martedì, 5 Novembre 2024

Il business delle armi. Margelletti, CeSI: «Grande importanza a cyber ed elettronica»

Nell’anno della pandemia, con una spesa di 72,9 miliardi di dollari e un aumento del 2,1% si è posizionata al terzo posto nella classifica dei Paesi per spesa militare, preceduta da Cina e USA. L’escalation dell’India tra le grandi potenze armate non si arresta. «Ci si può aspettare uno Stato più attivo diplomaticamente e punto di riferimento in Asia per i partner internazionali», dice Andrea Margelletti, Presidente del CeSI (Centro studi internazionali). «Il protagonismo indiano da un lato sarà legato a dossier fondamentali per la difesa dei propri interessi strategici, in termini di sicurezza marittima e di libertà di accesso alle SLOC – Sea Lines Of Communications – nell’Oceano Indiano, di sovranità territoriale, di contenimento delle minacce alla propria sicurezza nazionale. Dall’altro, sarà legato alla possibilità di affermarsi come nuovo punto nevralgico per gli sviluppi dei trend di crescita della regione, quale innovazione tecnologica e ristrutturazione delle supply chain globali».

La spesa militare mondiale totale nel 2020 è stata più alta del 2,6% rispetto al 2019 e del 9,3% rispetto al 2011…

«Il settore della produzione e vendita di materiali di armamento ha vissuto importanti cambiamenti nel corso degli ultimi anni, alla luce delle numerose innovazioni tecnologiche che si sono verificate. Crescente importanza stanno assumendo il dominio cibernetico e quello spaziale, così come tutto il mondo che ruota attorno alla sensoristica e all’elettronica. Inoltre, si sta assistendo a una generale corsa al riarmo navale, con grande attenzione dedicata alla componente underwater, data l’importanza crescente dei sottomarini sia in termini operativi e di deterrenza sia per la protezione di infrastrutture critiche come i cavi sottomarini».

Si stima che la spesa militare cinese sia stata di 252 miliardi di dollari nel 2020, rappresentando un aumento dell’1,9% rispetto al 2019 e del 76% rispetto al 2011. Quale ruolo avrà la Cina nei prossimi anni?

«Punta a diventare un attore di rango globale in molteplici settori, incluso quello militare. Si pensi al programma di ampliamento e potenziamento della propria flotta navale, divenuta negli ultimi anni la più grande al mondo per numero di unità in servizio (ma non per tonnellaggio complessivo). Non vi sono dubbi che la Cina giocherà un ruolo di primissimo piano dal punto di vista militare nel futuro, ampliando la propria sfera di influenza e d’azione a livello regionale e cercando di proiettarsi al di fuori delle acque continentali, aprendo ad esempio nuove basi e installazioni militari all’estero, probabilmente sulla costa atlantica del continente africano».

Le 5 principali aziende produttrici di armi al mondo hanno tutte sede negli USA. Come cambierà in futuro lo scacchiere economico mondiale delle armi?

«Le aziende americane continueranno senza dubbio a svolgere un ruolo di primo piano, per capacità industriali e fondi a disposizione, grandezza del mercato domestico, ma anche per le possibilità che hanno di imporsi e penetrare in numerosi mercati esteri. Un ulteriore trend è quello che vede la crescita di fusioni e acquisizioni tra le industrie della difesa, al fine di creare poli tecnologici di alto livello, in grado di mettere assieme risorse economiche e competenze, dati i crescenti e ingenti costi necessari per la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie e la realizzazione di nuovi sistemi d’arma sempre più complessi e sofisticati».

La materia prima delle armi nucleari è il materiale fissile come l’uranio altamente arricchito o il plutonio separato. Il Kazakistan, decima nazione più grande al mondo, è stato in grado di soddisfare fino al 40% della domanda di uranio. Quanto incide la situazione attuale nel Paese asiatico sul tema delle armi?

«Determina importanti conseguenze e ripercussioni a livello internazionale, anche (ma non solo) per la ricchezza di uranio e di risorse presenti. Sicuramente tale fattore è stato tra i motivi che hanno spinto la Russia a un rapido intervento militare nel Paese, al fine di stabilizzare la situazione interna e impedire mutamenti rilevanti nello status quo».

Nel 2020, in Italia, il totale delle nuove autorizzazioni rilasciate per esportazione di materiale d’armamento è stato 3.927 milioni di euro: in calo (-25%) rispetto al 2019 e al 2018. L’economia delle armi subirà una battuta d’arresto?

«Nel mondo si sta assistendo a un inasprimento delle tensioni geopolitiche tra molteplici attori. Le prospettive che tali conflitti cessino nel breve periodo, sono minime. Inoltre, numerosi sono i Paesi a livello mondiale impegnati in programmi di riarmo militare. Difficile dunque immaginare che nel prossimo futuro la vendita globale di armamenti militari subirà una battuta arresto; al contrario è ragionevole ipotizzare che il trend si manterrà stabile o andrà ulteriormente a crescere nei prossimi anni».

Che cosa prevede la legge italiana sul finanziamento diretto di materiale bellico? Servono modifiche?

«La questione è molto complessa per due motivi: tecnologie sviluppate in ambito militare hanno spesso ricadute in ambito civile; le aziende della difesa sono tra quelle che investono maggiormente in termini di ricerca, sviluppo e innovazione, divenendo dei motori tecnologici di grande importanza per i propri Paesi. Si può lavorare sulla strada della trasparenza normativa e della governance senza tralasciare, però, il fatto che dall’altro lato tali industrie sono fondamentali in termini di posti di lavoro, ricadute economiche, know-how umano e tecnologico, valore strategico e di posizionamento del Paese nello scacchiere internazionale».

La spesa militare in Africa è aumentata del 5,1%. Quanto incide nei rapporti economici e geopolitici con l’Europa?

«L’interscambio economico e militare tra Africa ed Europa è profondo. Da un lato, numerose sono le aziende europee che producono e vendono sistemi di difesa per i Paesi africani. Dall’altro, tali relazioni di carattere economico e commerciale servono a consolidare legami politici e strategici e hanno profonde ripercussioni sugli equilibri militari complessivi: si pensi all’importanza politica della vendita dei caccia francesi Rafale all’Egitto oppure alle implicazioni operative, militari e dunque strategiche della vendita di sottomarini russi armati con missili da crociera all’Algeria».

In che modo affrontare il problema della trasparenza nelle rendicontazioni sulla spesa militare dei Governi?

«Favorire processi di democratizzazione e di trasparenza rappresenta sicuramente una delle strade percorribili, anche se di difficile attuazione. Si potrebbe inoltre pensare di introdurre policies specifiche miranti a ridurre la corruzione a tutti i livelli pubblici e di governo, ma anche questa metodologia, senza un’effettiva volontà politica da parte degli Stati in questione, risulta complessa da implementare nel concreto».

Che cosa favorisce la vendita illecita delle armi a livello internazionale? Quali strumenti ci sono per contrastare il mercato nero?

«Per limitare la vendita illecita delle armi e rendere pienamente efficaci gli embarghi è necessaria una reale, concreta e totale cooperazione politica tra gli Stati, che invece appaiono sempre più divisi da logiche di influenza regionale. Infine, appare in crescita la pratica di armare e supportare militarmente i cosiddetti proxies contro i propri rivali e competitor, per evitare di essere coinvolti direttamente in una crisi o conflitto. Tale fenomeno favorisce ulteriormente la proliferazione e la vendita illecita di armi, a vantaggio di trafficanti, gruppi criminali e network di contrabbando transnazionali».

Nel 2020 l’Honduras è diventato il 50° Stato a ratificare o aderire al Trattato del 2017 sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW). Si arriverà in futuro a una ratifica di tutti i Paesi del mondo?

«Non credo. Quella nucleare rappresenta l’arma strategica per eccellenza». ©

Mario Catalano

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