Le compagnie petrolifere puntano a diventare Green. O almeno è quello che dicono. Ma è davvero così? Dipende. Se investire il 5% dei propri profitti è sufficiente, allora è vero. È questa, infatti, la somma destinata da Bp, Shell, TotalEnergies ed Equinor nella prima metà di quest’anno su energia a basse emissioni di carbonio, su un guadagno di 74,4 miliardi di sterline. È evidente che la strada sia in salita, visto che, nonostante le evidenze, ancora oggi c’è chi non vuole mettere la parola fine alle fonti fossili. Secondo l’Ong Banking on Climate Chaos, le 60 banche più grandi al mondo hanno finanziato il settore dei combustibili fossili, tra il 2016 e il 2020, per 3.800 miliardi di dollari. Un trend che non sembra fermarsi e che mette anche in pericolo gli sforzi compiuti per bloccare l’aumento della temperature mondiale, decisi alla Cop26 di Glasgow e confermati dalla Cop27 in Egitto. «Come comunità scientifica abbiamo detto che dovremmo rimanere al di sotto del grado e mezzo per evitare punti di non ritorno», dice Antonello Pasini, fisico del clima del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche). Con gli accordi attuali siamo a 2,5 gradi e non credo sia la strada giusta. Si danno ancora sussidi per i combustibili fossili, mentre la normativa europea ci dice che dobbiamo andare in un’altra direzione».
Un dato è certo: negli ultimi cinque anni, dieci banche hanno riempito le casse delle società del settore dei fossil fuels di 2.445 miliardi di dollari. Nello specifico, chi sono e quanto hanno investito? JP Morgan Chase (382 miliardi), Citi (285 miliardi), Wells Fargo (272 miliardi), Bank of America (232 miliardi), RBC (201 miliardi), MUFG (181 miliardi), Barclays (167 miliardi), Mizuho (156 miliardi), Scotiabank (149 miliardi), BNP Paribas (142 miliardi), TD (141 miliardi), Morgan Stanley (137 miliardi). Scorrendo la lista degli istituti di credito spiccano anche due italiane, con cifre decisamente inferiori: Intesa Sanpaolo e Unicredit. La prima ha finanziato 17,93 miliardi di dollari: la somma più corposa a Eni (2,83 miliardi), ma troviamo anche la svizzera Trans Adriatic Pipeline AG (1,56 miliardi), la statunitense Cheniere Energy Inc (1,16 miliardi), la russa Gazprom PJSC (999 milioni) e l’olandese Nostrum Oil & Gas PLC (281 milioni). Cifre che raddoppiano per Unicredit, che ha sborsato poco più di 36 miliardi di dollari: anche in questo caso la quota maggiore a Eni (4,19 miliardi), segue la russa Gazprom PJSC (2,51 miliardi), l’austriaca OMV AG (2,25 miliardi), ma troviamo anche la tedesca Marquard & Bahls AG (1,11 miliardi) e la cipriota Gunvor Group Ltd (1,41 miliardi). La transizione energetica, però, non è uno scherzo perché lo scopo è vivere in un mondo più sostenibile e aiutare famiglie e imprese contro l’aumento vertiginoso dei prezzi dell’energia e delle materie prime, due fattori che mettono in difficoltà la ripresa nel post pandemia dell’economia globale. Il concetto è stato ribadito anche dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Lyen. Più volte ha sottolineato che ci sono ritardi sull’efficienza energetica e sulle rinnovabili.
Esistono soluzioni al cambiamento climatico nel breve termine?
«La situazione, in generale, è complessa. Innanzitutto non c’è solo l’obiettivo della riduzione dei combustibili fossili (che conta almeno un 70%), ma anche quello della deforestazione e di un’agricoltura più sostenibile. Non dobbiamo tappare i buchi delle singole urgenze, perché alla fine continueremo ad avere sempre più emergenze di vario tipo meteo-climatico: siccità, ondate di calore ma anche eventi estremi. Rischiamo non di scegliere il nostro futuro, ma di rincorrerlo. Una possibile soluzione è importare il GNL (Gas Naturale Liquefatto) da Paesi africani, ma non tutti hanno le strutture adatte all’esportazione. Non si possono chiudere accordi con alcuni Stati africani che non hanno le strutture adatte all’esportazione. Un’altro nodo cruciale è rappresentato dalle decine di gigawatt di rinnovabili ancora bloccate che potrebbero affrancarci molto dalle importazioni di gas naturale. Bisogna avere l’occhio lungo».
Le energie pulite possono giocare un ruolo fondamentale nei prossimi anni. Ma bisogna ancora lavorare molto. A livello mondiale, infatti, nel 2021 hanno avuto un peso, del 28,3% della produzione totale di energia elettrica, con eolico e solari quintuplicati in dieci anni. I dati sono stati pubblicati nel Rapporto GreenItaly 2022, realizzato dalla Fondazione Symbola e Unioncamere. I numeri sono ancora insufficienti per raggiungere i target di decarbonizzazione fissati dall’UE. Un processo lungo che deve scontrarsi con molti ostacoli.
In Italia si vive un paradosso: da una parte, diversi operatori economici sono pronti a investire (a fine agosto le richieste di connessione alla rete di Terna erano di 280GW, quattro volte gli obiettivi che il Belpaese si è dato al 2030), dall’altra bisogna lottare con i tempi biblici della burocrazia: i ritardi nell’emanazione dei decreti attuativi sulle comunità energetiche rinnovabili, i tempi autorizzativi ma anche le opposizioni locali. Tutti fattori che rallentano l’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. L’anno scorso è stata installata una potenza di 1.351 MW, ma i numeri si distaccano notevolmente dal target definito dal Governo di 70 GW entro i prossimi otto anni. Un obiettivo che darebbe una boccata d’ossigeno al Paese, con un risparmio di oltre 26 milioni di metri cubi di gas (la stessa quantità importata dal Cremlino negli ultimi dodici mesi).
Gli impianti fotovoltaici di grande taglia stentano a crescere (discorso a parte per quelli piccoli e medi) e reperire componenti e professionisti specializzati nelle installazioni diventa sempre più difficile…
«Dal punto di vista normativo bisogna snellire e rendere più veloci gli iter autorizzativi delle rinnovabili e delle comunità energetiche».
Nonostante il processo verso la transizione ecologica arranchi, nel primo semestre di quest’anno sono arrivati segnali positivi da diversi settori. L’Italia ha connesso oltre 1 GW di potenza fotovoltaica, entrando nella cerchia dei 18 Paesi al mondo che hanno superato la soglia di 1 GW/anno. Confermata la leadership sul recupero di materia, un comparto in cui lo Stivale, povero di materie prime, da tempo primeggia. Secondo quanto riporta Eurostat, si è rafforzato il riciclo dei rifiuti, raggiungendo nel 2020 il record dell’83,4%. Una percentuale di gran lunga superiore a quella di Germania (70%), Francia (64,5%) e Spagna (65,3) e alla media UE (53,8%). Un risultato che si è tradotto in una riduzione di 23 milioni di tonnellate di emissioni di petrolio e 63 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno. Sorride anche il settore degli oli minerali usati, dove primeggiamo in Europa con il 98% del totale raccolto rigenerato in basi per lubrificanti, oli leggeri e altri prodotti petroliferi. Grazie al lavoro svolto in questi anni dalla società Ecopneus, che opera nell’attività di recupero di PFU (pneumatici fuori uso), l’Italia ha risparmiato 79 milioni di euro sulle importazioni di materie prime, ha evitato 310mila tonnellate di emissioni in atmosfera di CO2 e consumato 1,23 milioni di metri cubi in meno di acqua. Dopo Germania, Cina e Stati Uniti, il nostro Paese è il quarto produttore al mondo di biogas ed è leader nel biologico a livello europeo, con un’incidenza sulla superficie utilizzata del 17,4% (dato riferito al 2001). Lo Stivale vanta anche il distretto biologico più grande d’Europa. La spinta sostenibile è molto forte anche nel settore dell’edilizia. Grazie agli incentivi fiscali e ai bonus statali, gli investimenti nella riqualificazione delle abitazioni hanno registrato una crescita del 25%. Solo con il Superbonus sono state risparmiate 979mila tonnellate di CO2 a cantieri conclusi e il risparmio medio annuo di ogni beneficiario in bolletta è stato di 500 euro, per un totale di 15,3 miliardi di euro. Anche le acciaierie hanno tracciato la strada verso un mondo più sostenibile: Federalpi investirà 116 milioni per la realizzazione di un impianto fotovoltaico con l’obiettivo di raggiungere una produzione di 200 milioni di kW/h. Arvedi è diventata la prima acciaieria al mondo certificata Net Zero Emission, un risultato raggiunto 28 anni prima del target fissato dalla Commissione UE. E ancora: il settore che guarderà con attenzione alle emissioni è quello dell’automotive. L’obiettivo principale è l’elettrificazione dei mezzi di trasporto per allinearsi alla decisione del Consiglio Europeo Ambiente, Clima ed Energia sul bando ai motori endotermici dal 2035. La produzione di vetture elettriche e ibride in Italia ha superato il 40% della produzione complessiva nazionale nel 2021, un grande passo in avanti considerando che nel 2019 il dato si attestava allo 0,1%. I benefici della transizione energetica si riscontrano anche sul fronte dell’occupazione e dei fatturati delle imprese. Nel quinquennio 2017-2021 più di una su tre ha effettuato eco-investimenti (531.170, pari al 37,6%). Le aziende verdi sono anche le più dinamiche sui mercati esteri (vedono crescere il fatturato (49% contro 39%) e le assunzioni (23% contro il 16). La curva degli occupati in green jobs continua a crescere. L’anno scorso erano il 13,7% del totale. Quest’anno sono stati inserite più di 1 milione e 600 mila unità, pari al 34,5% del totale dei contratti attivati (con un +443mila in più rispetto all’anno precedente e una crescita del 38,3%). ©
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