lunedì, 29 Aprile 2024
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Moda e inquinamento. Il settore tessile appare sul podio dei comparti industriali che hanno un devastante impatto sull’ambiente a livello mondiale. Il fast fashion, inteso come il mercato degli abiti vendibili a basso prezzo, contribuisce ad aggravare la situazione sia sul fronte dello smaltimento dei rifiuti sia per le tutele sindacali dei lavoratori impiegati. Nonostante ciò i volumi di affari della moda “indossa e getta” continuano a crescere a ritmi vertiginosi con un tasso del 15,6% annuo. Il Fast Fashion Global Market Report 2023 stima che, a livello globale, il valore della moda a basso prezzo è pari a 123 miliardi di dollari e nel 2027 raggiungerà i 185 milioni di dollari. Vestiti di tendenza, riprodotti imitando i capi delle passerelle dell’alta moda, attirano l’interesse soprattutto delle fasce giovanili dell’Europa occidentale che risulta essere la regione più florida per il business del fast fashion.

L’impatto ambientale e sociale del fast fashion

Il Parlamento Europeo ha già lanciato l’allerta divulgando i numeri preoccupanti del fast fashion e sottolineando come la quantità di abiti smaltiti in discarica continui ad aumentare in maniera esponenziale. Per produrre una maglietta di cotone occorrono infatti ben 2.700 litri di acqua: la quantità che un essere umano beve in 2 anni e mezzo. Inoltre il lavaggio di capi sintetici comporta ogni anno lo sversamento nei mari di mezzo milione di tonnellate di microfibre. Basti pensare che gli indumenti contenuti nel carico di una lavatrice, in media, rilasciano 700mila fibre di microplastica che finiscono poi nella catena alimentare. Per avere un’idea delle dimensioni dell’impatto ambientale e sociale dell’industria tessile serve ricordare che un europeo consuma 26 chili di capi l’anno e il settore nel Vecchio Continente conta oltre 1.700.000 lavoratori.

L’Europa lotta per ridurre i danni del fast fashion

L’Unione Europea per ridimensionare il fenomeno ha quindi posto in essere alcune misure. Tra queste spicca la creazione del marchio Ecolabel UE una  sorta di certificazione di eccellenza ambientale. Attualmente sono oltre 88mila i prodotti marchiati Ecolabel UE (9.065 per abbigliamento e calzature) ed il 17% delle licenze assegnate riguarda aziende italiane. Ma c’è di più. Per ridurre gli sprechi, aumentare il ciclo di vita e il riciclo dei tessuti è stata delineata una strategia per i tessili sostenibili e circolari.

Economia circolare per ridurre i rifiuti tessili

La Commissione Europea ha così presentato un piano volto a rendere i tessuti più durevoli e riparabili stimolando l’innovazione tecnologica della filiera attraverso una progettazione ecocompatibile. A questo protocollo si sommano linee guida più rigide dell’Unione Europea sull’utilizzo dei sostanze chimiche pericolose da parte delle industrie del settore moda, nonché sulla raccolta differenziata e lo smaltimento dei rifiuti tessili. L’obiettivo è raggiungere un’economia circolare dell’abbigliamento e calzature entro il 2050. Una meta affidata in gran parte alla volontà dei cittadini di approcciarsi al consumo etico con un guardaroba sostenibile. ©

📸 Credit: Canva

Giornalista professionista appassionata di geopolitica. Per Il Bollettino mi occupo di economia e sviluppo sostenibile. Dal 2005 ho lavorato per radio, web tv, quotidiani, settimanali e testate on line. Dopo la laurea magistrale in Giornalismo e Cultura Editoriale, ho studiato arabo giornalistico in Marocco. Ho collaborato a realizzare in Saharawi il documentario La sabbia negli occhi e alla stesura della seconda edizione del Libro – inchiesta sulla Statale 106. Chi è Stato?