Il salvataggio di Crédit Suisse lascia a bocca asciutta gli obbligazionisti. Dopo l’acquisizione da parte della rivale UBS, le autorità svizzere decidono di azzerare il valore di bond della banca in sofferenza per 16 miliardi di franchi svizzeri. E il mercato la prende male.
I bond cancellati
Un aspetto particolarmente anomalo dell’operazione di acquisizione di Crédit Suisse ha turbato i mercati. Nel finalizzare l’operazione, il regolatore svizzero ha deciso per il write down di più di 16 miliardi di franchi di obbligazioni subordinate Additional Tier 1. Una decisione quantomeno inusuale, visto il destino diverso spettato agli azionisti. Questi ultimi sono stati remunerati con 0,76 franchi ad azione, per un costo totale di circa 3 miliardi di franchi. Si tratta di un unicum nella casistica in materia.
L’ultimo caso di un azzeramento di simile entità era stato il congelamento dei bond del Banco Popular nel 2017, in occasione dell’acquisizione da parte di Banco Santander. Ma in quel caso le perdite erano ammontate a “soli” 1,44 miliardi di euro e anche gli azionisti avevano perso tutto. Quello di Crédit Suisse segna invece un precedente mai visto. A detta dei più maliziosi (o dei più informati), dovuto al volere di proteggere i principali azionisti Saudi National Bank e Qatar Holding LLC, entrambi fondi sovrani emiratini e detentori rispettivamente del 9,8% e del 5% della banca. A rassicurare gli investitori in fermento arrivano però le autorità UE, con un comunicato congiunto. In esso si legge che, per le banche dell’Eurozona «gli strumenti azionari sono i primi ad assorbire le perdite» e solo in seguito arriva il turno del capitale di debito, anche se subordinato.
L’operazione
Il dossier Crédit Suisse ha ricevuto una svolta radicale con l’annuncio del presidente della Confederazione Elvetica, Alain Berset, che UBS (Unione delle Banche Svizzere), la banca più importante del Paese, rileverà il 100% delle azioni. In aggiunta, per rassicurare gli investitori, la Banca Nazionale Svizzera annuncia che la linea di credito concessa all’istituto in sofferenza, inizialmente valutata in 54 miliardi di franchi, sarà alzata a circa 100. Una decisione che viene dopo un weekend di discussioni in cui, secondo le indiscrezioni, il Governo avrebbe cercato attivamente una soluzione.
Non a caso, perché Crédit Suisse, classificata dal Financial Stability Board come una delle trenta banche “di importanza sistemica globale”, rientra a buon diritto nella categoria degli istituti “too big to fail”. Il nuovo gruppo generato dalla fusione dovrebbe raggiungere circa 1,6 trilioni di dollari di asset netti. Diverrà così la quinta banca più grande d’Europa per asset detenuti. In più, dall’operazione si origineranno economie di scala per un risparmio complessivo di circa 8 miliardi di franchi all’anno di qui al 2027. A dichiararlo è la stessa UBS, che pure non nega la natura di salvataggio del merger.
I dubbi del mercato
Nonostante i tentativi di mostrare il valore economico dell’acquisizione, la reazione delle Borse è stata confusa. I principali listini europei hanno aperto al ribasso, segno di un mercato ancora spaventato dalle notizie preoccupanti degli ultimi giorni, come i fallimenti bancari di SVB e Signature negli USA. In particolare, i titoli e i bond bancari europei hanno mostrato segni di cedimento, salvo poi tornare a recuperare nel corso della giornata. Ad ogni modo, restano forti dubbi sull’esito di questa situazione, con autorevoli analisti che continuano a sostenere come sia presto per poter dire se questo intervento basterà a bloccare l’emorragia. Nello specifico, la condizione del sistema bancario internazionale, messo in difficoltà da problemi di liquidità, sembra ancora quella di un malato convalescente. Non da ultimo, un punto di domanda importante sarà il destino della stessa economia svizzera, largamente dipendente da un sistema bancario ora sottoposto a un cambio epocale quanto obbligato.
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