domenica, 28 Aprile 2024

L’AI può rendere il lavoro meno stressante?

AI

Alcune aziende stanno provando ad implementare strumenti che utilizzano l’AI per facilitare il lavoro dei propri dipendenti riducendo lo stress e migliorando il morale. Preoccupa però la privacy dei dipendenti: come può funzionare?

Lavoro e intelligenza artificiale

Da quando ChatGPT è diventato di uso comune, uno dei temi più discussi riguardo l’AI è stata la possibile perdita di posti di lavoro associata al progresso di queste tecnologie. Il World Economic Forum le ha stimate in circa 80 milioni nei prossimi anni.

Ma un aspetto di cui si parla meno è la possibilità che l’intelligenza artificiale possa migliorare la qualità di vita dei dipendenti in ufficio. Software come Gong ad esempio, che tra i suoi clienti può vantare LinkedIn, aiuta nelle vendite tracciando i risultati degli accordi riusciti e creando un modello che il lavoratore può seguire per ottimizzare le proprie strategie.

Non solo produttività però. Anche la gestione dello stress rientra nelle possibilità dell’intelligenza artificiale. L’applicazione Pulse, prodotta da Fierce, monitora tramite i device indomabili dei dipendenti il battito cardiaco.

Da questi dati trae conclusioni su quali siano le situazioni più stressanti e combinandosi con i calendari aiuta ad individuarle per ogni utente, facilitando l’organizzazione del lavoro e riducendo lo stress.

Il problema della privacy

Entrambe queste tecnologie hanno un problema. Si tratta di applicazioni che richiedono un monitoraggio stratto del dipendente e che forniscono dati privati sia all’azienda proprietaria dell’app che a quella da cui il lavoratore è impiegato.

Questo è il principale ostacolo sulla strada dell’impiego dell’intelligenza artificiale per la gestione delle risorse umane. Molti dipendenti si sentono, e per alcuni aspetti sono, osservati da queste tecnologie e di conseguenza non liberi di svolgere il proprio impiego come più ritengono opportuno.

La domanda che in futuro molti lavoratori si troveranno a doversi porre riguarda il valore dei propri dati. Saranno disposti a mettere nelle mani della propria azienda le loro conversazioni con i clienti, con i colleghi, fino al proprio battito cardiaco?

La risposta non è scontata, ma se dobbiamo guardare al passato, il paragone migliore è quello con il trattamento dei dati personali da parte dei siti internet. Gli utenti hanno dimostrato di dare pochissimo valore alla propria privacy, sacrificandola in cambio di piccole comodità aggiuntive.

Attento alle tendenze e profondo conoscitore della stampa estera, è laureato in Storia del giornalismo all’Università degli Studi di Milano. Dinamico, appassionato e osservatore acuto, per il Bollettino si occupa principalmente del mondo dello sport legato a quello finanziario e del settore dei videogiochi, oltre che delle novità del comparto tecnologico e di quello dell’energia.