giovedì, 13 Novembre 2025

Buongiorno, MIT: «Il nucleare può essere la svolta energetica per AI e Data Center»

Sommario

L’AI vive di energia. Ogni modello, ogni server, ogni centro di calcolo richiede elettricità continua, stabile e pulita. «È la materia prima invisibile dell’innovazione. E il suo consumo cresce a una velocità che nessun sistema energetico aveva mai previsto», dice a il Bollettino Jacopo Buongiorno, Direttore del Center for Advanced Nuclear Energy Systems al MIT. Negli Stati Uniti, i data center pesano già per il 4,4% della domanda nazionale di elettricità, e le proiezioni parlano di una quota tra il 6,7% e il 12% entro il 2028 (Berkeley Lab, 2025). È il segnale di una trasformazione silenziosa: il Mercato dell’AI non si misura più solo in capitalizzazione o investimenti, ma anche in gigawatt.

Dentro questa transizione energetica, il nucleare torna a essere un’opzione concreta. Non per nostalgia, ma per necessità. I reattori garantiscono una continuità operativa superiore al 92% del tempo (fonte: IO Fund, 2025), senza emissioni dirette e con un’impronta di suolo minima. Negli Stati Uniti, pur rappresentando meno dell’8% della capacità installata, producono circa il 19% dell’elettricità totale (fonte: Deloitte, 2025).

«Il nucleare è una fonte energetica costante, che non risente delle variazioni climatiche come accade per il vento o il Sole. La continuità dell’erogazione è fondamentale per i data center».

Le grandi piattaforme digitali lo sanno: Microsoft, Amazon e Google hanno avviato partnership con operatori nucleari e stanno valutando reattori modulari per i nuovi poli di calcolo. È un cambio di paradigma che intreccia due infrastrutture del XXI Secolo: energia e intelligenza. La questione, oggi, non è se il nucleare possa alimentare l’Intelligenza artificiale, ma quanto velocemente il sistema industriale, politico e finanziario saprà adattarsi. Perché il futuro dei modelli più potenti potrebbe dipendere non da un algoritmo, ma da una centrale in grado di restare accesa senza interruzioni.

Ci dice tre motivi principali che rendono questa tecnologia più adatta rispetto ad altre fonti?

«Innanzitutto, è una fonte pulita che non emette anidride carbonica o altri agenti inquinanti nell’atmosfera. Secondo: è una fonte di energia ad alta affidabilità, non soggetta a intermittenza come l’eolico o il solare. Questo è un requisito essenziale per i data center. Terzo: gli impianti nucleari sono molto compatti e possono quindi essere co-locati o addirittura integrati con i data center, al contrario delle rinnovabili che richiedono un elevato consumo di territorio».

L’AI generativa ha moltiplicato la domanda di calcolo nei data center. Quanta energia servirà realmente nei prossimi dieci anni e che quota potrebbe coprire il nucleare?

«Le stime, non mie ma dell’Energy Information Agency (EIA) americana, sono che negli Stati Uniti da qui al 2030 ci sarà una crescita del fabbisogno elettrico di circa 50 gigawatt solo per supportare i data center e l’AI. Per dare un’idea dell’enormità di questa cifra, l’attuale consumo medio di eletricità per l’Italia intera è di circa 36 gigawatt. Realisticamente, negli USA questo fabbisogno sarà coperto, nel breve termine, da nuovi impianti a gas e quindi inquinanti. I tempi di costruzione degli impianti nucleari (5-10 anni) suggeriscono un possibile ruolo per il nucleare nel Mercato dell’AI prevalentemente nel possimo decennio, a patto che la crescita del fabbisogno perduri».

In quali Paesi vede le condizioni migliori per diventare leader in questo connubio tra nucleare e AI?

«I soliti noti: Cina e Stati Uniti senza dubbio, forse la Francia».

Tra le diverse soluzioni (reattori grandi, SMR, microreattori), quale è più realistica nel breve periodo per alimentare i data center?

«Da qui al 2030 ci saranno al massimo 2-3 nuovi impianti nucleari negli USA, tutti di mezza taglia, 100-400 megawatt, e probabilmente molti ‘power uprates’ degli impianti esistenti, che sono tutti di grande taglia, da un gigawatt ciascuno. La mia stima è che negli USA avremo una crescita dell’ouput nucleare al massimo di 5-6 gigawatt nei prossimi 5 anni. I microreattori, da 5-15 megawatt, avranno un ruolo soprattutto per utenti “lontani” dalla rete elettrica nazionale».

Gli SMR vengono presentati come una rivoluzione anche per la rapidità di costruzione: quali sono i principali ostacoli che ancora ne rallentano la diffusione?

«La “M” in SMR sta per “Modulare”. L’idea è di prefabbricare sistemi e componenti in fabbrica e fare assemblaggio e connessioni più semplici in cantiere, diminuendo il tempo e i costi di costruzione, compensando così per la peggiore economia di scala dovuta al minore output energetico degli SMR rispetto ai reattori di grande taglia. La costruzione modulare è un’ottima idea, provata in altre industrie, per esempio, nella costruzione di impianti chimici e navi, ma non ancora completamente adottata e testata dall’industria nucleare. Faccio notare che anche reattori di grossa taglia possono essere modularizzati e quindi beneficiare di tali efficienze. La diffusione degli SMR al momento   è rallentata dalla mancanza di finanziamenti e dalla mancanza di una catena di fornitura matura».

Il nucleare è spesso criticato per i costi iniziali elevati: come possono i data center, attraverso partnership e PPA, rendere sostenibile l’economia di nuovi impianti?

«Gli sviluppatori di data center sono disposti a pagare un prezzo più elevato del prezzo di Mercato per elettricità che sia a zero emissioni e affidabile. Questo aiuta grandemente a giustificare l’investimento iniziale nella costruzione di nuovi impianti nucleari».

L’integrazione tra sicurezza nucleare e Cybersecurity dei data center è un tema emergente. Quali sono i rischi più critici e come si possono mitigare?

«L’integrazione di un impianto nucleare e un data center è un approccio che definirei attraente, perché entrambe le Facilities necessitano di misure di sicurezza, compresa la Cybersecurity, che possono essere condivise. Non vedo grandi difficoltà tecniche a implementare tale approccio se un progetto nasce con l’idea di co-locare l’impianto di potenza con il data center».

Molti Paesi emergenti investono sia in AI che in nucleare: crede che vedremo un nuovo ‘Divide’ tra chi dispone di entrambe le tecnologie e chi ne resta escluso?

«Il vero chiasmo è da sempre e continuerà a essere tra chi ha accesso a fonti di energia abbondante e affidabile e chi non lo ha. In questo senso, non ci possiamo permettere di scartare fonti energetiche come il nucleare e, a mio parere, anche il gas naturale».

Spesso, l’immaginario collettivo associa il nucleare al passato o al rischio: come possiamo ribaltare questa percezione e presentarlo invece come un pilastro del futuro digitale e sostenibile?

 «Possiamo e dobbiamo farlo! Ma questa visione negativa del nucleare non è universale e al momento minoritaria in tantissimi Paesi. Sull’Italia non saprei dire, perché manco da 30 anni».

Può nascere un nuovo Mercato “energia per AI”, distinto da quello tradizionale, con contratti dedicati solo ai data center?

«Si’, da un punto di vista contrattuale, un Mercato distinto dalla generica rete elettrica nazionale e’ possibile, e questo sarebbe facilitato dalla co-locazione di impianti di potenza, per esempio nucleari, con i data center stessi.  Ma la separazione completa dei due Mercati non e’ facile, per via di certe limitazioni di carattere tecnico. I data center hanno bisogno di un livello di affidabilita’ straordinaria, che nemmeno un reattore nucleare puo’ garantire.  Quindi e’ necessario mantenere l’allacciamento con la rete elettrica, che in questo caso funziona da back-up dell’impianto nucleare co-locato. L’uso saltuario della rete elettrica come back-up implica il pagamento di un’imposta di servizio che ri-collega inevitabilmente i due Mercati».

 L’approvvigionamento di uranio e i cicli di combustibile possono diventare un collo di bottiglia per alimentare l’AI?

«No, l’uranio è una risorsa naturale sottoutilizzata. Ci sono Paesi, come gli Stati Uniti e l’Australia, con grandi riserve di uranio che non vengono sviluppate perché i prezzi del minerale sono relativamente bassi. Un’espansione del nucleare legata all’AI giustificherebbe gli investimenti necessari per lo sviluppo dei giacimenti di uranio in quei Paesi».

I tempi di costruzione rimangono un punto critico: come si concilia la rapidità della domanda AI con la lentezza storica del nucleare?

«Non si concilia purtroppo.  Nel breve periodo il fabbisogno elettrico per i data center sarà coperto soprattutto dal gas naturale, quindi con conseguenze negative per i cambiamenti climatici.  Come dicevo prima, la costruzione di un impianto nucleare richiede dai 5 ai 10 anni.  Forse vedremo impianti costruiti in 3 o 4 anni dopo che i design saranno standardizzati e con una catena di fornitura matura ed efficiente.  Storicamente il nucleare è stato sviluppato rapidamente quando è diventato un programma nazionale serio: vedi la Francia negli Anni ‘80 e ‘90, o la Cina attualmente. In un contesto economico-finanziario “laissez faire” la vedo male».   ©

Articolo tratto dal numero del 1 novembre 2025 de Il BollettinoAbbonati!

📸 Credits: Canva    

Imparare cose nuove e poi diffondere: è questo il mio obiettivo. Proprio questo mi ha portato ad approfondire il mondo del web3, della finanza digitalizzata e delle crypto. Per il Bollettino mi occupo di raccontare una realtà ancora poco conosciuta in Italia, ma con un grande potenziale.