittadini e ai dipendenti della PA che dovranno gestire i processi, per incentivare e raffinare l’adozione di servizi pubblici online e sempre più veloci ed efficaci».
Quando si parla di digitalizzazione non si può non parlare di competenze. Quali prospettive si possono aprire nel futuro: si è investito abbastanza sulla formazione?
«Si deve fare di più. È la sfida più importante. Soprattutto da parte delle imprese, che per rimanere competitive, devono agire tempestivamente, aggiornando non solo i propri modelli di business ma anche quelli formativi. In questo lo Stato, ad esempio attraverso i Competence Center come Start 4.0, che presiedo, ha fornito diversi strumenti al mondo economico per restare al passo con l’evoluzione delle tecnologie e dei mercati. Per creare valore e occupazione è necessario fidelizzare, motivare le risorse e operare il reskilling del personale. Non meno importante è la necessità di una rivisitazione dei programmi scolastici a partire delle scuole elementari».
Per una forte innovazione e digitalizzazione bisogna anche investire sulla connessione internet: quanto può essere determinante il 5G?
«La tecnologia di quinta generazione per l’economia italiana può essere dirompente e abilitante per tutti gli strati della società e dell’attività produttiva. Il 75% dei produttori di tutto il mondo identifica il 5G come il fattore chiave per la trasformazione digitale nei prossimi cinque anni e quasi altrettanti lo stanno già adottando. Una “rivoluzione verticale” che necessita di investimenti infrastrutturali e non solo».
Gli utenti europei, mostrano, a livello generale, una più marcata preoccupazione che deriva dalle numerose iniziative messe in campo dalle istituzioni europee e nazionali a presidio della privacy e, dunque, dell’elevata maturità del dibattito nel contesto UE. Come si sta muovendo su questo tema l’Unione europea?
«L’Europa sta facendo molto, dall’introduzione del GDPR, il regolamento europeo sulla protezione dei dati personali, tre anni fa. Ci sono ancora però disparità sull’applicazione e sugli investimenti ed è necessario un impegno maggiore da parte di vari stati membri».
Esistono ancora aree del mondo, l’Africa in particolare, in cui la percentuale di penetrazione di internet si attesta su valori decisamente troppo bassi per riuscire ad assicurare alle popolazioni la necessaria inclusione. Quanto bisogna investire per riuscire a centrare gli obiettivi dell’Agenda 2063 dell’Unione Africana?
«Molto, perché la trasformazione socioeconomica del continente africano è strategica. Per farlo sono necessarie alcune pre-condizioni, come facilitare un processo di integrazione tra i diversi stati del Continente. A seguire, è fondamentale l’investimento finalizzato a uno sviluppo sostenibile attraverso la creazione di capacità, maggiori investimenti e miglioramento delle infrastrutture. La presenza cinese nell’Area ha anticipato questa direzione».
Gli utenti globali usano internet principalmente per: cercare informazioni (63%), gestire finanze (35,2%) e ricerche legate al business (30,7%). Per quanto riguarda la parte economica, si tratta di bassi investimenti sul digitale o poca cultura ai dispositivi mobile?
«Lo scambio di informazioni personali, in particolare il denaro, ci espone a vulnerabilità, uno degli elementi della fiducia. Credo ci siano da fare dei passi dal punto di vista culturale e investimenti sulla cybesecurity, in modo da far crescere la percentuale dell’utilizzo di internet anche per gestione delle finanze e business».
Su un totale di quasi 8 miliardi di individui, gli utenti di internet, a gennaio 2021, ammontavano a 4,66 miliardi, pari al 59,5% della popolazione mondiale, con un incremento rispetto all’anno precedente del 7,3% (pari a 316 milioni). Come immagina il settore del digitale del futuro?
«Negli ultimi 10 anni ci sono stati dei cambiamenti epocali, i prossimi 10 vedranno ancora una maggiore pervasività del digitale in ogni aspetto della vita quotidiana. Un settore trasversale quindi, che avrà sempre più bisogno di valore tecnologico forte e buone competenze, anche perché digitale porta in dote opportunità, ma anche rischi in termini di sicurezza» ©
Mario Catalano
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