giovedì, 5 Dicembre 2024

L’autunno caldo dei tassi: la Fed trascina la BCE

A giocare un ruolo decisivo per il futuro monetario globale (e i tassi) sono i fattori base dell’economia americana. La politica della Fed resta salda sulla decisione di aumento dei tassi. L’inflazione preoccupa ancora e i dati derivanti dai mercati del lavoro e immobiliare la sostengono. «Temo che questa battaglia non sia ancora finita», dice Robert Wescott, Presidente di Keybridge Research.

La Banca Centrale Europea osserva e segue a stretto giro, con previsioni di rialzi ulteriori nelle prossime settimane. In Italia la morsa fa male. L’inflazione, sebbene in leggero calo non molla la presa nemmeno qui (la percentuale oggi è di poco sotto al 6%). E le riserve di aziende e famiglie si assottigliano. Da dicembre a giugno sono diminuite del 3,4%: da 2.065 miliardi di euro a 1.994.

A segnalarlo è l’ultimo report del centro studi di Unimpresa. Che evidenzia anche che, nello stesso periodo, gli italiani hanno ritirato dai conti in banca 71 miliardi. I depositi segnano un -3,4%, da 2.065 miliardi a 1.994. A crescere invece – malgrado i tassi, e questo la dice lunga sulle difficoltà in essere – è la richiesta di crediti al consumo. In 7 anni del 44% (Fondazione Fiba di First Cisl su dati di Bankitalia), sebbene negli ultimi mesi si registri una lieve decrescita.

A marzo l’ammontare era di 153,86 miliardi di euro, tra banche e società finanziarie. L’identikit del richiedente? La finestra più ampia per i prestiti è per i soggetti tra i 45 e i 54 anni, sono il 24,2%. Con la fascia maggiore – parliamo di un 30% – per importi fino a 5.000 euro. Spicca tra i numeri la crescita di oltre il 20% in un anno dei personali sui finalizzati, che invece scendono quasi del 5% (dati Barometro Crif).

«La possibilità che il tasso corrente dei fondi federali della Fed, tra 5,25% e 5,50%, possa portare a una recessione si allontana. Ma penso che ci sia ancora un 50% di probabilità che gli USA affrontino una recessione verso la fine del 2023 o nella prima metà del 2024».

La chiave è il mercato del lavoro

«Sì, se l’aumento dei posti rimane forte, si eviterà. Ma se ci sarà incertezza, allora scivolare in una recessione è possibile».

E gli aumenti dei tassi non si fermano

«Gli aumenti salariali sono ancora più alti del livello desiderato dalla Fed. E l’economia nel complesso continua ad essere in una fase più espansiva degli obiettivi dei policymaker. I tassi d’interesse rimarranno probabilmente alti più a lungo di quanto molti si aspettino. Ed è possibile che ci siano uno o due altri round di aumenti in autunno».

La Germania è il solo Paese europeo al momento in recessione tecnica: altri potrebbero seguirla?

«Sfortunatamente, anche altri Paesi europei potrebbero sperimentare una recessione tecnica. Le esportazioni verso la Cina si stanno indebolendo. Gli immobili commerciali si avviano a un declino in molte città europee. E continua a esserci il rischio che i prezzi dell’energia possano aumentare ancora questo inverno. Mettendo ulteriormente a repentaglio i redditi disponibili reali. I Purchasing Manager Indices (PMI) sono deboli in tutta Europa, specialmente nella manifattura, il che suggerisce ulteriore debolezza nell’attività economica in generale.

E l’inflazione è ancora al di sopra degli obiettivi della BCE. Facendo pensare che bisognerà aspettarsi ulteriori azioni di politica monetaria. Nel frattempo, rimangono le tensioni geopolitiche generate dall’invasione russa dell’Ucraina, incidendo sulla fiducia delle imprese. Non è un insieme di circostanze che ispira entusiasmo riguardo alla crescita economica».

La crisi delle banche regionali americane sembra aver accelerato il credit tightening. Potrebbe essere un altro fattore di prevenzione contro ulteriori aumenti dei tassi. Specialmente considerando i rischi per le piccole e medie imprese?

«L’America ha quasi 5000 banche. Le più grandi, come JP Morgan Chase, Wells Fargo e Bank of America, sono ben capitalizzate. E non hanno a che fare con il genere di rischi che impensierivano gli economisti durante la Grande Crisi Finanziaria del 2008/09. Tuttavia, la debolezza nel sistema bancario regionale è una preoccupazione.

Praticamente tutte le banche, grandi e piccole, hanno ristretto i loro standard di prestito mentre la Fed alzava i tassi d’interesse. E alcuni temono un rallentamento in determinati settori dell’economia, come l’immobiliare commerciale e il settore tecnologico. Per ora, l’integrità finanziaria delle banche di piccole dimensioni è stata abbastanza buona».

Quanto invece al commercio al dettaglio e all’immobiliare aziendale americano?

«Un settore immobiliare commerciale in rallentamento è un aspetto chiave per l’economia USA, ma anche per quella globale. Il passaggio a più lavoro da remoto ha ridotto la domanda per gli uffici, e questo mette a dura prova il mercato. Nelle principali città americane il cosiddetto “occupancy rate” (tasso di riempimento) è al 50%. È probabile che il valore degli immobili commerciali calerà almeno del 10-15%, ma è sicuramente possibile anche di una percentuale maggiore.

A Londra e in molte città europee è probabile che i prezzi scenderanno con tassi a doppia cifra. Sarebbe il più grave declino del valore dell’immobiliare commerciale dalla Grande Crisi Finanziaria del 2008/09. Si potrebbe arrivare al 20-25%. Questo metterà ancora più pressione sulle banche. Bisognerà fare attenzione all’aumento dell’insolvenza nella parte finale del 2023 e nel 2024».

Il mercato del lavoro si sta raffreddando: quale potrebbe essere l’impatto?

«La crescita dell’occupazione ha continuato a rallentare e, per gli ultimi 3 mesi, il ritmo si è stabilito su circa 150 mila posti al mese, da livelli più alti il doppio rispetto a un anno fa. Ma resta una forte spinta espansiva. Le assunzioni sono ancora molte tra gli insegnanti e gli operatori sanitari, per esempio, anche se rallentano per i professionisti, gli informatici, i lavoratori della tecnologia e delle risorse umane, i bancari e i consulenti finanziari. E la Fed guarda con attenzione agli sviluppi del mercato del lavoro».

A che livello prevede che si arresteranno gli aumenti dei tassi di Fed e BCE? E dopo? Si resterà su un plateau o ci saranno decrementi graduali?

«La Fed potrebbe aumentare il tasso sui fondi federali di altri 25 o 50 punti base, dall’attuale range di 5,25-5,50% a 6%. È probabile che i tassi rimangano nell’intervallo tra il 5,5% e 6% nel primo o perfino secondo trimestre del 2024. Più a lungo di quanto molti pensino, al momento. Guardiamo ai dati dell’indice dei salari pubblicati dalla Atlanta Federal Reserve Bank. Si è moderato, da circa 6-1/2% di rendimenti anno su anno ai 5-1/2% attuali.

Ma la Fed vuole che questo indicatore continui a distendersi. Finché questi aumenti salariali rimangono nell’intervallo 4-1/2% o al di sopra, è probabile che la Fed manterrà alti i tassi. La BCE ha più lavoro da fare, perché il tasso di inflazione presente nell’Eurozona, del 5,3%, è evidentemente troppo alto. Non mi aspetto che Christine Lagarde e la BCE salgano ai livelli cui si è spinta la Fed (il range 5,5%-6%), ma sembra probabile che ci saranno un paio di rialzi aggiuntivi».

E poi ci sono i problemi cinesi, contingenti e strutturali (immobiliare, disoccupazione, deflazione, invecchiamento della popolazione, per nominarne alcuni) che sono lontani dall’essere risolti e hanno un crescente impatto anche sugli altri Paesi asiatici

«Sono preoccupato che il rallentamento economico cinese possa essere sostanziale e persistente. Dal settore immobiliare e delle costruzioni dipende più di un quarto del PIL del Paese. Alcuni ottimisti pensano che il Governo possa rianimare velocemente le costruzioni. Abbassando i tassi d’interesse e incoraggiando le banche a emettere più prestiti all’immobiliare.

Al contrario, io penso che le azioni di politica economica non possano avere grandi effetti ormai. La storia economica ci insegna che, una volta che le costruzioni raggiungono il picco e cominciano a diminuire, il trend non si inverte mai con rapidità. Il fatto che ci siano qualcosa come 70-80 milioni di appartamenti vuoti in Cina mostra come il mercato sia fondamentalmente saturato. E la Cina ha altri problemi che probabilmente andranno a sommarsi a quelli del settore immobiliare. I flussi diretti esteri verso il Paese sono diminuiti nettamente. Le esportazioni stanno calando con ritmi a doppia cifra (anno su anno) e il mercato del lavoro è debole. Specialmente per i giovani. In realtà, il mercato del lavoro in Cina ha raggiunto il picco già quasi dieci anni fa. Questa combinazione di forze indica un prolungato indebolimento nella crescita economica».                     ©

Antonia Ronchei

(ha collaborato Marco Battistone)

Articolo tratto dal numero del 1 settembre 2023. Abbonati!

📸 Credits: Canva; Unsplash

Direttore de il Bollettino dal 2020, giornalista dal 1998. Dopo esperienze nel campo musicale e culturale, mi sono occupata di attualità, politica ed economia in radio, tv e carta stampata. Oggi dirigo un giornale storico, del quale ho fatto un completo restyling e che vede coinvolta una redazione dinamica e capace: ho la stessa passione del primo giorno, ma con un po’ di esperienza in più.