giovedì, 25 Aprile 2024

Crypto-crack: per ripartire servono regole

Sommario
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L’educazione finanziaria è uno strumento di difesa dalla disinformazione, che a volte sfocia in terrorismo psicologico. A farne le spese sono gli investitori inesperti, che perdono i propri soldi puntando sull’ultima criptovaluta sulla bocca di tutti. Al tempo stesso, conoscere le basi di economia e finanza offre una difesa contro la generalizzazione, concetto a volte confuso con la semplificazione. Dire che il valore della crypto X è sceso vertiginosamente da un giorno all’altro, ricostruirne cause e conseguenze è buona informazione. Al contrario, affermare che tutto l’universo delle criptovalute sta crollando è mistificare la realtà. «Non dobbiamo diventare tutti trader. Ma è importante che le persone siano coscienti di tutto quello che devono fare per salvaguardare i propri soldi, i concetti basilari della finanza. Gli italiani devono imparare, non è più possibile un gap così marcato rispetto agli altri Paesi europei sull’educazione finanziaria. Aiuti, sostegni, redditi aggiuntivi hanno rappresentato un cattivo esempio per l’italiano medio, abituandolo alla mancanza di pianificazione. Per questo motivo è importante fare educazione finanziaria», spiega Alessandro Fatichi Team Manager dei Life Banker, la rete dei Consulenti Finanziari BNL e autore della serie di libri La Finanza Amichevole.

Crypto, crollano i falsi miti

La guerra, l’inflazione e il passaggio a una fase di mercato ribassista hanno stracciato il velo di Maya che faceva apparire le criptovalute come il paradiso terrestre dei trader. La speculazione è un fenomeno diffuso, come dimostra il destino di alcune valute digitali e piattaforme di exchange. «Il recente aumento dei tassi d’interesse da parte delle Banche centrali per contrastare l’inflazione, ha contribuito a provocare ribassi di grande portata del valore di azioni e obbligazioni. Personalmente in 36 anni di lavoro non ho mai visto ribassi di mercati obbligazionari in questo modo», aggiunge Fatichi.

Spesso si teme l’ignoto, riprendendo il sottotitolo del suo libro, come semplificare la finanza per renderla alla portata di tutti?

«Nel 2018 ho iniziato il progetto de La Finanza Amichevole, che nasce proprio allo scopo di semplificare il concetto ostico di finanza. Ho iniziato creando pillole video e poi sono passato ai podcast. Nel 2020 ho trasformato i podcast nei due libri pubblicati. Ora sto lavorando al terzo episodio, che sarà tradotto anche in inglese e anche questa volta il ricavato andrà interamente all’associazione Dravet Italia ONLUS. Nel periodo che ho svolto come volontario nelle scuole che City Bank ha portato in Italia mi sono reso conto dello scarso livello di conoscenza finanziaria del Paese. Siamo stati abituati a crescere sotto una forma di assistenzialismo statale, di certezze sulla pensione, sulla sanità, sugli immobili. Non abbiamo approfondito la cultura finanziaria e il concetto della pianificazione degli investimenti. Oggi che le certezze sono sostanzialmente sparite perché gli immobili sono diventati un costo, la sanità non copre più tutto, è cambiato il sistema pensionistico. Questo ha evidenziato lacune nella conoscenza della finanza. Oggi le persone si chiedono cosa fare per la pensione, cosa fare per coprire malattie e imprevisti sanitari. È giusto continuare a fare educazione finanziaria perché bisogna capire che nel vocabolario esiste anche la parola “pianificazione”, sebbene sia poco usata. Tutti i giorni affrontiamo temi finanziari, ad esempio il bilancio familiare è economia e finanza».

Cosa succede sui mercati finanziari?

«Alla fine dello scorso anno si stava affacciando lo spauracchio dell’inflazione. Inflazione che ha subito una grossa accelerazione con il conflitto in Ucraina, che ha decretato l’impennata dei costi di materie prime e energia, che servono alle aziende per produrre. Questo ha avuto un ruolo importante e un forte impatto sui mercati azionari. Sui mercati obbligazionari abbiamo assistito a un crollo dovuto all’inflazione e al rialzo dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali per combatterla. Questo ha contribuito a produrre ribassi che non si vedevano ormai da 50/60 anni. È sceso tutto, l’azionario, l’obbligazionario. Persino l’oro ha subito una flessione, a ottobre ha fatto registrare una perdita di valore del 10% dall’inizio dell’anno, prima della ripresa degli ultimi mesi. Dobbiamo dire che i mercati tecnologici venivano da un decennio di rialzi, valutazioni abbastanza elevate rispetto al valore reale. Il conflitto secondo me ci ha riportato un po’ con i piedi per terra perché la finanza ha soppiantato l’economia reale, questo è anche uno dei problemi dei mercati. Alcuni settori avevano una valutazione un po’ troppo elevata, in base a quello che era il mercato. Basta vedere il crollo che hanno avuto le Big Tech, Meta in primis. Per non parlare poi del mondo delle criptovalute».

A proposito di crypto, cosa è successo a FTX, una delle più celebri piattaforme di scambio di crypto?

«Nel podcast ho parlato del fatto che la bolla Internet dei primi anni 2000 ha delle similitudini con le crypto. Saliva tutto in maniera irrazionale ed è quello che sta succedendo un po’ oggi perché molte criptovalute non sono altro che Schemi Ponzi. Bitcoin nasce con un fine etico, una moneta digitale scollegata dalle banche centrali. Cosa è successo? Si è sviluppato in altro modo. La crypto è diventata la valuta del deep web, di tutto ciò che riguarda l’illegalità: droga, armi, sommerso. Tutto quello che non è regolamentato comporta grandi rischi. Il destino di FTX, una delle più grandi piattaforme di scambio esistenti, è legato agli investimenti fatti nel mondo di token e NFT. Quindi lo sviluppo di oggetti in forma digitale e tutta la speculazione che c’è dietro. Inoltre, FTX ha fatto grandi operazioni speculative anche sulle crypto. Anche questo ha portato a svalutazioni e rischi non indifferenti».

Altre piattaforme di crypto sono a rischio?

«C’è la possibilità che si scateni un effetto domino, anche se non credo che si verifichi. Piuttosto credo che le criptovalute avranno un futuro solo se saranno regolamentate. Ogni crypto non è infinita, ha un suo valore massimo. Ne nasceranno altre, ma se non si interviene con norme e leggi accadrà spesso quello a cui stiamo assistendo. È già successo nel 2014, quando Bitcoin è salito da 0 a 10.000 $. Secondo una statistica fatta dalla Banca dei regolamenti internazionali (la più antica istituzione finanziaria internazionale al mondo che nasce per facilitare la cooperazione monetaria e finanziaria tra le banche centrali degli Stati membri) sulla base delle transazioni risulta che l’80% delle persone che hanno investito in Bitcoin hanno perso soldi. Numeri da prendere con le pinze, ma che servono a dare un’idea del fenomeno».

Oggi esiste il settore della finanza etica. Come rendere l’intera finanza più etica?

«È una domanda che si fanno in molti. Penso che dobbiamo cambiare i nostri comportamenti per essere più sociali. Il lockdown ci ha reso più egoisti. Non finanziare armi, investire nella salvaguardia dell’ambiente. A questo proposito, in questi ultimi 20/30 anni il mondo non fatto nulla, o poco, per accompagnare la transizione energetica».

Si parla spesso di sostenibilità, ma il bilancio che emerge dalla COP27 non è incoraggiante. Come aiutare le aziende a evolversi verso l’economia circolare?

«Purtroppo non è nulla di nuovo. I Paesi industrializzati parlano tanto di sostenibilità ma alla fine sono gli stessi che sprecano più cibo, inquinano maggiormente e sprecano risorse. La Cina ha acquistato territori in Africa per avere le materie prime, non a caso insieme all’India diventeranno le prime due superpotenze economiche nei prossimi anni. Ma ognuno di noi può dare il proprio contributo. In Italia facciamo la raccolta differenziata a macchia di leopardo. Lo stesso vale per lo sviluppo dell’economia circolare. Oggi paghiamo i danni della globalizzazione e del consumismo estremo. Negli ultimi trent’anni siamo stati abituati a comprare un prodotto che dura poco e tra qualche anno dovremo buttare. Non esiste più il concetto di aggiustare o riutilizzare. Prima bastava cambiare il tubo catodico e il televisore ricominciava a funzionare. Oggi si butta tutto l’apparecchio e se ne compra uno nuovo. Un atteggiamento che paghiamo caramente, avendo inquinato e sfruttato l’ambiente. Oggi c’è bisogno di un cambiamento drastico, ma tutto è troppo legato ai poteri forti. Dovremmo diventare più socialmente uniti, disposti a aiutare le persone. Non possiamo legare tutto al profitto, dobbiamo aumentare il concetto di sostenibilità sotto tutti i punti di vista. Fino ad oggi ci siamo solo riempiti la bocca».

L’associazione Dravet Italia ONLUS nasce con l’intento di agire attivamente per migliorare la qualità della vita dei bambini affetti dalla sindrome di Dravet. Che percentuale occupano oggi gli investimenti in ricerca scientifica?

«A livello mondiale i fondi destinati alla ricerca ammontano a meno del 4% del PIL (Prodotto Interno Lordo), una quantità irrisoria. Il 90% di questi investimenti viene fatto da Asia, Nord America e Europa. Alle prime posizioni troviamo Stati Uniti, Cina, Giappone, Germania, Corea del Sud, India e Francia. L’Italia si posiziona intorno al quindicesimo posto. Indirizziamo nella ricerca meno del 2% del PIL nazionale. Queste cifre danno esattamente l’idea della mentalità diffusa in questi decenni: produrre all’inverosimile per arricchirsi in maniera irrazionale, senza una pianificazione. Un discorso che vale particolarmente per gli Stati, mentre le aziende si sono dimostrate generalmente più lungimiranti. Se avessimo investito 20 anni fa nel fotovoltaico, oggi potrebbe coprire il nostro fabbisogno energetico. Le trivelle per l’estrazione di gas sono ferme nell’Adriatico. La stessa geotermia potrebbe essere sfruttata di più, puntando sul basso costo di produzione. Siamo un Paese che potrebbe essere autosufficiente, ma dipendiamo molto dall’Estero grazie alla mancanza di visione che ha caratterizzato le politiche degli ultimi 50/60 anni». ©

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