giovedì, 25 Aprile 2024

TOKYO 2020, IL VOLTO ECONOMICO DEL GIAPPONE. VATTANI: «INVESTIMENTI IN ITALIA SU TURISMO, AI, DIFESA E ROBOTICA»

Sommario

Le prospettive economiche del Giappone, dopo una forte ripresa alla fine del 2020, sono state nuovamente bloccate dalla reintroduzione delle misure sanitarie all’inizio del 2021. «Il problema del Covid-19 non è ancora superato. E pur essendo il numero delle vittime di gran lunga inferiore a quello dei Paesi europei, i Giochi Olimpici creano nuovi pericoli di contagio», dice l’Ambasciatore Umberto Vattani, Presidente della Fondazione Italia Giappone. 

Ciononostante, si prevede che il PIL aumenterà del 2,6% nel 2021 e del 2% nel 2022. Sarà sostenuto dalla forte crescita dell’economia globale e della spesa pubblica. E la conferma arriva anche dalla Bank of Japan (BOJ). La quale al termine della sua riunione di politica monetaria, ha dichiarato che l’economia del Paese asiatico è indirizzata verso la risalita.

A dare impulso all’economia nella ripresa post-Covid e a segnare davvero nuove prospettive per lo sviluppo economico della regione, quanto conterà il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), l’accordo economico-commerciale tra i 10 Paesi dell’ASEAN e Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda?

«Il RCEP è un patto promosso dalla Cina al quale il Giappone non poteva non aderire. Ma è un accordo sbilanciato politicamente a favore dei cinesi e soprattutto indirettamente “figlio” di Trump. La sua rapida conclusione si deve alle pesanti sanzioni economiche della Casa Bianca che colpirono la Cina nel 2019 e nel 2020. Il paradosso, però, è che il Giappone trarrà proporzionalmente più vantaggi economici dal RCEP di quanti ne ricaverà la Cina. La quale, non dimentichiamolo, si trova confrontata con un Sud Est asiatico dinamico e sempre più competitivo».

Anche l’Unione Europea e il Giappone hanno annunciato che lavoreranno in maniera più attiva per ripristinare le loro economie nel contesto della crisi causata dalla lotta contro la pandemia. E si sono accordate sulla cooperazione per lo sviluppo del “green”. Che cosa vorrebbero fare?

«È prevedibile che la cooperazione tra Tokyo e i partner occidentali si intensificherà. E lo farà sicuramente anche sui temi della transizione energetica, difesa dell’ambiente e assistenza ai Paesi in via di sviluppo, in aperta concorrenza con la Cina, che ha investito molto in Africa. E il dono di miliardi di dosi di vaccino anti Covid è una delle armi principali di questa operazione. È, ancora difficile, però, immaginare tutti i progetti comuni che saranno lanciati. Ciò che è indubbio è che saranno ampi e consistenti. L’obiettivo è raggiungere “zero emissioni” entro la metà di questo secolo. Per quanto riguarda l’uso dell’idrogeno come combustibile, la Fondazione Italia Giappone ha promosso un convegno a Venezia nel 2019. Qui il Sindaco Luigi Brugnaro si è impegnato a convertire all’idrogeno il sistema di trasporto della laguna, attraverso accordi con le industrie nipponiche. Nei campi della robotica e dell’intelligenza artificiale Tokyo è comunque un protagonista. E un forte investitore negli Stati Uniti e in Europa. La partita è appena cominciata, ma sta già dando i suoi frutti».

Quali sono stati fino ad adesso i rapporti con l’Unione Europea?

«I rapporti con l’Europa sono cominciati oltre 400 anni fa a seguito del viaggio di alcuni aristocratici giapponesi in Italia grazie alla penetrazione dei gesuiti in Giappone. Il loro primo Ambasciatore a Roma, Hasekura Tsunenaga, arrivò nel 1615. Ma veri e propri rapporti istituzionali sono più recenti. E sono stati avviati solo dopo l’apertura del Giappone nel 1868. Una vera e propria cooperazione con i Paesi occidentali è cominciata dopo la seconda guerra mondiale. Fino ad allora l’impero del Sol Levante è stato abbastanza chiuso, protezionista e guardingo. Oggi l’atteggiamento è del tutto diverso. Contende alla Cina il titolo di campione del libero mercato e dell’abbattimento delle tariffe doganali. Collabora con le industrie della difesa e spaziale con l’America e l’Europa e ha accordi anche con l’Italia».

Questo cambierà gli equilibri geo-economici?

«Tutto sta cambiando nel mondo. I rapporti di forza, il centro produttivo, il ruolo dello Stato, la distribuzione della ricchezza, la tassazione delle imprese digitali, il confronto tra democrazie e dittature. Forse è proprio quest’ultimo tema che, secondo il presidente americano Biden, dominerà il dibattito politico nei prossimi anni. Il populismo, secondo la Casa Bianca, nasce proprio dal malfunzionamento del mercato e della democrazia. Ma il populismo non è una soluzione, è solo una patologia che va curata e superata, proprio come il Covid-19».

Nello scacchiere geopolitico che posizione occupa il Giappone?

«Il Giappone è un caso unico nel quadro geo-strategico mondiale. Pur essendo un Paese dell’Estremo Oriente, si è molto legato all’Occidente e soprattutto agli Stati Uniti, l’alleato più importante. A 76 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, Tokyo non ha ancora firmato un trattato di pace con la Russia a causa della disputa sulle isole Curili, che i nipponici vorrebbero recuperare. I rapporti con i vicini asiatici non sono sempre facili, rimane viva la memoria dell’occupazione delle truppe giapponesi a Nanchino, in Corea e in altri Paesi del Sud Est asiatico. Ma lo sviluppo di un Giappone pacifico e la sua crescente influenza nello scacchiere mondiale fanno sì che oggi i rapporti con i Paesi dell’area siano migliorati e in alcuni casi si siano molto rafforzati. È uno dei fondatori del G7 (1975), in cui sono presenti i Paesi più industrializzati del mondo. è entrato nel 1964 nell’OCSE e naturalmente fa parte del G20. Con i Paesi della regione dell’Indo Pacifico è parte del Quad, l’alleanza promossa dal presidente Biden per contenere l’influenza cinese e rafforzare la stabilità in quell’area, insieme con l’India, la Corea del Sud e l’Australia».

Di che cosa ha bisogno il Giappone moderno?

«Per oltre un secolo il Giappone è stato la maggiore potenza economica dell’Asia. Oggi è seconda solo alla Cina. Ma ha un problema – condiviso con la Cina, con la Germania e con l’Italia – quello dell’invecchiamento della popolazione e della riduzione delle nascite. I Paesi europei cercano di evitare il crollo demografico attraverso accorte politiche migratorie. Il Giappone è tradizionalmente più restio anche se qualche apertura vi è stata negli ultimi anni. Il Governo Abe ha elevato gli anni di vita attiva e produttiva della popolazione e ha cercato di rilanciare l’economia creando un modello di sviluppo denominato “Abenomics”. Sul piano economico risalta un forte indebitamento pubblico (oltre il 200 per cento del PIL, il più alto del mondo in percentuale), ma i titoli di Stato sono in mani giapponesi e un rischio di default non esiste. Il Paese è all’avanguardia in tutti i campi della tecnologia anche se è oggi superato dalla Cina, per quanto riguarda l’intelligenza artificiale. È sicuramente uno dei più attenti e impegnati nella difesa dell’ambiente e anche per questo motivo ha sviluppato le ricerche sull’idrogeno: in questa tecnologia Tokyo è probabilmente leader mondiale».

Quali sono le priorità del Paese e quali strategie vengono utilizzate per ottenerle?

«Il predecessore dell’attuale Premier Yoshihide Suga, Shinzō Abe, aveva avviato un ambizioso programma per rilanciare l’economia, che soffriva da decenni di una crescita anemica e aveva creato un modello di sviluppo basato sulle “Tre frecce”: una politica monetaria audace; una politica fiscale “flessibile” (ossia non restrittiva) e una strategia di crescita in cui la mano pubblica finisse per stimolare gli investimenti privati. All’inizio l'”Abenomics” ha funzionato bene, grazie ai massicci investimenti pubblici, ma poi la ricetta ha mostrato i suoi limiti e le crisi del 2009 e del Covid-19 hanno provocato un rallentamento del sistema produttivo».

Perché il Giappone è considerato dagli strateghi americani una delle massime potenze del futuro?

«Gli americani attribuiscono molta importanza al Giappone, perché conoscono i punti di forza del suo sistema politico, economico e culturale. La Costituzione giapponese è stata dettata dagli americani, che alla fine della seconda guerra mondiale insistettero per contenere le forze armate nipponiche da allora definite “forze di autodifesa”. Per questo motivo la spesa militare di Tokyo non è molto elevata anche se è recentemente cresciuta con il pieno appoggio dell’alleato americano. In campo scientifico e tecnologico poi il Giappone è all’avanguardia e per questo motivo è considerato dagli Stati Uniti un partner di notevolissima importanza».

Il maxi accordo di libero scambio ratificato dall’Unione Europea con il Giappone, denominato EPA (Economic Partnership Agreement), che elimina i dazi su circa il 99% dei beni giapponesi importati e viceversa il Giappone su quelli europei è un grande passo avanti?

«Può sembrare paradossale, ma anche questo accordo è stato in qualche modo favorito da Trump. Quando l’allora Presidente degli Stati Uniti, opponendosi al multilateralismo, fece sapere di non volere aderire al TPP (Trans Pacific Partnership, simile al RCEP), il Giappone ruppe gli indugi e concluse l’Accordo con l’Unione Europea, l’EPA, i cui negoziati erano iniziati molti anni prima ma si erano arenati. La decisione di Tokyo non piacque alla Casa Bianca, ma fu molto ben accolta in Europa».  

Ma l’eliminazione dei dazi avvenuta grazie all’EPA cos’ha comportato?

«Per la prima volta l’obiettivo perseguito da questo accordo non è solo la riduzione dei dazi, ma la loro completa eliminazione. Una svolta essenziale. La Fondazione Italia Giappone ha seguito da vicino le trattative per giungere all’EPA, organizzando in tutta Italia una serie di seminari per illustrare dettagliatamente alle imprese le opportunità offerte dall’accordo».

Quali vantaggi per l’Unione e quali per il Giappone?

«Direi che in questo tipo di accordi non ci sono vincitori e vinti, ma vantaggi per tutti. Per citare un esempio, in pochi mesi i vini italiani hanno superato in Giappone quelli cileni, leader del mercato. Gli scambi complessivi tra i nostri due Paesi hanno registrato un impulso senza precedenti. E lo stesso vale per le due aree economiche. La crisi del Covid-19 ha in parte frenato questo slancio, che tuttavia riprenderà presto».

Che tipo di rapporti ci sono tra Giappone e Italia?

«I rapporti tra Italia e Giappone non sono mai stati così buoni. Incontri politici ai più alti livelli istituzionali si svolgono regolarmente. Esponenti del mondo della cultura e dell’Accademia intrattengono fecondi scambi e rapporti. Si ricordano come leggendarie le grandi rassegne  “Giappone in Italia ’95/96”, gli oltre 700 eventi di “Italia in Giappone 2001 – 2002”, la “Primavera Italiana” del 2007 la Japan Week in Venice del 2019 e molti altri eventi. Il Giappone ospita mostre straordinarie di arte italiana e dei nostri tesori più antichi – ricordo che il Padiglione Italia all’Esposizione Universale di Aichi del 2005 è stato il più visitato tra quelli stranieri con oltre un milione e mezzo di visitatori – la collaborazione scientifica si estende in tutti i campi, perfino in quello aerospaziale.  Gli imprenditori dei due Paesi si incontrano regolarmente grazie all’Italy Japan Business Group che organizza dal 1989 Assemblee Annuali e alle iniziative che la Fondazione Italia Giappone realizza nell’arco dell’intero anno. I turisti italiani che vanno in Giappone sono sempre più numerosi e i turisti giapponesi ormai conoscono anche i più piccoli borghi del nostro Paese, per non parlare della passione reciproca per le specialità enogastronomiche. I giapponesi amano l’Italia, gli italiani amano il Giappone». 

Durante il corso del 2020, a causa della pandemia da Covid-19, il Giappone ha dovuto affrontare una profonda crisi. Complessivamente il PIL è sceso del 4,8%, con un picco tra aprile e fine giugno in cui addirittura è arrivato a  toccare -7,8%. Cosa sta succedendo adesso?

«In tutti i Paesi la pandemia ha provocato un forte rallentamento dell’economia e una caduta del PIL ma queste difficoltà sono state largamente superate e, come del resto nel nostro Paese, come dicevo all’inizio, si è già in piena ripresa». ©

  Simona Sirianni