mercoledì, 11 Dicembre 2024

L’AI minaccia il lavoro degli illustratori

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L’intelligenza artificiale cambia il mondo del lavoro, in particolare quello dell’illustrazione. Programmi che sono passati, nel giro di pochi mesi, da tecnologia di frontiera per pochi a strumento disponibile a tutti. AI come Midjourney, Stable Diffusion e DALL-E permettono ora a chiunque di ottenere immagini generate artificialmente partendo da semplici comandi testuali. Oltre all’ovvia prospettiva di sostituzione lavorativa, gli illustratori hanno però molto da ridire anche su come queste tecnologie siano state addestrate. Milioni di opere di artisti e grafici, protette da copyright, sono state prese e date in pasto alle macchine, che ne hanno estratto i parametri necessari per ricreare le immagini richieste dagli utenti.

Le prime avvisaglie di questa rivoluzione sono già comparse in Cina, dove le aziende videoludiche stanno facendo un utilizzo massiccio di queste tecnologie. Gli impieghi per i grafici sono calati del 70%, a fronte produttività cresciuta 40 volte tanto. Un fenomeno che potrebbe influire pesantemente anche su un settore in grande crescita in Italia negli ultimi anni: quello dei fumetti. Stando agli ultimi dati dell’Associazione Italiana Editori, ci sono più di 10 milioni di lettori di fumetti nel nostro Paese, il 260% in più rispetto al 2019. Un business da oltre 100 milioni di euro, con i manga giapponesi a trainare ricavi e crescita.

Secondo le stime di PwC, l’impatto dell’intelligenza artificiale sulla ricchezza mondiale sarà di 15mila miliardi di dollari entro il 2030, con il 40% dell’intera economia mondiale che sarà legata all’IA. E l’illustrazione sembra la prima frontiera di questo cambiamento, anche se la discussione attorno agli effetti negativi della transizione sembra essersi fermata presto. «Ho il sospetto che si sia iniziato a parlare di AI solo quando ha cominciato a prendere di mira altri ambiti», dice Roberta Sorge, illustratrice, Twitch Ambassador e host di Lucca Comics Digital. «Per il momento a nessuno è venuto in mente di creare delle regolamentazioni apposite».

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Roberta Sorge

Come vedi, da illustratrice, il futuro del tuo lavoro e di quello dei tuoi colleghi alla luce della diffusione dell’intelligenza artificiale generativa?

«Noi illustratori siamo stati i primi a essere presi nel mirino, ma l’opinione generale di chi non si intende della questione è stata largamente negativa, spronandoci ad accettare una realtà di sostituzione lavorativa così com’è. Quando invece la questione ha toccato il mondo della musica, sono stati presi subito dei provvedimenti.

Nel momento in cui è andata virale la falsa canzone di Drake e The Weekend, fatta da un’intelligenza artificiale, Universal l’ha subito fatta rimuovere dimostrando quanto, con la giusta posizione di potere, si possano far sparire velocemente dalla circolazione dei contenuti culturali generati dall’intelligenza artificiale. Quando si parla di grandi aziende le cose si muovono molto velocemente, quando invece si parla di singoli lavoratori non si fa niente. Non credo che ci sia nulla di male nell’automazione di un processo, ma ciò che è sbagliato è quando il metodo di automazione utilizza impropriamente il lavoro altrui.

Gli illustratori si sono difesi manifestando il loro dissenso, e a volte ha anche funzionato. Una delle proteste ha coinvolto il sito Artstation, dal quale molti artisti si sono ritirati lasciando un simbolo con la sigla “AI” barrata in segno di disaccordo con le politiche aziendali che permettevano agli algoritmi di addestrarsi tramite i lavori presenti sul sito: questo ha spinto la società a rivedere i propri termini di utilizzo. Provvedimenti simili sono stati presi da Deviantart e altri siti dello stesso settore. Si stanno però muovendo troppo lentamente.

Già esistono dei concorsi dove disegni e fotografie generate dall’IA vincono. Non si possono lasciare queste iniziative ai privati, serve un intervento legale. Ma togliere del lavoro e del tempo ad un processo creativo esprime una tendenza capitalistica a voler vedere tutto fatto subito. Perciò a pochi conviene che questa situazione venga sistemata, e si deve aspettare che queste innovazioni vadano a disturbare le persone sbagliate».

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Per prendere ispirazione da qualcosa una persona non deve per forza pagare. Come vedi la questione etica riguardo all’addestramento degli algoritmi di intelligenza artificiale generativa? 

«Se una persona prende ispirazione per sostituire un lavoratore con il lavoro uguale, quel lavoratore è protetto dal copyright. Copie spudorate sono perseguite sia legalmente, sia messe alla berlina pubblicamente. Nella mia carriera ne ho viste tante, lavorando nel campo da 10 anni. Per le intelligenze artificiali al momento manca la base etica del consenso. In molti casi questo consenso non è stato richiesto. Molti siti lo hanno presupposto con accordi di utilizzo dei contenuti che potevano essere modificati retroattivamente senza l’autorizzazione dell’utente. A livello legale, contratti del genere sono assurdi, solo su internet sono concesse condizioni simili.

È stato un bel reality check costatare che il fatto che gli artisti siano stati derubati dei propri lavori non interessi a nessuno. Ma non è niente di nuovo: non ci siamo mai sentiti tutelati nel nostro lavoro. E non è la prima volta che i nostri lavori vengono utilizzati impropriamente. Il freebooting (l’atto di pubblicare contenuti prodotti da altri spacciandoli per propri, ndr), ad esempio, è sempre esistito su internet. Le intelligenze artificiali sottraggono domanda al settore.

Ma si tratterebbe anche di competizione legittima, se non avessero rubato il lavoro agli illustratori per imparare a disegnare. E noi, a differenza delle grandi aziende e organizzazioni, non ci possiamo difendere da quello che è un furto alla luce del sole. Sarei contenta se si creasse una legislazione, anche a prescindere da quello che potrebbe succedere ai posti di lavoro. La situazione è già fuori controllo».

Questa tecnologia esiste e probabilmente non si fermerà. Ma si può ipotizzare un futuro in cui il lavoro dell’illustratore convive con questi strumenti?

«Sì, ma è piuttosto utopico. Il motivo per cui non sono così positiva riguardo alla convivenza è che ormai la questione si è spostata sul livello puramente economico, non riguarda più l’arte. E anche la legislazione seguirà questo indirizzo: l’intelligenza artificiale generativa sarà regolamentata solo nel momento in cui converrà economicamente farlo. Per questo ripongo le mie speranze nel privato. Potrebbero esistere determinate aziende che si fanno vanto di non utilizzare intelligenza artificiale, ma soltanto illustratori umani. Già succede con alcune case videoludiche. Io credo molto in questo campo, più che in altri come moda o automotive. Nella mia esperienza, è quello che dà più attenzione al lato umano del lavoro artistico. Sarebbe una mossa non solo di marketing, ma anche volta all’attrattività dell’industria.

L’utilizzo massiccio dell’intelligenza artificiale generativa in un determinato campo potrebbe infatti scoraggiare i giovani ad investire i propri anni di studio per lavorare in quel settore, creando una crisi occupazionale nel momento in cui le macchine non dovessero rivelarsi adatte a sostituire interamente il lavoro umano. L’illustratore credo vorrebbe vivere della propria arte, non modificare quello che viene creato da un’IA. C’è un’etica lavorativa diversa.

Se levi la domanda di lavoro, ma anche la gavetta, ti viene tolto il tempo di studiare per migliorare. Non sono ottimista sul futuro di questa professione, in cui la selezione è già spietata. Io vorrei che fosse un movimento culturale, che vede l’IA come qualcosa di negativo nel momento in cui sottrae il lavoro all’umano, a fermare questo cambiamento. Perché avere un poster del tuo prodotto è troppo più comodo di assumere un illustratore. Magari paghi un “promptista”, magari nasce un nuovo lavoro, che è il tizio bravissimo a scrivere i giusti prompt».

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Una ricerca del World Economic Forum prevede che l’intelligenza artificiale sostituirà 85 milioni di lavoratori in pochi anni, creando al contempo però altri 97 milioni di posizioni. Quando fu inventata la fotografia, venne meno la necessità dei ritrattisti, ma nacque la professione del fotografo. Può in futuro nascere davvero questa figura del “promptista”, che crei illustrazioni quasi esclusivamente con gli algoritmi?

«Non si tratta di credere che possano essere generati o no nuovi posti di lavoro. Non ne dubito, ma non mi sembra corretto il paragone con la fotografia. In questo caso, si tratta proprio di prendere il lavoro dell’altra persona e modificarlo. La fotografia aggiungeva un’intera altra disciplina al campo delle arti figurative, senza rubare dipinti.

I pittori non hanno lavorato una vita per poi farsi sottrarre la propria tecnica. La tecnologia in questo caso invece ci sta mangiando vivi. Il mio futuro che vedo è “cyberpunk”, e non sono sicura che ci sia una maturità sufficiente per giovare del progresso tecnologico. Anche se esisterà il “promptista”, avrete rinunciato all’illustratore».

Parlando di regolamentazione, hai pensato immediatamente ad un processo interno del mercato. Vedi così improbabile un intervento dell’autorità statale?

«Non trovo impossibile una regolamentazione statale, ma è lenta. Il privato è molto più veloce, troppo più veloce degli Stati o delle organizzazioni internazionali. Inoltre, queste non hanno la spinta ad agire in questa direzione, dato che il guadagno economico è tutto dalla parte di chi vuole utilizzare l’intelligenza artificiale generativa». ©

📸 credits: Roberta Sorge, Canva