Indagini in corso e 1 milione e 300mila account oscurati. Nel mirino c’è chi distribuisce e chi guarda contenuti pirata. Spendere poco o nulla per godere dei servizi delle pay TV può costare molto più di quanto si risparmi. Non solo per eventuali spese legali o cyber rapine che svuotano i conti correnti. La pirateria audiovisiva fa perdere circa 2 miliardi di euro di fatturato solo in Italia. Mette a rischio 11.200 posti di lavoro, mandando in fumo 821 milioni di euro di PIL e 377 milioni di introiti fiscali.
La lotta alla pirateria audiovisiva
«Le investigazioni eseguite dalla Guardia di Finanza a contrasto delle multiformi tipologie di pirateria si inquadrano nel più ampio dispositivo che il Corpo pone quotidianamente a presidio della legalità economico-finanziaria del Paese. La violazione dei diritti di proprietà intellettuale costituisce, infatti, un’attività illecita estremamente lucrativa per le organizzazioni criminali, generando al contempo notevoli danni all’economia legale, per la sua distorsione della concorrenza e per la cospicua evasione fiscale, generati da questo diffuso traffico illecito» dicono il Luogotenente della Guardia di Finanza di Milano Davide D’Agostino, Coordinatore della Squadra Reati Informatici della Procura della Repubblica di Milano e il Maggiore Francesco Melaragni del Nucleo Polizia Economico-Finanziaria.
Un team di Polizia Giudiziaria interforze impegnato nella lotta alla pirateria audiovisiva le cui investigazioni a ridosso degli Europei di calcio hanno individuato 13 presunti amministratori di IPTV (Internet Protocol Television) non autorizzate e bloccato 1 milione e 300mila utenti. Sono accusati di accesso abusivo a sistemi informatici e detenzione di codici di accesso, nonché di frode informatica per aver decriptato e diffuso illegalmente i contenuti dei più importanti player televisivi mondiali.
La pirateria audiovisiva in Italia
In Italia nel 2023 sono documentati 319 milioni di atti di pirateria: film (36%), serie (29%), programmi (24%) e sport live (11%). Quasi 4 adulti su 10, il 39%, hanno fruito illecitamente di contenuti audiovisivi, un dato in riduzione rispetto al 2022, quando erano il 42% degli spettatori. In almeno 1 episodio su 4, i contenuti piratati sono irradiati su IPTV illegali usate da una quota di potenziali fruitori pari a quasi 12 milioni di abitanti. I mancati abbonamenti legali hanno fatto perdere incassi per oltre 1 miliardo di euro, di cui 285 milioni solo per la trasmissione illecita di manifestazioni sportive (fonte: Fapav/Ipsos). Un’enorme fetta di Mercato, considerato che in totale gli italiani spendono in intrattenimento video circa 1,6 miliardi di euro l’anno.
La Legge Antipezzotto per contrastare la pirateria audiovisiva
Per riequilibrare la situazione il Decreto Omnibus, convertito nella legge n. 143 del 7 ottobre 2024, inasprisce le pene per i trasgressori alla normativa sulla pirateria, a tutela della proprietà intellettuale digitale e del diritto d’autore online. Già ritenuta tra le più avanzate a livello internazionale, la legge dà una stretta agli abusi degli spettatori, ma anche dei provider, per i quali è introdotto l’obbligo di segnalare condotte penalmente rilevanti. L’omessa comunicazione prevede pene fino a 1 anno di reclusione, come previsto dallo stesso Decreto Omnibus.
Definita Legge Antipezzotto, dal nome dato a decoder e app che offrono – gratis o a prezzi irrisori – l’accesso illegale alle pay TV, contiene disposizioni che si sommano alle misure repressive del sistema Piracy Shield. Si tratta di una piattaforma che attraverso “ingiunzioni dinamiche” in 30 minuti, su richiesta dell’AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni), può contribuire a bloccare un account e/o disabilitare un sito sospettato di diffondere contenuti in maniera illecita. Con appositi accertamenti, in quanto ogni attività online lascia traccia, il protocollo consente di risalire anche all’indirizzo IP di chi fruisce dello streaming pirata di eventi sportivi. In tal caso, sarà colpito con sanzioni che vanno da 150 a 5.000 euro.
Gli abbonamenti alle IPTV illegali
Una volta di più, il problema non è la tecnologia, ma l’uso che se ne fa. In Italia 3,6 milioni di persone dichiarano esplicitamente di avere un abbonamento alle IPTV illegali. Usufruiscono dei servizi messi a disposizione da Sky, DAZN e da altri senza pagare la sottoscrizione alle piattaforme. Il calcolo dei mancati introiti è facilmente intuibile. Se costasse solo 10 euro al mese (e i prezzi reali sono spesso più alti) drenerebbero ogni mese dalle casse di queste aziende 36 milioni di euro. Un importo elevatissimo alla luce delle spese sostenute dalle società per offrire i servizi, a partire dall’acquisto dei diritti di trasmissione delle partite.
È una perdita netta secca che droga il Mercato e fa perdere migliaia di posti di lavoro. Sky ha denunciato la presenza di nuove piattaforme pirata. L’attività di indagine è stata resa ancor più complessa dall’utilizzo di VPN (Virtual Private Network) che anonimizza il traffico dati online. Nonostante ciò, gli investigatori sono riusciti a identificare i presunti hacker e raggiungere i luoghi fisici nei quali operavano. Il danno della pirateria non è legato solo ai mancati incassi di Sky o DAZN, ma ha anche un impatto fiscale notevole. Il perché è semplice: generando meno redditi, si versano meno tasse. Insomma, ci perdono tutti: le società, lo Stato, i lavoratori del settore e i singoli cittadini.
Cosa è emerso finora dalle indagini del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Milano sulle IPTV pirata?
«Con la nostra attività siamo riusciti a chiudere più o meno 3.000 IPTV, impedendo l’accesso a queste piattaforme a 1 milione e 300 mila persone. Gli indagati sono 13, tutti residenti in Italia (2 con origini straniere) e hanno un’età compresa tra 20 e 65 anni. Vivono in regioni diverse (Lombardia, Puglia, Campania, Abruzzo, Umbria, Lazio, ecc.) e possiamo tranquillamente affermare che non si conoscevano. È normale che non avessero rapporti, perché generalmente non è detto che un admin sia in contatto o svolga congiuntamente il servizio con altri. Anzi. Spesso operano separati, in maniera individuale e gestiscono da soli, come in questa indagine, più piattaforme. I soggetti coinvolti nell’operazione e per ora denunciati a piede libero hanno una vita normalissima: sono studenti, lavoratori, c’è anche un pensionato. Per quanto riguarda gli spettatori che hanno fruito dei contenuti pirata, l’identificazione è ancora in corso».
Come operano le IPTV pirata?
«Le nostre indagini documentano l’evoluzione materiale della nuova pirateria. Dei 13 soggetti indagati, solo 2 usavano il vecchio metodo con le classiche centrali fisiche, dotate di ampi spazi per ospitare le costose attrezzature hardware necessarie per catturare, decodificare e chiaramente redistribuire i segnali televisivi. Gli altri 11 hanno sfruttato software avanzati, con decriptazione online attraverso il linguaggio Python, un sistema che può essere attivato con un telefono cellulare da 300 euro connesso a internet e poggia su server virtuali noleggiati da aziende estere.
Per ottenere i contenuti audiovisivi protetti dai sistemi di cifratura, si effettua un accesso abusivo ai sistemi informatici, cercando le password utilizzate dai broadcaster e rendendo i palinsesti di Sky, in questo caso, fruibili attraverso la rete illegale. Di fatto, vengono sfruttate le vulnerabilità dei sistemi cosiddetti DRM (Digital Rights Management) posti a tutela del diritto d’autore digitale, che codificano le trasmissioni. Sono fondamentalmente di due grossi operatori: Microsoft e Google. Arginare il problema alla base sarebbe possibile solo con un aggiornamento del sistema, che però andrebbe a impattare sulle decine di milioni di utenti che usano le app di Google Play ed Apple Store. La nostra abilità sta invece nel seguire le evoluzioni e scardinare le nuove forme di pirateria audiovisiva».
Cosa rischia chi guarda e chi gestisce IPTV pirata?
«Le conseguenze non sono poche. Ci sono delle sanzioni amministrative per i soggetti che usufruiscono delle IPTV e vengono identificati. Nei casi di recidiva, quando una persona è stata più volte identificata e denunciata, si arriva a dover pagare fino a 5.000 euro, come previsto dall’articolo 174 bis della Legge sulla protezione del diritto d’autore. Inoltre, rischiano di essere vittime di cyber crimini di ogni genere, in quanto forniscono a degli hacker i propri dati anagrafici e le coordinate dei conti correnti personali, che potrebbero essere oggetto di furto, con conseguenze più gravi di quanto l’ignaro utente possa immaginare. Per gli admin, subentrano altre fattispecie di reato in ambito penale, con l’articolo 615 ter, 615 quater e 640 ter che puniscono “chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico telematico protetto da misure di sicurezza” con pene fino a 3 anni di reclusione».
Quanto guadagnano gli admin/hacker?
«Parecchi soldi. Quelli a capo del network incassano diverse centinaia di migliaia di euro. I gestori, i reseller, quelli che fanno i siti di vetrina, arrivano a cifre da decine di migliaia di euro al mese. Esiste una sorta di gerarchia. Una struttura piramidale dove all’apice c’è il soggetto che ha creato il sistema, in basso i rivenditori che mettono a disposizione le piattaforme agli utenti finali. Con le nuove metodologie, l’IPTV pirata può farla chiunque senza grandi difficoltà, ci sono tutorial e chiunque può accedere. Basta avere un minimo di preparazione informatica per poter creare ed essere un admin. Non è più un’attività dispendiosa come in passato, quando solo il costo dei processori rendeva la TV pirata abbastanza proibitiva. Allo stesso tempo, le nostre tecniche investigative sono evolute, rendendo possibile individuare chi viola la legge con maggiore facilità». ©
📸 Credits: Canva
Articolo tratto dal numero del 1° dicembre 2024 de il Bollettino. Abbonati!