martedì, 30 Aprile 2024

Una nuova prova per l’oreficeria: costi in aumento

Sommario
oreficeria

L’oreficeria italiana tiene la barra dritta nonostante la tempesta dei Mercati e naviga verso un anno positivo. Il rallentamento della crescita di Cina, Germania e Stati Uniti spinge gli investitori a cercare rifugi sicuri. La corsa al minerale da parte di investitori e Banche Centrali, in un clima di forti tensioni geopolitiche globali, ha contribuito a far schizzare in alto il valore dell’oro. La quotazione supera ogni record, raggiungendo il valore di 2.048,69 dollari all’oncia. Un trend che sta spiazzando diversi esperti, preoccupati dalle fluttuazioni. Infatti, spesso il rapido aumento delle quotazioni dell’oro è collegato all’allentamento delle politiche monetarie, in particolare da parte della Federal Reserve (Fed). Assieme alle crisi internazionali che mettono in difficoltà l’export, un contesto tutt’altro che semplice per il business dell’oreficeria, che mostra tutta la sua resilienza aprendo il 2024 con segno positivo.

«Le crisi nel Mar Rosso e in Medio Oriente pesano poco in termini di esportazioni dirette verso quell’area, che non è nemmeno tra le prime 20 destinazioni della nostra oreficeria. Invece, pesa dal punto di vista dell’impatto emotivo e delle ripercussioni sullo stato d’animo dei consumatori in molte aree del mondo. Infatti, eventi di guerra creano incertezza. Le quotazioni in salita e le fluttuazioni dei metalli preziosi che ne conseguono certo non facilitano lo sviluppo del business. Quando il prezzo è stabile ma alto il Mercato continua, quando fluttua troppo ci sono momenti di ripensamento», spiega Maria Cristina Squarcialupi, Vicepresidente di Confindustria FEDERORAFI con delega alla Sostenibilità. E proprio l’aspetto Green, ma anche sociale, rappresenta l’altro grande tema con cui il settore si trova a confrontarsi.

Squarcialupi

«La tracciabilità delle materie prime utilizzate nel nostro settore è importante. Infatti, l’oro rientra tra i minerali la cui vendita potrebbe arricchire i signori della guerra. Per questa ragione è fondamentale indagare sulla provenienza e verificare che vengano tutelate le condizioni dei lavoratori. Una necessità sentita sempre di più sia dai consumatori sia dai grandi player del lusso, che hanno una grande produzione in Italia», aggiunge Squarcialupi, che aprirà i lavori del nuovo corso online sulla sostenibilità organizzato da Confindustria FEDERORAFI in collaborazione con le Associazioni confindustriali di Alessandria, Campania/CE, Toscana Sud/AR e Vicenza.

Quanto sono sostenibili oggi le aziende che lavorano nell’oreficeria?

«Abbiamo fatto diversi passi avanti negli ultimi anni. Molte aziende stanno realizzando il bilancio di sostenibilità, adottandolo anche se non sono obbligate. Un dato di valutazione è anche quante aziende orafe italiane aderiscono al Responsible Jewelry Council (RJC), organizzazione internazionale il cui scopo è tracciare la materia prima dalla miniera alla commercializzazione, applicando due standard etici: il Code of Practice e il sistema Chain of Custody. Su circa 1.800 membri complessivi del RJC quasi 300 aziende sono italiane, rappresentiamo il Paese con il maggiore numero di aziende che aderiscono a questo sistema.

Un elemento positivo ma non sufficiente. Lo scorso anno abbiamo organizzato diversi incontri sui territori nei vari distretti patendo da Arezzo, Vicenza, Alessandria e Caserta, portando le testimonianze degli imprenditori sull’utilità di intraprendere questo percorso virtuoso rivolto alla sostenibilità. Quest’anno abbiamo attivato il corso di formazione ad hoc e abbiamo già in programma altre iniziative che svilupperemo nell’arco del 2024».

Come si articola il vostro corso sulla sostenibilità nell’oreficeria?

sostenibilità

«È un corso a distanza che si compone di 5 sessioni in un mese. Le aziende acquisiranno principi sull’applicazione dei due requisiti Code of Practice e Chain of Custody, necessari per l’ottenimento delle certificazioni RJC. In aggiunta, i partecipanti acquisiranno i le linee guida per comprendere i criteri ESG. È un percorso impegnativo, ma con sicuri ritorni per le performance aziendali. Non a caso, abbiamo raggiunto facilmente il target numerico di partecipanti prefissato. Ci ha colpito positivamente anche il fatto che le richieste arrivino da aziende di tutta Italia e con differenti dimensioni e tipologie di prodotto. Questo dimostra quanto sia sentita questa opportunità.

La provenienza geografica delle imprese, che di fatto copre tutto lo Stivale con aziende campane, lombarde, piemontesi, siciliane, toscane e venete e con dimensioni e tipologie di prodotto molto diverse tra loro, dimostra quanto sia sentita questa opportunità sull’intero territorio nazionale. Siamo oltretutto soddisfatti per essere riusciti a diffondere l’importanza dello strumento anche al di fuori dei principali distretti orafi».

È possibile quantificare il ritorno in termini di performance aziendali?

oreficeria

«Un calcolo preciso è difficile da fare, ma ci sono vari vantaggi. In primo luogo competitivo, perché chi sta già percorrendo questa strada è avvantaggiato rispetto a quelli che ancora devono iniziare un percorso di trasparenza. C’è anche un accesso agevolato al credito per le aziende che adottano principi di sostenibilità. Parliamo soprattutto di quelle aziende che possono rendere noto il loro rating ESG (Environmental, Social and Governance) in bilancio, ancora non obbligatorio. Ultimo ma non meno importante c’è l’aumento della credibilità nei confronti dei consumatori».

Che momento vive la filiera, dopo una fine di anno in calo?

«Il 2024 si è aperto abbastanza bene. Bisogna sottolineare però che veniamo da anni, 2021 e 2022, in cui le performance sono state particolarmente positive. Il 2023, nonostante le difficoltà, si è chiuso con segno più in termini di fatturato, si parla di un valore che va dal 5 al 7%. Una performance fortemente sostenuta dall’export. L’oreficeria italiana infatti viene essenzialmente esportata. L’export rappresenta oltre il 90% del nostro giro d’affari. Sicuramente nella seconda metà del 2023 abbiamo assistito a una forte frenata. Rispetto ad altri campi della moda, però, l’oreficeria tiene meglio, grazie alla nostra materia prima. Anche il 2024 è iniziato con un trend positivo».

Un risultato raggiunto grazie alla fama di cui la manifattura italiana gode nel mondo…

«Il Made in Italy è ancora molto importante nel mondo. D’altronde, avere un’oreficeria nazionale è sempre un plus. Siamo diventati un Paese di riferimento nella manifattura. Basti pensare che i più grandi brand al mondo di gioielleria vengono a produrre in Italia. E lo stesso discorso vale per la pelletteria. Ciononostante, l’Italia non è più leader in termini di volumi di oro trasformati in gioiello, siamo al quarto posto. Prima di noi ci sono l’India, la Cina e la Turchia. Tuttavia, siamo al primo posto in termini di qualità e design. Si aggiunge la forte accelerazione sui temi della sostenibilità.

lavoro

La competizione si sente da tutte le parti, in particolare sui principali Paesi d’esportazione, dove i nostri competitor sono sempre più agguerriti. Spesso possono beneficiare di politiche governative di forte sostegno all’export, se non addirittura protezionistiche del Mercato domestico. Ma in Europa siamo anche sottoposti a normative che permettono di tutelare consumatori, lavoratori e ambiente.».

Oltre il 90% dei prodotti dell’oreficeria sono destinati all’export, per un valore annuo di circa 10 miliardi di euro. Perché si vende di più all’Estero che in Italia?

«Sicuramente le aziende hanno sviluppato processi e tecnologie all’avanguardia che le hanno portate a rivolgersi verso i Mercati internazionali. In più, il consumatore italiano non è oggettivamente in grado di assorbire i volumi delle imprese che operano qui. Basti pensare che tra i principali Paesi consumatori di gioielleria figura l’India, che trasforma 600 tonnellate d’oro in gioielli, contro le 20 dell’Italia. Tuttavia, siamo spettatori stupiti anche noi di fronte a questo trend. Infatti, il consumatore italiano continua a comprare i grandi brand, l’alta gioielleria. Invece, l’oreficeria unbranded, la maggior parte di quella italiana, è un po’ meno attrattiva. La ragione potrebbe essere anche che oggi si tende a fare meno regali di gioielleria, sostituiti da prodotti Tech».

Verso quali Paesi esportiamo di più?

«I principali Paesi di sbocco sono gli Stati Uniti, dove arriva il 15% dell’export. Al secondo posto troviamo la Svizzera, con il 12%. Proprio quest’ultimo Paese è un hub centrale per i grandi brand. Al terzo posto troviamo gli Emirati Arabi, con Dubai centro di snodo del Medio ed Estremo Oriente. La Francia occupa invece la quarta posizione, per ragioni simili alla Svizzera».

export

La concorrenza asiatica si sta facendo più aggressiva?

«L’India e la Cina sono grandi consumatori e produttori di gioielleria. Non sono grandi Mercati per noi, perché parliamo di prodotti molto caratterizzati in termini di design. Per i prodotti italiani lì è uno sbocco quasi impenetrabile, anche perché subiamo il loro protezionismo. Ci sono dazi doganali molto elevati, standard ad hoc, reticenze all’import. Gli unici che riescono ad entrare facilmente in quei Mercati sono i grandi brand».

Come riuscire ad essere più competitivi?

«Si dovrebbero abbattere queste barriere. Purtroppo non dipende da noi, ma da quei Paesi. Il paradosso è che la Cina invia prodotti di tutti i tipi in Europa, mentre spesso innalzano muri nei confronti dei nostri». ©

Articolo tratto dal numero del 15 aprile 2024 de il Bollettino. Abbonati!

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