giovedì, 25 Aprile 2024

Dividendi 2022 in cassaforte: prospettive incerte per il 2023

Sommario
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Quasi 10 miliardi di euro passati direttamente dal valore di mercato delle azioni ai conti correnti di coloro che le possedevano. È il risultato del cosiddetto D-Day, il giorno in cui tradizionalmente si concentra il maggior numero di stacchi dei dividendi da parte delle società quotate presso i mercati gestiti da Borsa Italiana.

L’IMPATTO DEI DIVIDENDI SUGLI INDICI DI BORSA

I titoli azionari sono quotati a corso “tel quel”, ovvero incorporano il valore della porzione di utili che gli amministratori delle società decidono di distribuire ai soci. In corrispondenza dello stacco del dividendo il prezzo del titolo subisce quindi una flessione di pari importo. L’effetto sull’indice FTSE MIB è stato del -1,44%, dato che 19 delle 65 società che hanno distribuito la cedola appartengono all’indice principale. Quel giorno il FTSE MIB ha chiuso la seduta con un rialzo dello 0,17%, contro il +1,40% dell’EURO STOXX 50: una sottoperformance spiegata dall’effetto-dividendo e che, una volta rettificata, si trasforma in un +1,61%, in linea con le altre borse europee.

Si è trattato di un’annata particolarmente favorevole per gli azionisti. Secondo le stime di Intermonte, il dividend yield – ovvero il rapporto tra entità del dividendo e prezzo del titolo – si è attestato al 4,2%, un valore superiore al 3,44% medio degli ultimi 10 anni. E per il futuro? Le società sapranno ripetere – o magari migliorare – le performance di bilancio che hanno permesso loro di premiare i soci in misura così corposa?

2022: UN ANNO DA VIVERE PERICOLOSAMENTE

Per cercare di immaginare l’evolversi della situazione è opportuno partire dai risultati del primo trimestre e dalle indicazioni – la cosiddetta guidance – sull’esercizio fornita dal management. Occorre però fare una premessa. Sullo scenario macroeconomico 2022 incombono almeno tre elementi di grande incertezza: la guerra in Ucraina, l’ipotesi stagflazione, il COVID-19. A questi possiamo aggiungere il fatto che la crescita del PIL italiano – ormai è una certezza – rallenterà notevolmente dopo il rimbalzo del 6,6% registrato nel 2021. Nelle ultime settimane le stime sono state pesantemente riviste al ribasso: quella della Commissione Europea è passata da +4,1% a +2,4%. Improbabile quindi che le società riescano a confermare le performance del 2021.

PROFITTI STABILI NELLA MIGLIORE IPOTESI PER INTESA SANPAOLO

Tra le blue chip con il dividend yield più consistente spicca Intesa Sanpaolo che tra l’acconto staccato a novembre 2021 e il saldo di lunedì scorso ha garantito agli azionisti un notevole 7,6%. Nel primo trimestre il gruppo bancario ha registrato utile netto in calo di oltre il 30%, soprattutto a causa di rettifiche su crediti per l’esposizione a Russia e Ucraina. Per il 2022 il management prevede nella migliore delle ipotesi – ovvero senza ulteriori tensioni sulle materie prime/energia – un utile netto superiore ai 4 miliardi di euro e ben superiore ai 3 miliardi in caso di deterioramento dell’esposizione a Russia/Ucraina. Il dato si confronta con i 4,185 miliardi del 2021: pertanto, solo se andrà tutto bene i profitti di Intesa Sanpaolo si attesteranno su livelli paragonabili a quelli dell’esercizio precedente e quindi il cda potrà riproporre una cedola altrettanto corposa.

ENI: L’INCOGNITA TASSA EXTRA-PROFITTI ENERGIA SUI DIVIDENDI

Molto buono anche il rendimento di Eni: 6,2% complessivo tra acconto e saldo. Il primo trimestre del 2022 ha fatto segnare un balzo dei profitti a 3,583 miliardi di euro da 856 milioni un anno prima. Il management non ha comunicato previsioni sull’utile netto 2022 ma ha approvato un incremento del dividendo a 0,88 euro per azione contro gli 0,86 appena staccati. Questo sulla base di un prezzo di riferimento del Brent tra 80 e 90 dollari/barile – cui va aggiunto un buyback da 1,1 miliardi di euro. Al momento il prezzo medio del Brent nel 2022 è pari a circa 101 dollari/barile e l’EIA – l’Energy Information Administration americana – prevede che la media a fine anno si attesti poco sopra i 103.

In base a questi dati la stima di Eni appare prudente, quindi con buone possibilità di essere centrata. Ma attenzione alla tassa sugli extra-profitti delle imprese dell’energia: il decreto Aiuti ha incrementato l’aliquota dal 10 al 25 per cento. Con la tassa al 10% l’impatto era stimato in alcune centinaia di milioni di euro: ma ora questa stima andrebbe più che raddoppiata. Da segnalare che da quest’anno Eni pagherà il dividendo in quattro rate trimestrali di importo identico a partire da settembre.

AZIMUT, DIFFICILE REPLICARE GLI UTILI RECORD 2021

Altro dividendo pesante quello di Azimut Holding: il dividend yield è stato del 6,4%, frutto dei profitti record dell’esercizio 2021. L’utile si è attestato a 605 milioni di euro, in rialzo del 59%. Il 2022 non sarà altrettanto eccezionale: il gruppo del risparmio gestito prevede infatti un risultato netto pari ad almeno 400 milioni. La stima sembra azzeccata, stando ai dati del primo trimestre: i profitti si sono attestati a 95,5 milioni (contro i 96,8 di un anno prima). A meno di uno sprint nella parte restante del 2022 sarà difficile per il cda replicare la cedola da 1,3 euro per azione staccata lunedì scorso.

EQUITA: INIZIO 2022 POCO BRILLANTE

Sfida difficile anche per Equita che nel 2022 gratificherà gli azionisti con 0,35 euro di dividendo per azione, con un rendimento dell’8,7% sul prezzo dell’azione di venerdì 20 maggio. La cedola viene distribuita in due tranche, la prima da 0,19 euro lunedì scorso e la seconda da 0,16 a novembre. Molto difficile che l’anno prossimo il dividendo si confermi su questi livelli. L’inizio del 2022 è stato infatti poco brillante, con ricavi in calo dell’8% e risultato netto a 3,8 milioni di euro dai 4,5 di un anno fa. Nel 2021 i ricavi sono saliti del 33% e il risultato netto del 76% a 21,5 milioni. Anche nel caso di Equita si prospetta quindi un ritorno verso rendimenti da dividendi buoni ma non eccezionali come accaduto quest’anno. ©

Simone Ferradini

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Foto: Josh Appel da Unsplash