Ora che si trova a navigare in un Mondo scosso da ondate di tensioni geopolitiche, trasformazioni tecnologiche, guerre commerciali e militari, il settore marittimo guarda a nuovi orizzonti. I numeri che sposta sono molto importanti: si parla di oltre 14mila miliardi di dollari in totale, e proprio per questo è chiamato a cambiare, innovare e reinventarsi. I porti e gli operatori italiani non vogliono restare tagliati fuori da un Mercato in evoluzione su scala globale.
Il settore è il principale veicolo di sviluppo del commercio internazionale: circa il 90% delle merci, infatti, viaggia via mare. I trasporti marittimi e la loro logistica valgono il 12% del PIL mondiale, quasi il 10% di quello italiano e il 12% di quello europeo.
I soli porti italiani movimentano circa mezzo miliardo di tonnellate di merci all’anno, oltre 70 milioni di passeggeri e 338 miliardi di euro di import export. Insomma, non si tratta di un comparto economico come gli altri. È un motore in grado di spostare gli equilibri economici e geopolitici internazionali.
Le dinamiche dell’economia mondiale lo spingono al rialzo e i volumi sono stimati ancora in crescita: il Review of Maritime Transport dell’UNCTAD, l’agenzia ONU per il commercio globale, prevede un incremento medio annuo del 2,4% tra 2025 e 2029, con il segmento container in progressione del 2,7%.
L’anello centrale nella catena logistica mondiale

«La domanda di trasporto via mare, quindi, è forte e resterà l’anello centrale nella catena logistica mondiale. Sono previsti maggiori volumi, ma da spostare in un contesto internazionale in profondo dinamismo, con tensioni geopolitiche sempre più diffuse e in continua evoluzione, che impattano sulla navigazione», rileva un’analisi di Conftrasporto: «ogni volta che si verifica una crisi nell’area del Mar Rosso e del canale di Suez, ad esempio, torna in primo piano la mancanza di alternative per il nostro Paese, che rischia di essere tagliato fuori dalle principali rotte commerciali».
Per garantire competitività al nostro Mercato interno, è necessario «partire dalla considerazione che se il Mediterraneo perde volumi, li perdono i nostri porti. È necessario quindi un quadro normativo che garantisca ai nostri scali competitività».
Chi è deputato ad apportare queste novità? La regolamentazione del settore marittimo, internazionale per sua stessa natura, essendo assegnata all’IMO (International Maritime Organization), l’agenzia ONU per le attività sul mare. Al contrario, l’Europa sta intervenendo «con normative di carattere regionale, che impattano negativamente sugli operatori, avviando un doppio binario normativo che rischia di penalizzare porti e imprese».
Se non si passa da Suez
Ecco le dinamiche e tendenze in atto, cui gli operatori specializzati riuniti in Conftrasporto rivolgono la massima attenzione: fino allo scorso anno, il canale di Suez rappresentava il 12% del traffico mondiale e l’8% di quello petrolifero. Da gennaio a maggio di quest’anno, quindi in un arco temporale di 5 mesi, sono transitate per il canale di Suez circa 650 navi in totale, mentre soltanto 2 anni fa, nel 2023, erano 550 navi al mese. Un crollo notevole, con trasporti e affari che vanno a picco.
D’altronde, le minacce dei ribelli yemeniti Houthi e la situazione di crisi nell’area del Mar Rosso hanno notevolmente modificato le rotte internazionali tra Europa e Asia, con il rischio di portare alla marginalizzazione del Mediterraneo. I porti nordafricani guadagnano traffici, così come gli scali a ridosso dello stretto di Gibilterra, quelli di Spagna e Marocco. La logistica ha assorbito la circumnavigazione dell’Africa (il re-routing, in gergo tecnico) e gli armatori, anche prima dello scoppio della guerra in Iran, non avevano spostato le navi nuovamente lungo il canale di Suez. Che quindi perde quote di traffico e di rotte, quelle da e per l’ex Mare Nostrum.
Hormuz, una spada di Damocle
Nella mappa dei traffici marittimi che cambia per effetto di dazi e conflitti internazionali, c’è sempre da considerare la spada di Damocle rappresentata dallo Stretto di Hormuz, che collega il Golfo Persico al Golfo dell’Oman e all’Oceano Indiano. Ogni mese vi transitano attorno alle 3mila navi, di cui 2 su 3 sono petroliere. Circa il 30% del petrolio mondiale passa da questo angusto canale naturale controllato di fatto dall’Iran, che vi si affaccia.

Negli ultimi decenni, Teheran ne ha minacciato la chiusura oltre una ventina di volte, come arma di pressione e ricatto geopolitico – e lo spettro si è ripresentato anche in occasione del recente conflitto con Israele – ma finora non l’ha mai attuata. Anche perché, secondo diversi esperti, un blocco totale sarebbe un suicidio economico anche per l’Iran, che esporta la quasi totalità del suo “oro nero” verso la Cina. Le alternative sono limitate: esistono rotte secondarie, per esempio gli oleodotti sauditi, ma non possono compensare il traffico di Hormuz. Quindi resta l’incognita e la minaccia sullo scacchiere globale.
Se le rotte commerciali cambiano
Secondo alcune stime (per esempio, quelle di Conftrasporto), una sua eventuale chiusura farebbe aumentare il prezzo del petrolio fino a 150-200 dollari al barile. Altre previsioni indicano picchi ancora più alti in caso di crisi nell’area, in ogni caso il blocco di Hormuz da parte iraniana avrebbe immediate e pesanti ripercussioni sul costo del greggio. E non solo.
L’effetto sarebbe dirompente, con una mancanza di reperibilità dei prodotti a livello mondiale. Porterebbe contraccolpi a catena e a rimodulare completamente le dinamiche internazionali che coinvolgono Paesi come Russia, USA e i Paesi arabi del Golfo.
Se le rotte marittime cambiassero e si allungassero, sarebbe automatico ipotizzare un aumento non solo del petrolio, ma anche della benzina, dei combustibili in generale e di tutti i loro composti chimici. Un incremento dei prezzi in grado di riversarsi a cascata su tutta la filiera produttiva, nonché sui consumatori italiani e di mezzo Mondo.
I porti ai margini
«I porti della sponda Nord del Mediterraneo, compresi quindi quelli italiani», sottolinea ancora Conftrasporto, «rischiano un’ulteriore marginalizzazione a seguito delle normative europee sull’ambiente, in primis le cosiddette ETS (Emissions Trading System, Sistema di scambio delle quote di emissioni, ndr), a cui i Paesi della sponda Sud del bacino non devono sottostare, annullando o riducendo gli extra-costi per i servizi di trasporto».
Anche sul fronte delle rotte interne, l’intermodalità strada-mare è fondamentale per lo sviluppo della catena logistica, ma deve essere supportata da un quadro normativo che non la renda sconveniente: «anche in questa tipologia di servizio, la normativa ETS rischia di far crescere i costi dei noli marittimi, facendo tornare i camion a un trasporto realizzato tutto in strada».
L’Italia può e deve anche fare leva sulla sua forza nello short sea shipping, il trasporto marittimo di merci e passeggeri su brevi distanze, ad esempio all’interno dello stesso continente o tra Paesi vicini, senza attraversare gli oceani.
Siamo il primo Paese in Europa per volume di merci movimentate, pari a 305 milioni di tonnellate, con una quota di Mercato superiore al 17% del totale, davanti a Paesi Bassi (16%), Spagna (13%) e Germania (9%). Del resto, il valore della Blue Economy in Italia è pari a circa 60 miliardi di euro l’anno, e le 228mila imprese del settore marittimo, pari al 4% del tessuto imprenditoriale italiano, danno lavoro a 914mila occupati, il 3,6% del totale nel Paese.
Colossi e risultati record
Intanto, allargando lo sguardo a livello internazionale, tra crisi e incertezze geopolitiche e commerciali, c’è chi, come il gruppo armatoriale e logistico danese Maersk, uno dei colossi mondiali del settore, incassa cifre e risultati da record.
Il fatturato è cresciuto dell’8% a 13 miliardi di dollari nel primo trimestre dell’anno, con un utile a 1,2 miliardi, aumentato di sei volte rispetto al trimestre precedente. E vengono confermate le stime di ulteriore crescita complessiva nel 2025, nonostante i preannunciati dazi americani. Nell’ultima parte dell’anno, da un lato cresce il rischio che la domanda possa contrarsi, ma dall’altro non si esclude la possibilità che gli scambi commerciali riprendano anche con maggiore slancio se le tariffe verranno revocate o neutralizzate. In sostanza, si naviga in un mare di incertezza, ma intanto i colossi del mare riempiono la stiva di incassi e fatturati.
Sempre nel primo trimestre dell’anno si è quotato in Borsa (al Muscat Stock Exchange) un altro colosso mondiale del settore, la Asyad Shipping del Sultanato dell’Oman.
La società ha un valore di circa 1,68 miliardi di dollari e offre diversi servizi, tra cui il trasporto marittimo di petrolio greggio, gas naturale liquefatto (LNG), prodotti chimici, carichi secchi e container. Il gruppo Asyad è il principale fornitore di logistica integrata del Paese. La compagnia gestisce una flotta diversificata di oltre 90 navi, servendo più di 60 Paesi e oltre 900 porti in tutto il mondo.
Trasporto container
Il World Container Index di Drewry, che analizza i noli di trasporto container sulle otto principali rotte da e per Stati Uniti, Europa e Asia, indica che a giugno i volumi del trasporto container globale hanno invertito la tendenza al ribasso iniziata a gennaio.
L’indice – sempre secondo i dati di metà giugno – è inferiore del 26% rispetto al livello del 2024, ma è aumentato del 60% su maggio scorso, da quando la sospensione dei dazi USA da parte di Donald Trump ha portato a una ripresa degli scambi commerciali legati agli Stati Uniti, dopo il crollo iniziale del commercio transpacifico.
I costi del nolo container nell’ultimo anno (media globale in dollari)

Solo nella prima settimana di giugno, il costo medio per l’invio di un box da 40 piedi è aumentato del 41% a 3.527 dollari, trainato dagli aumenti riscontrati sulle rotte transpacifiche ma non solo. Ci sono forti rincari da Shanghai verso i porti di Los Angeles (+57%, 5.876 dollari) e New York (+39%, 7.164 dollari). E aumenti simili sono stati registrati anche sulle tratte dallo scalo cinese verso Rotterdam (+32%, 2.845 dollari) e Genova (+38%, 4.068 dollari), mentre ci sono state variazioni minime sulle rotte transatlantiche (+2% per la rotta tra Rotterdam e New York, 1.977 dollari).
Drewry prevede che l’equilibrio tra domanda e offerta si indebolirà nuovamente nella seconda metà dell’anno, con un conseguente calo delle tariffe. Il livello di volatilità dei prezzi e la tempistica del cambiamento dipenderanno dall’esito delle azioni contro i dazi di Trump, e dalle modifiche nella capacità di trasporto collegate all’introduzione di sanzioni statunitensi sulle navi cinesi.
Tariffe nolo container sulle principali rotte marittime

Del resto, con la presenza di 14 porti asiatici nella Top 20 mondiale, spicca ancora una volta il peso dell’Asia nel Mercato del trasporto containerizzato, con una quota che oscilla attorno al 55% del totale mondiale.
L’origine di tutto
Oggi viaggiano a milioni e milioni sulle rotte di tutto il mondo, arrivano nei porti, vengono scaricati da enormi gru – spesso ormai pilotate da remoto –, poi messi sui camion per il cosiddetto trasporto intermodale. Ma come sono nati i container? Hanno un’origine e un “padre” ben precisi. E poco conosciuti.

Tutto inizia con l’intuizione di un ex camionista diventato imprenditore, l’americano Malcom McLean. Proprietario di una flotta di camion, per evitare gli ingorghi che paralizzavano la costa orientale degli Stati Uniti decise di sperimentare una forma innovativa di trasporto via mare.
Il 26 aprile del 1956 caricò su una vecchia petroliera riadattata 58 scatole di alluminio grandi come il rimorchio di un TIR, facendole salpare da Newark alla volta di Houston. Là le attendevano 58 camion per portarle alle destinazioni finali. Nell’indifferenza più generale, era stato gettato il seme della moderna logistica intermodale. In un certo senso, McLean può quindi essere considerato il padre misconosciuto della globalizzazione.
Le crociere
Ma non esiste solo il trasporto di merci e prodotti. Anche quello di persone a scopo turistico è un’importante fonte di affari e ricchezza per il Bel Paese. Clia (Cruise lines international association), l’associazione internazionale delle compagnie di crociere, indica che nel 2024 il numero dei passeggeri unici nel mondo ha raggiunto quota 34,6 milioni, con la prospettiva di arrivare a 37,7 milioni entro quest’anno. «Un record ottenuto grazie a un’offerta sempre più variegata, a navi più moderne, a itinerari alternativi e trend innovativi», hanno detto i rappresentanti della compagnia.

Secondo il report State of the Cruise Industry, aumentano gli italiani in crociera, che passano dai 900mila del 2019 a un milione e 150mila nel 2024 (+28%). L’età media è di 42 anni (in calo dai 43,2 del 2019) e la destinazione preferita è il Mediterraneo (nell’84% dei casi), seguita da Caraibi (5,4%) e Nord Europa (5,1%).
Il turismo crocieristico rappresenta meno del 2% dei flussi turistici globali, ma nel 2023 ha generato 168 miliardi di dollari nel mondo, di cui 55 in Europa e 16 in Italia.
La decarbonizzazione
Navigazione, logistica e attività portuali devono anche affrontare altre sfide strategiche e su scala mondiale, come quella della transizione energetica. Si tratta di trovare strade innovative per decarbonizzare tutta la filiera del mare. Sono necessari forti investimenti per ammodernare le infrastrutture e per supportare la decarbonizzazione delle navi, rendendo i porti dei centri e motori della transizione energetica.
Prosegue così lo sviluppo dei carburanti alternativi anche nello shipping. Nell’ultimo decennio, l’attenzione alla sostenibilità è aumentata notevolmente, con questioni ambientali, sociali e di governance (ESG) che influenzano finanziamenti, rinnovamento delle flotte, infrastrutture portuali e normativa in tutto il settore. Il trasporto marittimo nel 2024 ha prodotto 833 milioni di tonnellate e il 2,2% della CO2 globale, con emissioni in lieve calo dal 2022, e si conferma la modalità di trasporto più efficiente in termini di emissioni di carbonio.
Anche gli investimenti sostenibili nello shipping stanno mantenendo un buon ritmo: l’adozione di carburanti alternativi e meno inquinanti ha continuato a crescere, con il 6,5% della flotta in attività già in grado di utilizzare carburanti o propulsioni alternative. Una percentuale che raggiungerà il 25% al 2030.
Porti più verdi
La lotta all’inquinamento e per un’economia del mare più verde non riguarda solo le navi e i trasporti, ma anche porti, logistica e infrastrutture a terra. Nell’ambito del PNRR è stato quindi avviato il progetto denominato Infrastrutture per una mobilità sostenibile (il cosiddetto Green ports), che ha l’obiettivo di finanziare interventi per l’efficientamento energetico, la riduzione delle emissioni di CO2 e di altre emissioni inquinanti nei porti, per promuovere la sostenibilità ambientale delle attività portuali, anche a beneficio delle aree urbane circostanti.
È stato quindi previsto l’investimento di 270 milioni di euro per interventi di sostenibilità ambientale dei porti, di cui 225 milioni a favore di nove Autorità di sistema portuale del Centro-Nord e 45 milioni a favore dei privati concessionari o terminalisti per l’acquisto di mezzi di trasporto elettrici. ©️
Articolo tratto dal numero del 15 luglio 2025 de Il Bollettino. Abbonati!
