La Sanità pubblica italiana assorbe una delle fette più consistenti delle risorse pubbliche. Nel solo 2022 la spesa sanitaria complessiva è stata pari a 170 miliardi di euro, (fonte: Monitoraggio della Spesa Pubblica, Ragioneria di Stato). Il balzo rispetto agli anni pre Covid non passa inosservato. Si sale infatti dai circa 110 miliardi degli anni 2013-2020 ai 122,7 del 2020 e successivamente ai 127,5 del 2021. Un picco dovuto a un evento di portata epocale come quello della pandemia.
I fondi
Ma le coperture sono sufficienti a garantire un servizio adeguato per i cittadini? Non proprio. Per capirlo bisogna scorporare il dato e considerare come dei 170 miliardi di euro di spesa totale, ben 40 provengano dalle tasche dei cittadini. Nel 2022, evidenzia in un rapporto la Fondazione GIMBE (Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze), «la spesa sanitaria sostenuta direttamente dalle famiglie ammonta a quasi 37 miliardi». In quell’anno «oltre 25,2 milioni di famiglie italiane in media hanno speso per la salute 1.362 euro, oltre 64 in più rispetto al 2021».
Cresce il bisogno di cure
Il Servizio Sanitario Nazionale non basta più. Di fronte c’è un crescente bisogno di cure verso una popolazione di età sempre più avanzata e con maggiore speranza di vita, mentre l’Italia attraversa un inverno demografico ormai consolidato. È giocoforza che la tendenza a rivolgersi al privato per le visite mediche sia in ascesa.
Nel periodo 2012-2022 la spesa out-of-pocket (cioè in ticket) è aumentata in media dell’1,6% annuo, per un totale di 5.326 milioni in 10 anni. La componente privata della spesa sanitaria è diventata, nel tempo, sempre più rilevante. «Si supera stabilmente il 2% del PIL a partire dal 2011, a seguito delle manovre finanziarie e degli interventi di spending review». Intanto, la spesa sanitaria pubblica in termini percentuali sul PIL ha continuato a ridursi, contraendosi dal 7% nel 2009 al 6,4% nel 2019.
L’indebolimento del SSN
«Un dato che documenta l’impatto del progressivo indebolimento del SSN» ha detto Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE. GIMBE è andata più a fondo nei calcoli, rilevando come secondo il sistema dei conti ISTAT-SHA, nel 2022 la spesa privata ammonti a 41.503 milioni. Di questi 36.835, il 21,4%, sono in ticket, mentre i restanti 4.668 milioni sono intermediati da fondi sanitari e assicurazioni. Emerge così come «la spesa out-of-pocket superi la soglia del 15%, concretizzando di fatto, secondo i parametri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, un sistema sanitario misto». In altre parole, la nostra Sanità pubblica non lo è più, almeno in senso proprio.
Il confronto con l’estero
Nonostante i costi sanitari siano in apparenza esorbitanti per il Paese, a frenare gli entusiasmi è il confronto internazionale. È questo a mettere subito in evidenza come, da ogni lato la si esamini, la nostra spesa sia nettamente inferiore a quella dei principali Paesi europei, tanto in valore pro capite quanto in percentuale sul PIL. È infatti proprio sul prodotto interno lordo che più comunemente si tara la spesa pubblica. Per un motivo evidente, che è quello di tenere conto della ricchezza prodotta da un Paese per giudicare poi a cascata quanto ha in effetti speso per i diversi parametri economici.
Considerando l’incidenza sul PIL, la spesa sanitaria pubblica italiana è stata nel 2022 pari al 6,8%. Una percentuale, osserva uno studio FIASO (Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere) basato sui dati OCSE «superiore a quella del Portogallo (6,7%) e della Grecia (5,1%)». Inferiore però di ben 4,1 punti percentuali «rispetto a quella tedesca (10,9%), di 3,5 punti rispetto a quella francese (10,3%), di 2,5 punti rispetto al Regno Unito (9,3%), e inferiore di mezzo punto anche rispetto a quella spagnola (7,3%)».
La spesa pro capite
Va un po’ meglio se si guarda alla quota di spesa pro capite, anche se il dato di sostanza non cambia: in Italia per la sanità si spende meno che nel resto dei Paesi avanzati. «La spesa sanitaria pubblica pro capite, a parità di potere d’acquisto, espressa in dollari statunitensi, l’unità di misura adottata dall’OCSE, in Italia nel 2022 è stata di 3.255 USD». Una quota superiore alla spesa di Spagna (3.113), Portogallo (2.640) e Grecia (1.785). Inferiore però del 53% a quella della Germania (6.930 USD), del 42% rispetto a quella della Francia (5.622 USD) e del 27,3% rispetto al Regno Unito».
Anche considerando a ritroso il biennio della pandemia 2020-2021, il quadro resta invariato. «Nonostante la crescita nell’insieme del 15,5%, quindi con un incremento rilevante rispetto a quello medio degli anni precedenti, la spesa sanitaria pubblica italiana è cresciuta comunque meno rispetto a Francia (+19,2%), Germania (18,4%) e Regno Unito (+28,6%)».
I nodi principali
Su cosa si incaglia principalmente il Sistema Sanitario Nazionale? I fronti critici sono soprattutto due, e cioè i tempi di attesa per l’erogazione delle prestazioni e la carenza di personale. Il primo fattore è quello che più di tutti spinge le famiglie a rivolgersi al privato. I dati per le attese nelle cure sono impietosi. A metterlo nero su bianco è l’ultima Relazione al Parlamento sulla Gestione dei servizi sanitari regionali della Corte dei Conti. Il superamento dell’emergenza Covid non ha portato a nessun miglioramento, tutt’altro. «I dati pubblicati da AGENAS sul rispetto dei tempi di attesa degli interventi chirurgici “urgenti” (classe A), da erogare quindi entro 30 giorni dalla prescrizione – si legge – indicano che nel 2021, sul piano nazionale, su 12 tipologie di interventi relativi alle principali patologie tumorali o cardiache, solo per quattro è migliorata rispetto al 2019 la percentuale di erogazione delle prestazioni nei tempi standard di attesa». Nel 2022 si registra poi un ulteriore peggioramento, ancorché lieve, per tutte le tipologie di intervento.
Scendono i ricoveri
Scende di conseguenza il numero ricoveri, che per i cittadini si traduce in un peggioramento della qualità dell’assistenza medica. I volumi di attività complessivamente erogati dalle strutture ospedaliere pubbliche e accreditate salgono di 328mila unità rispetto al 2021. Ma «sono stati ancora inferiori di circa il 10% rispetto al 2019 (pari, in valore assoluto, a 890mila ricoveri in meno)». Il recupero ha riguardato soprattutto i ricoveri programmati e diurni, «mentre quelli di urgenza sono stati, nel 2022, ancora inferiori del 13% rispetto al 2019».
C’è poi il problema del personale dipendente, che scarseggia da tempo. Dalla relazione della Corte dei Conti, si viene a sapere come sia l’esito inevitabile di anni di tagli. Dal 2009 al 2018, infatti, l’andamento della spesa per i redditi da lavoro «è stato ampiamente negativo, pari al -6,8% e simultaneamente a una importante riduzione delle unità di personale dipendente». E ancora, spiega il documento che «fatto 100 il valore complessivo della spesa, nel periodo 2009-2018 la componente dei redditi da lavoro dipendente decresce dal 33,4% al 30,8%». Quella dei consumi intermedi e del privato accreditato, «aumenta invece rispettivamente dal 24,1% al 29,1%, e dal 20,5% al 22,5% del totale».
Il post Covid
Con il Covid il registro è cambiato? Un anno di svolta c’è stato ed è l’esercizio 2020, nel quale la componente di spesa costituita dai redditi da lavoro dipendente è arrivata a 37,3 miliardi. Ma è il risultato scontato di un anno emergenziale dovuto al Covid. Nel 2022, dopo anni di calo, si assiste poi a una crescita improvvisa del 5,5% della spesa per gli stipendi, da ricollegare – spiega la relazione – alla corresponsione di arretrati dei rinnovi contrattuali. In quello stesso anno, il 2022, le unità del personale hanno anche finalmente cessato di diminuire, superando di poco i livelli occupazionali del 2008 e ponendo fine a un decennio di riduzione. Un periodo in cui le falcidiate alla spesa pubblica hanno riguardato non solo l’organico, ma anche le paghe.
Le paghe dei dipendenti
«La spesa per i redditi da lavoro dipendente ha eguagliato, in termini nominali, quella del 2008 solo a partire dall’anno 2021 (38,5 miliardi, +0,3% rispetto al 2008, pari a 38,3 miliardi), segnando comunque una riduzione netta in termini reali».
Guardando oltreconfine si scopre poi che riguardo alle risorse umane, gli indicatori segnalano per l’Italia un tasso di medici praticanti pari a 4,1 per mille abitanti, superiore alla media OCSE (3,7). Ma il numero di infermieri risulta insufficiente, con indicatori pari a 6,2 a fronte di 9,2 a livello internazionale. E, dulcis in fundo, un numero di posti letto ospedalieri pari a 3,1 per mille abitanti, anch’esso inferiore al dato medio OCSE, pari a 4,3.
Il futuro del SSN
Nel frattempo le performance del SSN sembrano tenere, con risultati relativamente positivi. «Tra gli indicatori di qualità delle cure» scrive ancora la Corte dei Conti, «quello relativo al tasso di mortalità prevenibile in Italia (91 per 100.000 abitanti) o trattabile (55 per 100.000 abitanti) risulta molto inferiore alla media OCSE (pari, rispettivamente, a 158 e 79 per 100.000 abitanti)». Tuttavia, esiste il rischio che il sistema di questo passo possa non reggere. Anche perché c’è una condizione ulteriore cui è sottoposta la spesa italiana. Ed è il vincolo di finanza pubblica, che per l’Italia comporta il pagamento di interessi sul debito. Nel 2022, rivela FIASO, «gli interessi hanno assorbito 4,3 punti percentuali di PIL (82,9 mld in valore assoluto), 3,6 punti percentuali in più che in Germania (0,7%, pari a 26,5 miliardi) e 2,4 in più della Francia (1,9%, pari a 50,7 miliardi)». Un elemento decisivo, che riduce la capacità del Governo di aumentare le risorse dedicate al finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale. Mentre sul lato opposto il fabbisogno di spesa è destinato a crescere sempre di più, conseguenza dell’invecchiamento della popolazione e anche degli aumenti di prezzo delle nuove tecnologie mediche.
I debiti
Non solo, ma il SSN è anche più indebitato che in passato. È ancora la Corte dei Conti a sottolineare come la voce “debiti verso fornitori” sia cresciuta nel corso degli anni passando dagli oltre 15,26 miliardi del 2019 ai 17,47 miliardi del 2021, con un aumento percentuale pari al 24,04%. «I debiti sorti prima del 2018 che non risultano ancora pagati a fine 2021, ammontano a circa 2,4 miliardi, di cui in contenzioso giudiziale o stragiudiziale ammonta a 726 milioni».
Sempre meno fondi
Le carte nel frattempo indicano riduzioni negli anni a venire. E in particolare, secondo le analisi di GIMBE, nel triennio 2024-2026 «la spesa sanitaria si ridurrà complessivamente dello 0,2% in termini di percentuale di PIL, pur aumentando di 2.449 milioni (in media 816 milioni/anno) in termini assoluti». E ancora, il rapporto spesa sanitaria/PIL del 6,7% del 2022 «scende al 6,6% nel 2023 e continuerà a calare negli anni successivi, fino a raggiungere il 6,1% nel 2026, un valore inferiore a quello pre-pandemico del 2019 (6,4%)». Nel triennio 2024-2026 la NADEF stima una crescita media annua del PIL nominale del 3,5%, a fronte dell’1,1% di quella della spesa sanitaria, ovvero un investimento che impegna meno di 1/3 della crescita attesa del PIL.
Cosa dicono le carte
«A parole, la Nadef 2023 afferma l’intenzione di stanziare risorse per il rilancio del personale sanitario nel prossimo triennio» ha detto sempre Cartabellotta. «Ma i numeri non lasciano intravedere affatto i fondi necessari». Viceversa «documentano segnali di definanziamento della sanità pubblica ancor più evidenti di quelli del Def 2023, le cui stime previsionali sulla spesa sanitaria sono state riviste al ribasso». Una grave crisi di sostenibilità del SSN, che fa traballare l’equità di accesso alle prestazioni sanitarie.
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Articolo tratto dal numero del 1° novembre 2024 de il Bollettino. Abbonati!