giovedì, 5 Dicembre 2024

Spettacolo e pandemia: che fine hanno fatto gli incentivi?

Sommario
pandemia

L’economia della cultura riprende a camminare sulle sue gambe. Due anni senza eventi hanno costretto i settori del cinema, del teatro e soprattutto della musica a fare affidamento sugli aiuti statali per permettere ai propri operatori di sopravvivere. Lungo il periodo pandemico, i sussidi messi in campo dallo Stato sono stati diversi.  La spesa totale è stata di circa 2 miliardi di euro, con effetti positivi su alcuni segmenti, ma anche con fallimenti clamorosi.

Ora che gli eventi sono ricominciati, si possono trarre alcune conclusioni su quali misure siano state le più efficaci. Per una parte dell’economia della cultura italiana, la pandemia è stata disastrosa. Tutti i settori che basavano la loro redditività sugli eventi si sono fermati praticamente da un giorno all’altro per mesi. Teatri, cinema e festival sono i primi segmenti a venire in mente tra i più fragili, ma i danni più ingenti li ha subiti il settore musicale. Il tutto mentre un’intera parte, un tempo una nicchia, dell’economia della cultura, i videogiochi, viveva il periodo più luminoso della propria storia

Un caso particolare: la musica

Da diversi anni ormai il business della musica ruota quasi esclusivamente attorno ai concerti, ai festival e ad altri grandi eventi. Tutto è cominciato all’inizio del secolo, con l’esplosione della pirateria. In pochi anni le vendite di dischi si sono ridotte all’osso. Nel primo decennio degli anni 2000, al netto dell’inflazione, gli introiti provenienti da questa fonte sono calati di oltre il 30%.

Gli anni ’10 hanno visto la situazione prima stabilizzarsi e poi cambiare radicalmente con l’arrivo dello streaming. La strada aperta da Spotify e seguita poi da numerose altre aziende ha cambiato il modo di ascoltare la musica e anche di farci soldi. Eppure, gli ascolti sulle piattaforme non compensano la riduzione delle vendite di dischi. Soprattutto per tutti quegli operatori, dai producer (i professionisti che scrivono musica e arrangiamenti delle canzoni) agli scrittori dei testi, che ricevono solo una frazione dei profitti.

Inevitabile quindi che l’intera industria si sia spostata verso gli eventi come nuovo centro di produzione del valore. Artisti in tour quasi perenne, festival, concerti e prezzi dei biglietti in aumento sono state le conseguenze più evidenti. L’arrivo della pandemia da Covid-19 ha però messo in crisi questo sistema. Senza le grandi manifestazioni, la principale fonte di ricavi del mondo della musica ha improvvisamente smesso di essere rilevante. Soluzioni creative a parte, come i concerti con i test all’ingresso o quelli in streaming, la chiusura è stata pressoché totale per due anni.

Cinema

La crisi dello spettacolo

Musica, cinema, teatri e in generale il mondo dello spettacolo dal vivo sono quindi stati investiti da una serie di restrizioni durissime, che hanno causato danni economici ingenti. Lo quantificano i due rapporti Io Sono Cultura 2020 e 2021 di Fondazione Symbola e Unioncamere. L’intera filiera culturale ha visto una riduzione della ricchezza prodotta dell’8,1%, contro il 7,2 della media delle attività produttive italiane. Anche l’occupazione è andata peggio del resto del Paese, con un -3,5% a fronte del -2,1% totale. La perdita in euro è pari a 7,5 miliardi, ma ha mantenuto relativamente invariato il proprio apporto al PIL nazionale in termini percentuali, il 5,7%. 

Più dettagliati e pessimistici i dati di Confcommercio, che ha stimato in circa 12,8 miliardi la perdita del settore dello spettacolo. Di questi 240 milioni proverrebbero dalla musica, 7,4 miliardi dal resto del mondo dello spettacolo e 5,2 miliardi dal settore audiovisivo.

Per le cause già citate, gli italiani nel 2020 hanno speso il 90% in meno rispetto all’anno precedente per concerti, cinema e teatro. La musica, in particolare, ha sofferto della chiusura durata per l’intera stagione estiva, facendo registrare una diminuzione degli ingressi dell’84,58% rispetto al 2019. Il fatturato delle aziende che si occupano di spettacoli dal vivo è calato del 97%, la quasi totalità. A seguire il cinema, che invece è stato l’ambito che ha subito restrizioni e regolamentazioni più a lungo. Nel 2020 il calo delle presenze nelle sale, secondo Cassa Depositi e Prestiti, era del 70,89%, con una perdita di 120 milioni di soli incassi al botteghino. Destino simile per i teatri, con ingressi ridotti del 65%.

Incassi e presenze al cinema

Queste cifre hanno avuto una ricaduta immediata sul mondo del lavoro nei settori culturali. Il 95% dei lavoratori ha dovuto interrompere la propria attività, con il rimanente 5% che è legato quasi esclusivamente alla televisione. Per il settore degli eventi dal vivo circa 380.000 degli oltre 400.000 addetti sono rimasti senza lavoro. Non si è trattato soltanto di provvedimenti temporanei. Nel 2021 l’occupazione nella cultura italiana è scesa di 52 mila addetti.

Ancora una volta, è stata la musica a subire le conseguenze più dure, con il 30% degli addetti in meno rispetto al 2019, battuta in questa triste statistica soltanto dagli animatori, che hanno registrato una riduzione del 40%. I giovani sono stati la fascia d’età che ha sofferto di più questa serie di licenziamenti. Un terzo del totale è rappresentato da lavoratori sotto i 30 anni. Questa statistica potrebbe essere legata al blocco dei licenziamenti imposto dall’esecutivo, che ha protetto i lavoratori a tempo determinato, lasciando scoperti i contratti a termine, molto più diffusi tra le fasce di popolazione più giovani.

Musica

Gli interventi a sostegno

I modi in cui  i governi hanno affrontato il periodo pandemico si sono distinti in due tipologie: quelli contingenti, messi in atto durante la pandemia per sostenere i settori costretti a chiudere, e quelli di rilancio, che si proponevano di puntare sugli stessi settori una volta sollevate le principali restrizioni e permessa la ripresa delle attività produttive.

Prima di analizzare questi dati, una premessa è doverosa. L’economia della cultura non è in salute per buona parte dei propri segmenti. In questo ambito, un’attività in grado di finanziarsi senza aiuti di Stato è considerata di moderato successo. La crescita è riservata o a piccole bolle all’interno dei segmenti stessi (casi editoriali per i libri, artisti di grande successo nella musica), o al mondo dei videogiochi, che ormai da anni rappresenta l’unico esempio di crescita organica e di lungo periodo in questo ambito. Ricevere finanziamenti dalle istituzioni è una pratica piuttosto comune per moltissime istituzioni culturali.

Nel corso del periodo Covid-19, gli interventi più massicci sono arrivati dal Ministero della Cultura, che ha creato alcuni fondi d’emergenza per gestire la situazione occupazionale e le crisi aziendali nel mondo dello spettacolo. A ricevere la quantità maggiore di risorse è stato il mondo del cinema. Tra la produzione e la distribuzione, la cifra totale ammonta a circa 1,2 miliardi di euro. Il grosso di questi fondi è andato in ristori, tramite il Fondo Cinema 2020, il Fondo Cinema e Audiovisivo 2020 e 2021, ed esenzioni fiscali come quella per l’IMU.

Circa 7,5 milioni sono stati dedicati alla ripresa della programmazione cinematografica, e 17 a campagne per il cinema all’aperto. A seguire il teatro, che ha ricevuto circa 600 milioni di euro. Anche in questo caso la maggior parte dei fondi è andata ai ristori e al sostegno ai lavoratori.

La musica segue queste due categorie a una distanza ragguardevole. Solo 127 milioni di euro, quasi tutti di sostegno contingente. Per i professionisti coinvolti negli spettacoli dal vivo sono stati stanziati 35 milioni di euro, mentre 12 sono stati destinati alle aziende come ristoro. Le case discografiche hanno raccolto poco più di un milione, le associazioni liriche e sinfoniche 20.

La spartizione degli incentivi

La ripresa dopo la pandemia

Il 2022 ha visto la rimozione quasi totale delle restrizioni imposte per limitare i contagi. Dopo due anni teatri, cinema e concerti hanno potuto riaprire a pieno regime. I  diversi settori hanno però reagito in maniera radicalmente diversa.

La musica, con i concerti, ha fatto registrare dei record storici sia per il numero di biglietti venduti che per i ricavi. Rispetto al 2019, l’ultimo anno senza Covid-19, gli spettatori sono cresciuti del 37% e i ricavi del 43%. Dati influenzati sicuramente dal grande numero di concerti rimandati durante la pandemia, ma comunque non scontato. Non solo il settore si è rimesso in carreggiata, ma sembra essere riuscito a riavvicinare il pubblico. Pur avendo ricevuto relativamente poche risorse rispetto ad altri ambiti culturali e rimanendo un settore che punta a pochi grandi exploit per crescere, la musica si conferma solida e tra i segmenti in miglior salute nell’ambito culturale.

Discorso diverso invece per i cinema. Le sale sono in crisi da anni, da ben prima che il Covid-19 costringesse a chiudere i battenti. Le abitudini degli spettatori sono cambiate e una serie di fattori li sta allontanando dal grande schermo. Le piattaforme di streaming sono parte di questo cambiamento, ma anche il gusto per la serialità nel prodotto audiovisivo ha influito. La pandemia ha soltanto esposto un problema latente da anni, e i risultati sono stati disastrosi.

Rispetto al 2019, il calo degli spettatori è stato del 50%. Gli incassi annuali sono calati dai 585 milioni di euro di prima del Covid-19 ai 306,6 del 2022. E a poco sono serviti gli 1,2 miliardi di euro stanziati dal governo. In particolare, le campagne di riavvicinamento del pubblico alle sale non hanno portato i risultati sperati. Le pubblicità, la promozione delle sale all’aperto e il bonus cinema hanno fallito.

Per il teatro, invece, si prefigura una via di mezzo tra i due estremi di cinema e musica. Anche se non esistono dati aggregati, molte organizzazioni importanti come lo Stabile di Torino o la Scala di Milano hanno visto ritornare in sala i propri spettatori affezionati, con numeri di incassi e presenze vicini, o a volte leggermente superiori, a quelli della stagione 2018/2019.

Le conclusioni che si possono trarre da questi dati sono quasi paradossali. Dove lo Stato ha agito con più forza, e con risorse immensamente maggiori rispetto a quelle utilizzate altrove nel mondo della cultura, quindi nel cinema, la pandemia ha lasciato i segni più duraturi. L’intervento massiccio in questo settore segnala quantomeno una consapevolezza da parte delle autorità della grave situazione di crisi, con radici più profonde del virus. Non c’è stata però la capacità di sfruttare queste risorse per rimediare alle lacune del sistema, anche per la situazione emergenziale causata dalla pandemia.

Il mercato del software videoludico

Chi è cresciuto in pandemia

Non tutti i settori della cultura sono però andati in crisi durante il biennio pandemico. I lockdown hanno spinto molti ad affidarsi all’intrattenimento virtuale, e ad approfittare di questo nuovo pubblico sono stati prima di tutto i videogiochi. Da anni quello ludico è l’unico segmento dell’economia culturale che cresce costantemente più dell’anno precedente. Un mercato in continua espansione, geografica e anagrafica, che nel 2021 ha battuto ogni record.

In Italia, secondo l’associazione degli sviluppatori e distributori IIDEA, il giro d’affari ha toccato i 2,2 miliardi di euro, una crescita del 2% rispetto al 2020. I giocatori in Italia sono 15,5 milioni, con gli uomini in maggioranza sulle donne, 8,7 a 6,8 milioni. Il solo segmento software vale 1,8 miliardi di euro, con i giochi mobile che ormai fatturano cifre simili a quelli per PC e Console.

Una febbre relativamente sopita nel 2022, ma che dimostra come, specialmente nel nostro Paese, i videogiochi abbiano ancora ampi margini di crescita. Infatti, pur guadagnando quanto gli audiovisivi, fanno registrare per ora solamente un terzo degli utenti, dimostrando una capacità di monetizzazione superiore a quella di qualsiasi altro segmento culturale. ©

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