venerdì, 19 Aprile 2024

Alessandro Frigerio, dg di Lir, gruppo di Moretti Polegato – Geox e Diadora: «Dopo calzature e Fintech, adesso investiamo sulle energie rinnovabili»

DiSimona Sirianni

1 Novembre 2020
Sommario

Non solo l’asset moda, ma anche Fintech ed energie rinnovabili (fotovoltaico ed eolico). Sono questi gli investimenti al centro della strategia di Lir, la holding di Mario ed Enrico Moretti Polegato che controlla al 71% Geox (il restante 29% è quotato alla Borsa Italiana) e che detiene l’intero capitale di Diadora e del gruppo immobiliare Domicapital. «Sono questi i settori su cui stiamo ampliando la nostra attenzione», dice Alessandro Frigerio, direttore generale della holding cui fa capo il famoso marchio di calzature. «Andiamo verso il digitaltainment, quindi tutto quello che è legato al nuovo modo di fare banca, compresi i pagamenti digitali, tenendo d’occhio l’universo green, in particolare società che si occupano di energia pulita ed efficientamento, temi che già storicamente permeano e orientano alcune scelte tanto di Geox che di Diadora».


Approvato da poco il bilancio 2019, con una cassa di 411,2 milioni di euro in crescita del 2% rispetto al 2018, Lir ha da poco chiuso il bilancio 2019 con un utile di 6,5 milioni di euro e una forte patrimonializzazione pari a 632 milioni di euro. Il fatturato complessivo del Gruppo si è attestato a 976 milioni di euro e il patrimonio netto a fine 2019 è stato pari a 952,4 milioni di euro.
«La cultura del risparmio che caratterizza la gestione della LIR si basa su metodi di valutazione prudenti, che escludono investimenti speculativi dettati dall’emotività. Il nostro mantra è uno: conservare il patrimonio e l’attivo liquido grazie a un approccio conservativo, senza essere preda di crisi economica e di alta volatilità dei mercati. È per questo che studiamo molto approfonditamente i dossier che arrivano sui nostri tavoli dalle banche d’affari».

In questo momento le aziende che avete sotto la lente di ingrandimento , per esempio sul fronte Fintech, sono italiane o estere?

«Nel nome del made in Italy, che caratterizza anche il nostro asset moda: restiamo in Italia! Ovviamente con strategie di scelta diverse a seconda che si tratti di Fintech o di green economy. Per quanto riguarda il primo, infatti, la chiave di volta che ci spinge a investire in un’azienda è che funzioni già molto bene in patria ma che sia in grado di trasmettere e di replicare le stesse potenzialità in Europa. Deve avere ambizioni e capacità di più ampio respiro. Le realtà di business limitate al mercato domestico, che non riescono a fare massa critica all’estero, rischiano spesso di tarpare le ali allo sviluppo dell’azienda».

E per quel che riguarda la sostenibilità su che cosa siete proiettati?

«Le variabili sono molte, dall’efficientamento energetico alle fonti rinnovabili, fino alle tecnologie legate all’idrogeno. Entro la fine dell’anno faremo un investimento nelle energie rinnovabili, ormai è quasi concluso ma al momento non vogliamo dire nulla. In questo campo, però, il criterio di scouting e di decisione cambia e si indirizza, invece, verso aziende forti localmente. Perché siamo convinti che in questo ambito un’azienda italiana possa dare molta soddisfazione anche senza espansione».

Quando dite “investimenti” di che cifre parliamo?

«Sotto il milione di euro. Noi non siamo un fondo di Private Equity che raccoglie denaro e che deve obbligatoriamente metterlo al lavoro, non c’è cosa peggiore di essere costretti a fare un investimento. Il nostro obiettivo è molto chiaro: conservare e mantenere il patrimonio utilizzando gli strumenti che ci mette a disposizione il mercato, senza subirlo. E come nel 2019 abbiamo mantenuto un approccio oculato nell’allocazione degli investimenti, anche alla luce delle forti incertezze dettate principalmente alla guerra commerciale Usa-Cina e alla Brexit, così continueremo a fare nel 2020. La visione del mercato l’abbiamo chiara, così come ampi margini di crescita, grazie al patrimonio e alla liquidità e all’assenza di debiti finanziari».