Accelera nella ricerca di fonti energetiche alternative al gas russo, l’Italia, e va a trattare a sud del Mediterraneo. In Algeria, in particolare, seconda nazione d’importazione dopo il Paese sovietico e quarta al mondo per volumi di produzione. Dopo la visita del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, insieme all’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi, ad Algeri al suo omologo arabo Ramtane Lamamra e al Ministro dell’Energia e delle Miniere, Mohamed Arkab, il nostro Paese potrà contare su più di 30 miliardi di metri cubi già nei prossimi mesi, allo stesso prezzo attuale. A parole il problema del gas sembrerebbe risolto, ma andando in profondità la questione non è così semplice.
E i numeri raccontano perché. Infatti, se da Mosca proviene mediamente il 40% del nostro fabbisogno (con picchi di circa il 45%), dal gas algerino dipendiamo per il 27%, ovvero l’11% del totale europeo. Nelle più ottimistiche previsioni, queste percentuali sarebbero destinate ad aumentare, visto il numero sempre maggiore di accordi stretti dai membri dell’Unione con il Paese arabo. Non senza difficoltà, però. All’orizzonte, infatti, si prospettano due grandi problemi: il primo riguarda l’instabilità interna, che potrebbe paralizzare le forniture, oltre allo stretto legame con la Russia di Putin. Il secondo è legato alla crescente domanda nazionale, che riduce le quantità destinabili all’esportazione.
Il contesto politico e sociale dello Stato nordafricano è, infatti, tutt’altro che marginale in questo momento storico, dato che proprio nei giorni in cui l’Unione Europea gli stringe la mano per ottenere più gas, dall’ex colonia francese arriva la denuncia di un’escalation della repressione nei confronti delle voci critiche sul presidente della Repubblica Abdelmadjid Tebboune.
Ma di fronte all’attuale emergenza, i moniti delle organizzazioni per i diritti umani per convincere l’Unione Europea a non trattare con Stati autoritari e repressivi (alcuni di questi anche vicini alla Russia) come l’Egitto, il Qatar, l’Azerbaigian o, appunto, l’Algeria, servono a poco. La comunità internazionale ha troppo bisogno del loro gas.
Inoltre, pesa l’astensione del Paese sulla risoluzione ONU di condanna all’invasione dell’Ucraina, le cui motivazioni sono contenute nella strategia che ha guidato la politica estera del Paese sin dall’indipendenza, ovvero «cercare di mantenere una posizione di neutralità non potendo permettersi una diplomazia attiva», come ha ben spiegato il ricercatore all’École des hautes études en sciences sociales (Ehess) di Parigi Moussaab Hammoudi.
Detto questo, l’ambasciatore dell’Algeria in Italia Abdelkrim Touahria, ha comunque affermato che «l’Italia potrà beneficiare di più forniture» e che sul tavolo c’è anche «un possibile futuro accordo tra Sonatrach ed ENI per l’esplorazione del bacino di Berkine, nel sud-est del Paese». Per raggiungere la Penisola, il metano passerà dal gasdotto Transmed che collega i due territori passando per la Tunisia, in grado di trasportare verso l’Europa fino a 32 miliardi di metri cubi l’anno. Per ora ne è stato trasferito un massimo di 22 miliardi di metri cubi e questo farebbe supporre, sulla carta, un margine di aumento dell’export.
Quindi possiamo tirare un bel sospiro di sollievo? Il rafforzamento della cooperazione in campo energetico con Algeri ci garantisce la sicurezza energetica e la non dipendenza da Mosca? Non è detto, perché nonostante tutto questo entusiasmo da parte delle istituzioni, molti esperti sono invece molto più scettici sulla reale capacità dello Stato arabo di incrementare sensibilmente la produzione.
Per il direttore generale di Sonatrach, Toufik Hakkar, per esempio, l’Algeria, pur continuando a essere un fornitore affidabile per il mercato europeo e a sostenerlo in tempi difficili, non sarà affatto in grado di compensare da sola il calo dell’approvvigionamento di metano russo e, sicuramente, non prima almeno di aver soddisfatto la domanda nazionale e gli impegni contrattuali.
Lo studioso del Nord Africa Jalel Harchaoui ha invece sottolineato quanto il fatto curioso da osservare, a seguito di questi accordi bilaterali, sia che l’Algeria, in realtà, ha grandi difficoltà a produrre gas e, le stesse valutazioni dell’OPEC, aggiunge il ricercatore Moussaab Hammoudi, si basano sulle cifre rilasciate dalle autorità, che spesso risultano essere molto ottimistiche.
Da un’inchiesta del quotidiano Algérie Part emerge che circa la metà del metano generato viene attualmente utilizzato per il mercato domestico. I numeri spiegano molto. La produzione nazionale di gas naturale algerino ammonta a circa 130 miliardi di metri cubi, produzione che, però, «è stagnante dal 2019 e non progredisce a causa della diminuzione delle riserve esistenti e del costo elevatissimo degli investimenti necessari per sfruttare i giacimenti», fa notare Mahama Bouziane, esperto in questioni energetiche.
Aggiungendo che «pur essendo quello con l’Italia un partenariato storico e strategico, il Paese è consapevole che non esista Stato o compagnia in grado di compensare i rifornimenti russi. Inoltre, è a conoscenza del fatto che l’Algeria, o il Qatar, non registrano grandi eccedenze da destinare all’export. Il nostro metano raggiunge l’Europa attraverso una rete di gasdotti capaci di trasportare un massimo di 42 miliardi di metri cubi l’anno. Da Mosca, invece, ne arrivano 240 miliardi».
Basti pensare che la regione possiede il 3,37% del totale mondiale, mentre lo Stato sovietico ne copre oltre il 16%. E che la disponibilità nominale di gas dell’ex colonia francese per l’export è stimata in una quarantina di miliardi di metri cubi l’anno. Una quota che non rende il Paese nordafricano un grande player del gas nel panorama internazionale. Una fonte all’interno della stessa Sonatrach, citata dall’agenzia Nova, dichiara che «con l’attuale consumo locale, l’Algeria potrà esportare in Italia un massimo di 2 miliardi di metri cubi aggiuntivi». Niente di che, in sostanza.
In conclusione, nonostante i grandi proclami, gli esperti ritengono che l’Algeria potrà sostituire la Russia come fornitore principale per l’UE solo in caso di un aumento della capacità produttiva, il che richiederebbe investimenti infrastrutturali massicci e molto rapidi, quindi difficilmente immaginabili. Algeri sta cercando di coinvolgere l’Eni. E Sonatrach, l’azienda di Stato algerina, una delle principali aziende petroliere al mondo e la più importante società per azioni africana, parla di impegnare 40 miliardi di dollari tra il 2022 e il 2026 nell’esplorazione, produzione e raffinazione del petrolio, nonché nell’esplorazione ed estrazione di gas. Ma senza nuove significative scoperte, o progetti di produzione su larga scala, ma soprattutto senza tanti soldi, l’orizzonte dell’Algeria rimane ancora molto ristretto. ©
Sara Teruzzi
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Immagine di copertina: fotografia di Patrick Federi da unsplash