La produzione vinicola in tutto il nord Italia soffre non solo per la mancanza d’acqua, ma anche per le altissime temperature e per l’assenza di un’escursione termica adeguata alla maturazione dell’uva. Di questo passo, avvisano gli agricoltori dal Veneto alla Lombardia, è a rischio quasi un terzo del raccolto della vendemmia di quest’anno.
In molti però tentano di reagire a questa situazione emergenziale, sia con soluzioni nel breve periodo sia con una programmazione in grado di far fronte al cambiamento climatico, che sta all’origine delle temperature torride e della mancanza di precipitazioni di questa estate. La speranza è che, anche con una quantità meno elevata, quella di quest’anno possa essere una vendemmia di alta qualità.
Vendemmia anticipata e tecnologie, come si combatte la siccità nei vigneti
La prima linea di difesa dei viticoltori contro la siccità sarà l’anticipo della vendemmia. Come accade sempre più spesso dato l’aumento delle temperature, l’uva viene raccolta con una o due settimane di anticipo rispetto alla media dell’ultimo mezzo secolo. Quest’anno la situazione potrebbe essere anche più estrema: per quanto riguarda i vigneti destinati allo spumante, i primi a essere raccolti, si potrebbe cominciare a vendemmiare già dal 10 di agosto, se la situazione meteorologica non dovesse cambiare.
Secondo Coldiretti, ciò non dovrebbe causare un calo della produzione, almeno per il 2022. I dati raccolti riportano che nonostante il grave stress dovuto alla siccità, la vendemmia dovrebbe aggirarsi attorno ai 14 milioni di quintali, gli stessi dello scorso anno. Le preoccupazioni sul breve periodo riguardano più i costi delle materie prime e il calo delle vendite: «Come previsto dell’Unione Italiana Vini, con il mese di aprile gli ordini di vino made in Italy hanno iniziato ad accusare un primo rallentamento», spiega il segretario UIV Paolo Castelletti. «Prevediamo, per i prossimi mesi, un’inversione di tendenza ancor più significativa, e questo non aiuta certo un comparto che sta già subendo un’escalation di costi di energia, trasporti e materie prime in grado di influire mediamente per circa il 30% sul prodotto finito».
Invece, l’allarme climate change riguarda soprattutto il futuro più lontano: se la situazione climatica dovesse continuare a peggiorare, l’intero settore potrebbe cominciare a risentirne pesantemente. Secondo uno studio dell’Istituto francese di ricerca agronomica, l’Italia potrebbe perdere fino al 68% delle aree idonee alla coltivazione della vite entro il 2050. Gli ultimi dati raccontano che il settore vinicolo italiano è in continua crescita, e nel 2021 ha sfiorato i 13 miliardi di euro di fatturato. L’export fa da padrone, con 7,1 miliardi e un aumento del 12% rispetto all’anno precedente, trainato dal successo degli spumanti. La perdita di due terzi delle aree idonee sarebbe un colpo mortale a questo settore, e un danno economico incalcolabile al Paese.
Per adattarsi a questo cambiamento inevitabile, molti viticoltori stanno cercando alternative ai metodi di coltivazione utilizzati fino a oggi. In Franciacorta, si punta sull’Erbamat, un vitigno autoctono del bresciano coltivato fin dal sedicesimo secolo, che ben si adatta alla produzione del Franciacorta, ma che si vendemmia normalmente molto tardi, all’inizio di ottobre. Questa sua caratteristica gli permetterebbe di adattarsi meglio alle vendemmie anticipate di questi anni, causate dalla sofferenza dei vitigni più utilizzati come il Pinot e lo Chardonnay.
Un’altra soluzione, attuata nel Chianti, è quella di utilizzare un portainnesto molto resistente e radicato. Si tratta della parte inferiore della pianta, su cui viene innestato il resto della vite. Scegliendo un portainnesto con radici più profonde, si può avere accesso a strati di terreno che subiscono meno gli effetti della siccità. In questo modo si creano vigneti meno esposti alle torride estati che, se la situazione del riscaldamento globale non dovesse migliorare, saranno sempre più frequenti anche in Italia.
Matteo Runchi
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