Nei prossimi decenni il “nuovo petrolio” si chiamerà biomasse? Forse. La strada sarebbe già tutta in discesa. In Europa il numero di bioraffinerie continua ad aumentare. In queste settimane il colosso Eni ha confermato che avanza sempre più l’ipotesi della realizzazione, nel sito industriale di Livorno, di una nuova bio-raffineria. È stato presentato uno studio di fattibilità sulla costruzione di tre nuovi impianti per la produzione di biocarburanti: un’unità di pretrattamento della cariche biogeniche (che hanno origine da materiale organico in decomposizione), un impianto Ecofinding da 500mila tonnellate/anno e un impianto di produzione di idrogeno da gas metano. La nuova struttura dovrebbe sorgere nell’area industriale che oggi ospita gli impianti per la produzione di carburanti e lubrificanti. Ma quali operazioni avvengono in una bioraffineria? Attraverso vari processi, dalla pirolisi alla gassificazione, passando per la termoliquefazione fino a diversi usi di energie rinnovabili, si ottengono biocarburanti, bio-oli o intermedi della chimica verde. Di conseguenza, pensare a prodotti naturali come la paglia, il mais, il legno, gli zuccheri o i rifiuti come base delle energie del futuro non è un’idea peregrina. La crisi climatica impone un cambio di passo radicale dalle fonti fossili all’utilizzo sempre più massiccio di fonti rinnovabili ed energia pulita. In Europa, al 2020, secondo un sondaggio della Nova-Institute, si contano ben 224 bioraffinerie. L’UE nel nuovo Green Deal si è posta l’obiettivo di diventare carbon neutral entro il 2050 e abbattere le emissioni del 40% nei prossimi dieci anni. Ecco perché le bioraffinerie possono giocare un ruolo strategico e decisivo nella lotta contro i cambiamenti climatici e diventare uno degli attori principali dell’energy transition. ©
Mario Catalano
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