Saracinesche abbassate per sempre nelle città. In dieci anni, dal 2012 al 2013, in Italia hanno chiuso 111mila esercizi commerciali. A certificarlo è la nona edizione di Città e demografia d’impresa, elaborata da Confcommercio. Nel 2023 si contavano circa 440mila imprese del commercio al dettaglio in sede fissa, 70mila ambulanti e 328mila attività di alloggio e ristorazione: un’impresa attiva su cinque è scomparsa dal mercato e non è stata sostituita.
Chiudono soprattutto negozi di giocattoli e benzinai
Nei centri storici il segno meno si registra soprattutto per i rifornimenti di benzina, calati del 40,7% dal 2012 al 2023. Seguono i negozi di libri e giocattoli, che si riducono del 35,8%. E poi ferramenta (-33,9), commercio ambulante (-27,8), vestiario e calzature (-25,5), alimentare (-12) e tabacchi (-3,4). Tutto il contrario per altri tipi di esercizi, che sono invece in crescita. È il caso per esempio degli alloggi, che schizzano del 42% complice la diffusione nei centri città dei bed and breakfast. E poi farmacie, in salita del 12,4% e subito dopo i negozi di computer-telefonia, con valori simili e pari al +11,8%. E ancora la ristorazione, che aumenta del 2,3.
I motivi delle chiusure
Gli anni più duri sono stati i più recenti. Tra il 2019 e il 2023 «gli effetti della pandemia e il caro energia hanno condizionato lo svolgimento delle attività economiche» si legge nel report. E il risultato è stato che le imprese del commercio si sono ridotte di oltre 31mila unità. I motivi della desertificazione commerciale, come la definisce Confcommercio, sono però molteplici, evidenzia lo studio. Il calo non è solo da attribuire alle nuove tecnologie e al commercio online. Ma è il risultato «di un processo di trasformazione indotto dal rallentamento della domanda per consumi da parte delle famiglie, da nuovi orientamenti e comportamenti di spesa dei consumatori».
Serve un’innovazione “sartoriale”
A patire la conseguenza del crollo di attività commerciali nelle città sono soprattutto i cittadini, «anche quelli che non comprano alcunché presso i negozi fisici» sottolinea ancora il report. Perché senza negozi prolificano insicurezza e micro-criminalità, si riduce il decoro urbano e perdono valore gli immobili. «Senza commercio di prossimità è impossibile sfuggire a un aumento del disagio sociale e economico» è scritto. Il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, all’assemblea generale di giugno a Roma, ha lanciato un appello per contrastare il fenomeno: «Va dato impulso all’innovazione sartoriale, fatta su misura delle imprese. Per questo servono politiche pubbliche».
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