martedì, 7 Maggio 2024

Italia bocciata in economia, tema troppo difficile per molti

DiEdoardo Lisi

15 Novembre 2023
Sommario
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Comprendere i temi finanziari potrebbe essere una passeggiata di salute, se ci allenassimo. Tuttavia, oggi la maggior parte degli italiani ha una scarsa conoscenza di questi argomenti. Su una scala da 1 a 100, il livello medio si attesta a 56, quattro punti meno della sufficienza (60), secondo l’ultimo Edufin Index di Alleanza Assicurazioni, Fondazione Mario Gasbarri e SDA Bocconi. Economia e finanza sembrano ancora materie lontane e complicate agli occhi del cittadino comune, spesso privo degli strumenti per difendersi dalle fake news. Un gap che ha effetti concreti nella vita di tutti i giorni.

«Bisogna investire anche fuori dal mondo economico sul tema della conoscenza e della fiducia dei cittadini. In questo senso, è fondamentale ripristinare il capitale sociale, inteso come fiducia delle persone nel sistema e nelle istituzioni. Non a caso, il World Happines Report dell’Onu dice che la forza dei legami sociali è uno degli elementi che aiutano i Paesi a resistere agli shock negativi», dice Luciano Canova, Professore di Economia comportamentale alla Scuola Enrico Mattei e autore del libro L’economista sul tapis roulant. Come allenarsi con le parole dell’economia. «L’Unione Europea rappresenta una garanzia per un Paese come l’Italia, con un bilancio così delicato. Siamo ancora in piedi perché c’è l’ombrello dell’Europa, altrimenti verremmo percepiti come un Paese molto a rischio. La ragione è che la BCE oggi rappresenta un elemento di stabilità di sistema».

economia

La maggior parte degli italiani ha una conoscenza di Economia e Finanza che non raggiunge la sufficienza. Come invertire questo trend e quanto è importante farlo?

«Le cose vanno lentamente migliorando. Siamo ancora indietro, ma da qualche anno si è compreso che il problema esiste. La prima misura da prendere è investire sul capitale umano, portando l’educazione nelle scuole, a tutti i livelli. Prima abitui le persone a conoscere i fondamentali dell’uso del denaro, prima interiorizzano un elemento che farà parte delle loro scelte di vita. A questo proposito, un nuovo decreto legge mira a introdurre l’educazione economica e finanziaria nei programmi scolastici. Si è iniziato a spiegare questi temi all’interno dell’ora di educazione civica, ma non basta».

Per quanto riguarda invece i meno giovani?

«Non bisogna dimenticare il tema legato alla demografia italiana. Siamo un Paese che invecchia, con una quota di individui sopra i 55 anni che tipicamente è indietro rispetto alle nuove competenze digitali e a tutte le caratteristiche nuove legate all’uso del denaro. È fondamentale includere in questo processo evolutivo, invece di dare per scontato che un anziano non possa utilizzare sistemi innovativi. Non è semplice, però, investire nell’istruzione economica e finanziaria, perché è un settore che porta effetti positivi a lungo termine, mentre il nostro Paese è ormai abituato alla mancanza di continuità. Una delle ragioni è che da alcuni anni ormai si è diffuso un dibattito tossico, che ha generato polarizzazione. Una divisione che si manifesta nella cancellazione delle misure economiche e finanziarie messe in campo in precedenza. Un esempio è la Tampon Tax sugli assorbenti, che nella prossima Manovra tornerà a salire dal 5 al 10%. Questa tendenza non aiuta a trovare la continuità necessaria nelle politiche economiche».

Come affrontare – e magari sfruttare – l’incertezza che caratterizza il settore?

«Riconoscere che l’incertezza esiste è un primo passo. Uno dei grossi problemi che riguardano tutti noi è avere giudizi binari sulla realtà. In altre parole, pretendiamo che un problema si possa risolvere schiacciando un interruttore. Bisognerebbe abituarsi al fatto che non stiamo parlando di previsioni deterministiche. In questo senso, spesso si tende a non comprendere il vero senso dei forecast. L’obiettivo non è dirti cosa succederà, nessun modello pretende di dirtelo. Invece, sono scenari costruiti attraverso modelli che semplificano la realtà facendo ipotesi. Servono cioè a spiegare le determinanti che muovono la realtà, consapevoli però che questa non corrisponderà mai pienamente al modello. L’errore è pensare che l’economia abbia la sfera di cristallo. È una scienza ma, come molte, non è esatta. Pensiamo al medico che esclude problemi e costruisce una diagnosi testata sulla base della nostra sintomatologia e sull’esperienza. Lo stesso vale per la meteorologia. Il meteorologo ha un modello in cui fa previsioni probabilistiche, non dice che ci sarà un meteo preciso, ti dà uno scenario. Per questo, è importante considerare il ruolo vero del modello. Ci sono tanti economisti che si atteggiano come se avessero il monopolio della verità. La scienza, al contrario, è il mondo dell’incertezza, sfugge a tante persone che la semplificano. Gli studi non diranno mai che qualcosa funziona così al 100%: c’è sempre uno scenario probabilistico. Né esiste un problema che non abbia tante cause dietro. Dico agli studenti di allenarsi serenamente a rispondere: dipende. È la risposta migliore, se argomentata con dati a supporto».

Come giudica l’operato della Banca Centrale Europea?

«Da un paio d’anni le istituzioni, in primis quelle di Francoforte, stanno lavorando su un fenomeno che caratterizza la nostra economia: l’inflazione. L’anno scorso la BCE ha fatto quello che qualsiasi manuale specialistico suggerisce. Tuttavia, gli effetti della politica monetaria non saranno immediati ma richiedono tempo. L’inflazione quest’anno è al 5%, il che vuol dire che l’intervento sta lentamente producendo effetti sperati sul sistema. È sempre difficile accorgersi degli andamenti lenti».

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Come si allena la capacità di fare previsioni?

«La metafora dell’allenamento, che utilizzo nel mio libro, funziona per rassicurare chi non è esperto di economia, i concetti sono allenabili da qualsiasi cittadino. Avendo fiducia nei propri mezzi e nel proprio ritmo, ognuno può sviluppare una certa competenza e prendere decisioni più informate. La mancanza di conoscenza è uno dei problemi principali che affliggono il nostro Paese. Siamo sicuri che attualmente stiamo dando tutte le informazioni giuste? Dando informazioni più ricche, confrontabili in modo semplice non otterremmo risultati migliori? I dati mostrano che è così, quando sperimentiamo il modo in cui vengono date le informazioni, ci accorgiamo che le persone possono rispondere attivamente. Infatti, quando le coinvolgiamo maggiormente in queste tematiche gli indicatori mostrano un deciso cambio di rotta».

Quali sono le funzioni del denaro?

«Le funzioni principali sono tre. La prima è quella di mezzo di scambio: comprare qualcosa, migliorando l’efficienza del baratto. La seconda è di riserva di valore, connessa alla prima. La terza è l’unità di conto, fondamentale ma spesso dimenticata. Quanto più i prezzi sono stabili, o cambiano gradualmente, tanto più quel segnale è stabile, se invece i prezzi sfuggono al controllo, il denaro inizia a perdere una delle sue funzioni fondamentali. Queste tre funzioni fanno sì che qualcosa sia considerato denaro. Le valute sono una questione di fiducia, questo lo dimentichiamo troppo spesso».

inflazione

Proprio la fiducia – scrive nel suo libro – è una componente fondamentale del funzionamento di un’economia. Come si rapportano a questa definizione criptovalute ed euro digitale?

«Le criptovalute sono un progetto interessante in termini di disintermediazione, ma non si sono ancora affermate come moneta, perché non ne hanno le caratteristiche fondanti. Sono tecnologie importanti, che stanno portando le banche centrali a riflettere su potenziali cambiamenti. Tuttavia, non sono una riserva di valore, perché prevedono sempre una percentuale di rischio. Lo stesso Elon Musk ha fatto retromarcia rispetto al proposito di accettare i pagamenti per le Tesla anche in criptovalute. C’è anche il grande problema dei consumi energetici per il mining, da non trascurare. La BCE sta prestando sempre più attenzione al tema dell’euro digitale. Le banche commerciali tecnicamente creano moneta, la cosiddetta M2. È creata attraverso i prestiti, quindi tecnicamente è privata. Tuttavia, rappresenta più del 90% di quella che circola nel sistema ed è sottoposta a criteri di grandissima solidità finanziaria. È creata da un privato dentro un sistema fiduciario, che sta in piedi perché ci fidiamo del suo valore. Il sistema bancario è vitale per l’attività economica, rappresenta la circolazione sanguigna dell’economia. Per questo motivo, quando ci sono crisi, questi istituti sono tra i primi a essere salvati, perché sono talmente interconnessi che così facendo metti al sicuro anche i soldi dei correntisti, delle aziende, etc. È importante sottolineare che la moneta elettronica è privata ma ampiamente garantita dalle regole del sistema bancario europeo».

Diversi Paesi stanno mettendo in discussione il primato del dollaro come moneta del commercio, la cosiddetta dedollarizzazione. Quali conseguenze potrebbe avere questa tendenza?

«C’è un’area macro regionale che sta provando a sganciarsi da questa dipendenza. È anche vero che allo stato attuale la maggior parte degli interessi mondiali sono legati ai dollari. Questo arriva dall’evoluzione storica. Un tempo, i soldi dovevano corrispondere a riserve auree. La posizione di rilevanza deriva dal fatto che il dollaro avesse un rapporto fisso con l’oro, le altre monete invece con il dollaro. Oggi l’importanza è ancora molta, ma non so se sarà sempre così. Penso però che i movimenti di instabilità, provenienti da diversi Paesi che fanno gruppo per soppiantarlo, non rappresentino un blocco unico, poiché ognuno ha interessi differenti. Dovremmo chiederci, ad esempio, se gli investitori preferirebbero avere riserve in yuan? Penso di no. Sicuramente è vero che la globalizzazione non è statica, ma i vantaggi comparativi si vedranno nel tempo. Oggi stiamo assistendo a una fase di instabilità, ma non è chiaro a cosa porterà. Economicamente, il dollaro è molto forte, è la moneta di riserva in una fase di incertezza come quella attuale. Basti pensare che anche in Venezuela, dove il tasso d’inflazione è salito a migliaia di punti percentuali, le persone che possono permetterselo usano ancora il dollaro. La domanda è molto forte, ora che siamo in una fase di grande instabilità».

criptovalute economia

Parliamo del costo opportunità. Perché trascurarlo di solito è una cattiva idea?

«Il costo opportunità è la valutazione del costo delle operazioni che scarti quando operi una scelta. Per fare un esempio concreto, nella vita di tutti i giorni è come calcolare qual è l’uso migliore che avresti potuto fare del tempo. Guardando al nostro Paese, l’Italia paga 80/90 miliardi di euro l’anno in tassi d’interesse sul debito pubblico, che diventeranno 100 tra un paio d’anni. Parliamo di una mole di denaro che equivale a più di tre Manovre finanziarie, soldi pubblici che non vengono investiti in altro, come sanità, scuole, servizi, infrastrutture da migliorare. Questa è una valutazione poco attenta del costo opportunità». ©

Articolo tratto dal numero del 1 novembre 2023 de il Bollettino. Abbonati!

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