venerdì, 26 Aprile 2024
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Calciomercato

Nessun grande investimento previsto dalle società per il  calciomercato di gennaio. Le trattative invernali di mercato sono limitate, con meno tempo a disposizione e squadre poco propense a vendere. E, mentre i tifosi attendono che i club acquistino ciò che serve alla squadra per correggere le mancanze della prima parte della stagione, raramente la dirigenza prevedono grosse spese in questa fase. Un esempio chiaro di quanto poco piaccia alle società spendere in questo momento lo si può avere paragonando i dati estivi e quelli invernali del 2022 del più ricco e importante campionato al mondo, la Premier League inglese.

Calciomercato, il paragone tra Serie A e Premier League

Durante la finestra di mercato invernale, aperta per tutto il primo mese dell’anno, le squadre d’oltremanica hanno speso 301 milioni di sterline. L’estate successiva, gli investimenti sono stati 2,2 miliardi, sette volte tanto. Non solo, ma questa cifra supera il totale di quanto speso in Europa durante il mercato di riparazione del 2022 di più del 100%. Gli investimenti durante questo periodo sono stati soltanto 1,03 miliardi.

Per le squadre di Serie A vale un discorso simile a quelle inglesi. Paragonando i numeri delle due sessioni di mercato, la spesa dei club italiani a gennaio 2022 ammontava 113 milioni, 70 dei quali vengono dall’affare Dušan Vlahović, attaccante della Fiorentina acquistato dalla Juventus. A fronte di questa situazione straordinaria, che ha spinto il mercato finanziando almeno 20 milioni di euro di spesa da parte della Viola, il paragone con il mercato estivo rimane totalmente sbilanciato. Gli investimenti per i cartellini dei giocatori sono stati di 745,8 milioni, circa sei volte tanto, in linea con le percentuali della Premier League.

La principale ragione di questo divario è che, tradizionalmente, l’estate è il momento in cui si costruiscono i progetti tecnici. La pausa invernale nei grandi campionati è molto breve e negli ultimi anni, con l’usanza di giocare subito dopo Natale, si è anche accorciata. Il tempo di programmare un cambiamento radicale all’interno di una squadra semplicemente non c’è, e quindi gli interventi tendono ad essere minimi. Questo a meno di situazioni che richiedono azioni immediate, come gravi infortuni o risultati sportivi largamente sotto le aspettative. 

Calciomercato: l’effetto Mondiali

Il mercato di gennaio 2023 potrebbe però essere diverso dal passato, perché è l’intera stagione 2022/2023 a essere senza precedenti. I Mondiali di Qatar 2022 hanno sconvolto il calendario, interrompendo campionati e coppe europee a fine novembre. Una pausa obbligata di quasi due mesi, fino ai primi di gennaio, che forse ha permesso alle società di programmare meglio eventuali colpi di mercato. L’effetto mondiali è da considerare, sotto due punti di vista. Da un lato il campionato del mondo è una vetrina unica per i talenti del calcio internazionale, specialmente per coloro che vengono da nazioni solitamente poco considerate dall’Europa.

Una buona prestazione nelle poche partite a disposizione può ingolosire i grandi club. Quelli che avrebbero la possibilità di muoversi in anticipo rispetto al passato, quando il mondiali era in estate. Questo fattore potrebbe quindi spingere le spese e aumentare il giro d’affari di questa sessione invernale.  Un altro fattore, però, potrebbe costringere i club a investire di più nel mercato di gennaio: gli infortuni. La Coppa del Mondo è densa di partite ad altissima intensità e di conseguenza è famosa per la quantità di infortuni che causa ai giocatori coinvolti.

Molti club, in particolare quelli più grandi che mandano molti calciatori in Nazionale, potrebbero essere costretti a intervenire sul mercato per colmare i buchi creati in rosa da questi acciacchi fisici. Nonostante il possibile effetto Mondiali, è evidente dai dati sopracitati che le squadre di Serie A spendono molto meno di altre. Una parte di questa differenza è dovuta all’anomalia inglese, con la Premier League che ormai vale quanto gli altri quattro grandi campionati insieme. Ma dall’altra parte pesano almeno tre fattori, due regolamentari e uno economico, che frenano le spese. 

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I debiti delle grandi di Serie A

Partendo dalla situazione economica, i club italiani sono tutt’altro che in salute. Tutte le squadre soffrono di un debito piuttosto pesante, che di per sé limita gli investimenti. Sono proprio due dei maggiori club della Serie A, l’Inter e la Juventus, a essere frenate da un rosso di bilancio che ne azzoppa le ambizioni di mercato. Nerazzurri e bianconeri soffrono entrambi di un passivo superiore ai 600 milioni, e l’ultima sessione di mercato di entrambe, quella estiva, lo ha dimostrato. La società di Torino ha acquistato giocatori solo a fronte della ricca cessione di Matthijs De Ligt al Bayern Monaco. Proprio la scarsità di disponibilità economica ha impedito all’Inter di trovare un accordo con Paulo Dybala e con Gleison Bremer, quest’ultimo finito proprio alla Juventus.

A fronte di debiti sempre più pesanti e di una pandemia che ha messo a dura prova i conti di tutte le squadre di calcio del mondo, c’è stato anche un cambio di mentalità in Serie A. Dopo anni di spese e ricerca di investitori esterni che finanziassero le costosissime attività di un club di calcio, ora anche le maggiori squadre sembrano voler puntare alla sostenibilità economica. Lo ha dichiarato anche la Juventus che più di altre squadre in questi anni ha investito pesantemente sul mercato, con giocatori come Cristiano Ronaldo o Gonzalo Higuain che non avevano possibilità di dare un ritorno economico futuro.

Ha fatto forse scuola in fatto di sostenibilità dei conti, la gestione di Elliot del Milan. Il fondo americano ha acquistato la squadra, razionalizzato le spese al limite dell’estremo, lasciando anche andare giocatori importantissimi fino al capitano Gianluigi Donnarumma pur di tenere i conti in ordine. Non solo l’obiettivo dei conti è stato raggiunto, ma la conquista dello scudetto ha sancito la possibilità di vincere e allo stesso tempo non aumentare il debito della società. Questa sostenibilità però non è tutta farina del sacco delle squadre di calcio. Sono state anche le istituzioni del mondo del pallone, con provvedimenti ormai decennali, a costringere i club a regolare meglio i propri conti.

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L’indice di liquidità e il Fair Play Finanziario

In Italia la misura più conosciuta a riguardo è l’indice di liquidità. Parametro spesso utilizzato in economia per avere un’idea semplice dello stato di salute di una società, che sta diventando il riferimento per assicurarsi che una squadra di calcio non stia per fallire.

Fu il caso del Parma della stagione 2015 (che dopo essersi qualificato per l’Europa League nella stagione 2013/2014, fu escluso dalla stessa perché non gli fu concessa la licenza UEFA a causa di una ritenuta irpef da circa 300 mila euro non pagata. Questa infrazione scoperchiò un sistema detto di “Pesca a strascico”, che impiegava centinaia di giocatori dispersi in società satellite per mascherare un bilancio disastrato. Durante la stagione 2014/2015 il Parma fu dichiarato fallito. I tentativi di ristrutturare il debito sportivo non furono abbastanza e il club dovette ripartire dal calcio dilettantistico) a convincere la FIGC a introdurre gradualmente questo parametro, anche se per ora con punizioni molto leggere. In estate si ventilava di legare l’autorizzazione a partecipare al massimo campionato a un quick ratio dello 0,5. Anche questa opzione è poi però saltata in favore di multe e penalizzazioni sul mercato.

Un altro parametro le cui condizioni sono molto più stringenti è quello imposto dalla UEFA, il temutissimo Fair Play Finanziario. Come suggerisce il nome, a differenza dell’indice di liquidità questa norma vuole impedire che le squadre con proprietà ricchissime monopolizzino il mercato, con investimenti a perdere che rappresenterebbero una sorta di concorrenza sleale. I parametri però rendono molto complesso attrarre investimenti dall’esterno o dalla proprietà e di conseguenza dirottare i fondi sul calciomercato. Già diverse squadre italiane sono state multate per non averlo rispettato e anche questo inverno il mercato sarà condizionato da entrambe queste norme.  

L’importanza dei diritti TV

I trend economici del mondo del calcio sono chiari. C’è un aumento dei costi, soprattutto per quanto riguarda gli stipendi dei calciatori che va di pari passo con l’impennata del loro potere contrattuale. C’è poi una progressiva internazionalizzazione del cacio, svolta però accompagnata da un accentramento nelle mani di pochi grandi club di buona parte del potere finanziario. La testimonianza di questa tendenza è il pur fallito tentativo di una Superlega europea, una competizione alternativa a quelle UEFA, organizzata dai maggiori club europei.

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Negli anni i diritti TV sono diventati, anche grazie alle restrizioni sugli investimenti, l’unica fonte sicura di entrate per le squadre. La ripartizione dei soldi derivati dalla loro vendita si basa su quanto una squadra sia seguita, e non direttamente sui propri risultati sportivi. Questo spiega perché un club come il Manchester United, da anni incapace non solo di vincere, ma anche di avere risultati soddisfacenti, possa permettersi campagne acquisti faraoniche. I Red Devils sono infatti la squadra più seguita al mondo. Questo modello di business è anche il motivo della progressiva perdita di importanza della Serie A.

Dopo il periodo di gloria di inizio millennio, lo scandalo di calciopoli ha posto fine definitivamente alle centralità del campionato italiano. I diritti di trasmissione della Serie A valgono pochissimo se confrontati con quelli della Premier League. Se i club italiani vogliono davvero raggiungere la sostenibilità dovranno presto scegliere tra una rivoluzione del proprio modello di crescita e sviluppo. L’alternativa è un definitivo ridimensionamento. Commisurare le uscite alle entrate significa abdicare definitivamente alla posizione di grandi d’Europa, in favore delle squadre inglesi. Senza un cambio di paradigma, come poteva essere la Superlega, la politica della sostenibilità porterà lentamente l’Italia alla periferia del calcio europeo

Attento alle tendenze e profondo conoscitore della stampa estera, è laureato in Storia del giornalismo all’Università degli Studi di Milano. Dinamico, appassionato e osservatore acuto, per il Bollettino si occupa principalmente del mondo dello sport legato a quello finanziario e del settore dei videogiochi, oltre che delle novità del comparto tecnologico e di quello dell’energia.