L’Italia recupera terreno sull’educazione finanziaria. Sì, ma di quanto?
«Nonostante si stia facendo molto, c’è ancora tanto da fare», ha detto Lando Maria Sileoni, Segretario Generale FABI (Federazione Autonoma Bancari Italiani) riferendosi all’introduzione dell’EduFin nelle scuole. Così oggi la settima edizione del mese dedicato alla conoscenza del mondo del risparmio – che quest’anno per la prima volta si sposta da ottobre a novembre – da occasione per informare diventa anche un momento per fare il punto sulla nostra situazione.
Come è messa l’Italia
Il quadro italiano pare essere in miglioramento. L’ultima edizione dell’indagine triennale di Banca d’Italia sull’alfabetizzazione finanziaria ci mostra un punteggio che sale – da 10,2 a 10,6 su 20 – rispetto allo studio precedente. Lo conferma l’EduFin Index annuale, che porta da 55 a 56 su 100 la nostra performance (Fonte: Fondazione Mario Gasbarri, SDA Bocconi). Il quadro generale però resta piuttosto grigio: lo studio definisce «fragili e disinteressati» il 20% degli italiani, ovvero 1 su 5.
Nel 2023, la percentuale di nuclei familiari in grado di mettere da parte risparmi era del 54,7% (Fonte: Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi). Chi accumula lo fa soprattutto per casa (30%) e per i figli (16%). E chi investe? Lo fa in modo molto conservativo, soprattutto nell’immobiliare o nei BTP, ed è ancora in minoranza: parliamo del 29,9%.
Ciò che preoccupa, in un periodo in cui l’inflazione resta una delle principali minacce ai risparmi, è la carenza di una basilare comprensione del fenomeno. Appena il 38% dei nostri concittadini è in grado di definirlo adeguatamente. Peggio, più di un terzo del totale, interrogato sui modi migliori per tutelarsi, risponde obbligazioni a tasso fisso o perfino liquidità, cioè esattamente l’opposto di ciò che suggerirebbe un qualsiasi manuale.
Il paragone con l’estero, poi, è ancora più impietoso. Minuziosa in materia è l’OCSE, che produce annualmente un indice generale basato su tre parametri: conoscenza, comportamento e atteggiamenti finanziari. Anche in questa scala, l’Italia è bocciata, con un 53 su 100: peggio di noi, solo Yemen (42), Paraguay (50) e Cambogia (49). A penalizzarci sarebbe, in particolare, il dato sul comportamento finanziario, relativo alla capacità di tenere traccia dei flussi di denaro, risparmiare, pianificare nel lungo termine ed effettuare acquisti ragionati. In questo campo, otteniamo meno della metà del punteggio massimo.
La situazione europea
Magra consolazione – mal comune, mezzo gaudio, direbbe qualcuno – è constatare che anche a livello europeo, la strada da fare è ancora parecchia. Secondo l’Eurobarometro, il 24% dei cittadini UE non possiede i più basilari concetti finanziari, mentre solo il 18% presenta un alto livello di conoscenza. La metà ottiene un punteggio medio, ma manca di diverse conoscenze di base. Risponde correttamente a solo 2/3 dei 5 quesiti del sondaggio, riguardanti rispettivamente interesse composto, inflazione, tassi d’interesse, rischio d’investimento e diversificazione.
Ben un terzo di loro, tuttavia, ha mostrato di non avere chiaro il meccanismo attraverso cui l’inflazione agisce e come essa diminuisca il potere d’acquisto. Vi è, infine, un quarto degli intervistati – il 26% per la precisione – in grado di navigare adeguatamente questi temi. Guardando alla consistenza di quest’ultima categoria, l’Italia si colloca nella parte inferiore della classifica, ma solo un punto sotto la media europea. D’altronde, siamo in buona compagnia: se la Germania allunga con un 32% di individui ben preparati, la Francia ci pareggia al 25%.
È però nelle sacche di analfabetismo finanziario cui accenna l’EduFin Index, che il divario con il resto del continente è maggiore. Gli italiani che presentano un basso livello di conoscenze sono il 26%, due punti in più della media. È un risultato pareggiato da alcuni – come Bulgaria o Belgio – ma peggiorato da pochi, come la Spagna, che raggiunge il 27%. Insomma, anche in un’aula più piccola di quella globale, stiamo tra gli ultimi banchi.
Il Gender Gap
Un altro vulnus da sanare è il gender gap (ne parliamo anche nell’A-pprofondimento a pag. 26). Globalmente – nota, tra gli altri, l’OCSE – le differenze registrate a livello di genere sono generalmente minime, rientrando tutt’al più in un range di due punti percentuali di differenza, salvo rari casi eccezionali. In ogni caso, esse tendono a essere relative piuttosto alla conoscenza finanziaria che non agli effettivi comportamenti e atteggiamenti dei risparmiatori.
Una descrizione che però non pare rispecchiare la situazione nazionale: sono donne, secondo l’EduFin Index, molti tra i soggetti più scoperti sul tema. Addirittura il 30% di loro (contro un 23% di uomini) verserebbe in condizioni di fragilità vera e propria. Il 65%, invece, non gestisce entrate e spese familiari autonomamente, delegando a compagni e mariti le decisioni in materia. In particolare, a determinare questa condizione sarebbe anche lo scarso interesse mostrato dalle intervistate donne rispetto a questi temi. Il 22% di loro afferma di non informarsi, mentre addirittura il 30% si dice del tutto disinteressato, contro un 19% degli uomini.
Un dato che incide dolorosamente sulla capacità concreta di avere un’indipendenza economica e di non subire il ricatto silenzioso della violenza finanziaria, operata da chi tiene i cordoni della borsa verso chi è tagliato fuori dalle scelte finanziarie familiari. È questo un aspetto di un’importanza fondamentale per il Paese: finché le donne non avranno la piena libertà e le capacità di gestire autonomamente le proprie risorse, non si potrà parlare di parità di genere in questo campo. Tanto più che, nel quadro dell’accesso alla finanza, spunta un ulteriore tasto dolente, quello della disponibilità dei servizi finanziari. Secondo il World Economic Forum non sarebbe ancora del tutto garantito alle donne italiane, praticamente un unicum tra i grandi Stati europei (Fonte: WEF).

«La relazione tra donne e denaro non è ancora matura», ha detto Giovanna Boggio Robutti, Direttrice Generale di FEDUF (Fondazione per l’Educazione Finanziaria e al Risparmio). «Mentre proprio dall’educazione finanziaria dipende l’autonomia economica senza cui ci si ritrova in condizioni di svantaggio. Si tratta di una questione di democrazia».
Le iniziative del mese
Per continuare a promuovere l’educazione finanziaria nel Paese, entrano in campo anche quest’anno centinaia di iniziative. Si passa da eventi in grandi città come Roma e Milano ad altri in piccoli centri, come Scafati (in provincia di Salerno), Goito (Mantova) o Marsciano (Perugia), con argomenti che spaziano da una caccia al tesoro finanziaria a un convegno sui pagamenti digitali. Il destinatario? Tutti, senza guardare a età, professione o livello di istruzione. Ma le conferenze sono “taylor-made”, progettate per essere adatte a una determinata categoria e livello di pubblico. Le attività per le scuole, in ogni caso, sono quelle preponderanti, per tentare di affrontare i temi finanziari il più presto possibile.
E sempre per puntare a un pubblico giovane, il Ministero dell’Economia e delle Finanze lancia l’hashtag #NovembreEduFin2024, da legare alle iniziative del mese. Un mese che, profanamente, è un po’ come un calendario dell’avvento della finanza, ricco di ricorrenze dedicate a tematiche specifiche. Ci sono novità? Sì, ci sarà la prima edizione della Giornata della legalità finanziaria, patrocinata dalla Guardia di Finanza, per sensibilizzare su problemi come evasione ed elusione fiscale. Già rodate sono invece la Giornata dell’educazione assicurativa, promossa grazie all’Istituto per la Vigilanza delle Assicurazioni (IVASS), e la Settimana dell’educazione previdenziale, che tra il 18 e il 24 novembre coinvolgerà decine tra operatori istituzionali e fondi pensione privati nella sensibilizzazione su pensioni e contributi.
Guardare lontano
Ciò che più conta, però, al di là dell’impatto degli eventi distribuiti nel corso del mese, sono gli sforzi fatti nei restanti 11, nonché l’impegno continuo e costante negli anni. È questo tipo di progettualità di ampio respiro quella di cui abbiamo bisogno per cambiare le cose. Anche su questo fronte, il Paese ha fatto negli ultimi anni alcuni passi da gigante, grazie soprattutto agli sforzi del MEF, Banca d’Italia e una serie di altri ministeri ed enti istituzionali, come IVASS, CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa) e il Ministero dello Sviluppo Economico. Proprio per coordinare un ampio sforzo condiviso è stato messo in piedi nel 2017 il Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria, costituito da rappresentanti di ciascuna di queste istituzioni.
«La sua missione – si legge sul sito del MEF – si traduce nella necessità di far conoscere ad una più ampia platea di cittadini concetti e contenuti, formulati in un linguaggio semplice, e fare in modo che questi diventino nel tempo parti di una conoscenza condivisa e consapevole».
È il Comitato il vero deus ex machina responsabile del mese dell’educazione finanziaria, ma anche di tutta una serie di iniziative e progetti volti ad avvicinare i cittadini al mondo della finanza. Meglio inquadrati grazie a questa cabina di regia, gli interventi dei vari enti proseguono, cercando soprattutto di aiutare gli individui meno informati e a rischio. In particolare, si segnalano piattaforme come L’economia per tutti, una pagina lanciata da Bankitalia per dare al pubblico poche, semplici informazioni su alcuni concetti essenziali. Un’iniziativa simile a Quellocheconta, a patrocinio del Governo, volta ad aiutare i risparmiatori a orientarsi negli aspetti economici legati a passaggi di vita fondamentali. Dall’acquisto della prima casa, al primo lavoro, alla costituzione di una nuova famiglia.
Specificamente disegnato per il pubblico femminile è invece Le donne contano, un corso online progettato nel 2020 dal Servizio Educazione finanziaria della Banca d’Italia e composto di cinque moduli: “Pianificazione finanziaria”, “Strumenti di pagamento alternativi al contante” e “Home banking e “sicurezza informatica”, “Approccio prudente al debito” e “L’ABC degli investimenti”. Alla componente online si affianca poi un contributo sul territorio, svolto attraverso sessioni d’aula che dal 2022 a oggi hanno coinvolto i sindacati per formare delegate sindacali in grado di supportare le loro colleghe lavoratrici nel navigare queste tematiche. Nel primo semestre di quest’anno, il progetto ha formato ben 1.000 figure e punta a raggiungere fasce di pubblico tagliate fuori da altri veicoli di formazione.
Ciò che più rappresenta una promessa – e una grande sfida – per il futuro dell’alfabetizzazione finanziaria nel Paese è l’introduzione, a partire dall’anno scolastico 2024/2025, dell’educazione finanziaria tra i banchi già dalla più tenera età. Disposta dalla legge sulla competitività dei capitali di marzo di quest’anno, la misura inserisce la finanza tra i temi trattati nelle ore di educazione civica. Certo, è un posto tutto sommato secondario all’interno degli affollati programmi ministeriali. Ma si tratta di un importante primo passo nella promozione di una nuova consapevolezza in materia.
«Le raccomandazioni dell’OCSE (2005) e le esperienze internazionali mostrano come la scuola costituisca un canale privilegiato per veicolare iniziative, conoscenze e competenze di educazione finanziaria e rivesta un ruolo fondamentale – si legge in una nota di Banca d’Italia. «Da un lato, consente di raggiungere una vasta fascia della popolazione, con riferimento a tutti i ceti sociali. Dall’altro, agevola il processo di familiarizzazione dei consumatori di domani con i temi finanziari, prima che giunga il momento della vita in cui vengono effettuate scelte che incidono sul benessere economico».
Ora, ciò che più conta sarà riuscire a cogliere quest’opportunità, dando a maestri e professori gli strumenti necessari per avvicinare a questi temi gli allievi.
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Articolo tratto dal numero del 1 novembre 2024 de il Bollettino. Abbonati!
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