venerdì, 19 Aprile 2024

BIG DATA, ALBINI (IRCCS): «PIÙ DATI PER LA SCIENZA»

La scienza dei big data entra a gamba tesa nel mondo medico e sportivo, stravolgendone l’approccio e le metodologie. Tra app che monitorano il sistema salute e quelle che danno una mano a impostare i workout il 2021, anche a causa della pandemia, è l’anno del boom dei download digitali per queste categorie di applicazioni. Milioni di dati condivisi quotidianamente che, a discapito della questione privacy, hanno migliorato e riscritto le regole delle scienze omiche (discipline biomolecolari). 

«Abbiamo fatto grandissimi progressi grazie ai dati», dice Adriana Albini, Responsabile del Laboratorio di Biologia Vascolare e Angiogenesi dell’IRCCS MultiMedica e vice campionessa mondiale 2015 e bronzo 2018 di Scherma Master. «I risultati dell’Italia in quest’anno olimpico sono sotto gli occhi di tutti ma ciò che mi preme evidenziare è come l’analisi dei dati, non solo in gara, abbia apportato un contributo concreto anche alla preparazione sportiva. Un’equazione che sarà interessante trasferire anche al campo di riabilitazione medica, dal punto di vista sportivo: questo è un settore ancora poco esplorato e che sarebbe il caso di approfondire». 

Cosa significa lavorare sui dati e che contributo danno in termini di prestazioni?

«C’è stata sicuramente una rivoluzione rispetto al dato medico e di ricerca con la nascita delle cosiddette scienze omiche, cioè da quando è stata completata (intorno al 2000 ndr) la sequenza del genoma umano e ciò ha reso possibile passare progressivamente da una sequenza lunga e costosa a tecniche che permettono di sequenziare DNA e RNA in poco tempo e a costi contenuti. Nel mio campo, ad esempio, riusciamo facilmente ad analizzare le mutazioni di un tumore, quanti e quali geni sono mutati favorendo lo sviluppo di nuovi tumori. E questo fa sì che le informazioni di cui si può disporre siano molte. Siamo in una fase di transizione perché c’è un mondo medico un pò all’antica, che va avanti con metodi diagnostici tradizionali e uno, invece, all’avanguardia che sarebbe utile per sequenziare tutto: è questa la fotografia del momento».

Come si conciliano questi due aspetti?

«Ci vuole una ricerca collaborativa importante, ma anche la formazione di chi ha competenze informatiche profonde rispetto alla problematica medica. Abbiamo avuto un grande contributo dalla fusione di questi due aspetti, per esempio per quanto riguarda l’identificazione dei tumori ereditari del seno oppure di alcuni tipi di tumori al colon: in entrambi i casi il contributo è stato pratico, funzionale e immediato ma ce ne sono altri di esempi, come l’utilizzo di un determinato farmaco (diretto a un riarrangiamento cromosomico) che si è dimostrato utile a combattere certe malattie ematologiche. Direi che in questi casi l’utilizzo dei dati è stato fondamentale». 

Negli ultimi tempi, anche a causa della pandemia, abbiamo assistito a un boom dell’utilizzo delle app sanitarie. Le più popolari in Italia sono Strava (700 mila download totali) e Fitbit: in termini finanziari economici, ne guadagna di più la salute oppure chi c’è dietro al mondo delle applicazioni? «Bisogna fare una distinzione: io credo che sia molto ragionevole tenersi informati e usare questo tipo di applicazioni senza però, tralasciare e sottovalutare il parere medico scientifico, che rimane passaggio fondamentale. Ciò che è il nostro futuro risponde al nome di telemedicina: anche a causa della pandemia, questo approccio è in continuo aumento perché riuscire a monitorare un paziente da remoto è senza dubbio ambizione e possibilità ottimale per svolgere la professione. Ne è da dimostrazione l’aiuto che è arrivato dal PNRR per la telemedicina. Quindi, per rimanere sul tema del boom delle applicazioni, se utilizzate in questo senso direi che è assolutamente cosa positiva che apre anche a nuovi orizzonti».

Però poi c’è il tema della privacy…

«Per quanto riguarda il tema scottante della privacy per la buona riuscita di uno studio clinico bisogna avvalersi dei dati e contestualmente cedere in termini di privacy, il sacrificio è assolutamente positivo e doveroso. Ogni giorno lasciamo in giro milioni di dati tra supermercati, acquisti online per citarne due: noi siamo assolutamente trasparenti, quindi se dobbiamo rinunciare alla privacy per un dato clinico che, secondo me, appartiene all’umanità, ed è spendibile per il bene collettivo, il sacrificio lo vedo assolutamente sacrosanto. Il tutto nel pieno rispetto delle regole: pensi anche all’inizio della pandemia, se avessimo avuto più dati complessi sui pazienti si sarebbe potuto intervenire prima e meglio». 

Lei è l’ unica donna italiana nella lista BBC 100 Women of 2020 e prima donna italiana eletta nel Board of Directors dell’American Association for Cancer Research: ci stiamo avvicinando alla parità di genere nel campo della ricerca scientifica?

«No. Le donne danno un fastidio tremendo ai piani alti. Questa è una classifica relativa all’universo femminile: di sé indica già una buona fotografia di quanto ho affermato poco fa. È stato gratificante entrarci, un riscontro per tutte le battaglie che ho fatto per le donne nel mondo della ricerca. Abbiamo appena concluso a Reggio Emilia il convegno del mio club delle donne scienziate (Top Italian Women Scientist) dove sono unite per merito le opinioniste internazionali nel campo biomedico che hanno un indice di citazione superiore a 50. Un modo per dare voce alle scienziate che nel campo medico, spesso e volentieri, non ce l’hanno. Ma la battaglia per la parità, anche in questo campo, è tutt’altro che raggiunta. La strada è ancora molto lunga: dobbiamo imparare a chiedere, non lo facciamo abbastanza, c’è anche questa nostra incapacità negoziale. Non deve stupire che mediamente le donne abbiano uno stipendio più basso, per la medesima posizione, rispetto ai maschi. Anche se qualche segnale positivo c’è: il ministro dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, ha già annunciato un’apertura per quanto riguarda un’attenzione particolare alle proposte che partono da donne nei prossimi bandi per la ricerca».

A proposito di ricerca, il Prof. Ugo Amaldi a il Bollettino ha denunciato che «la mano pubblica fino a poco prima del PNRR destinava alla ricerca solo lo 0,5% del Pil, ossia nemmeno 9 miliardi di euro l’anno». A che punto è l’investimento oggi?

«L’investimento è sempre troppo basso, lo dice anche il neo-nobel Parisi, ed è un peccato perché siamo un Paese talentuoso, ma i finanziamenti sono pochi e le attrezzature non sono aggiornate: sono pochi gli istituti che riescono a tenersi al passo, nonostante il fatto che come sistema Paese restiamo sicuramente competitivi. Prenda la questione Covid-19: in Inghilterra hanno stanziato tantissimi soldi, da noi in Italia, nonostante petizioni e azioni collettive, sono usciti pochissimi fondi per la stessa problematica. Un’occasione sprecata rispetto alle potenzialità dell’universo universitario italiano, che ha una preparazione eccellente». 

Parallelamente ai suoi impegni in campo scientifico, lei è anche una sportiva: vice campionessa europea di Scherma Master nel 2015 e bronzo ai mondiali del 2018 nella stessa specialità. A livello performativo, è maggiore il contributo che i dati danno nel campo medico o in quello sportivo?

«Sicuramente in campo medico – e parlo dell’oncologia che è il mio campo di ricerca preferenziale – però abbiamo visto che cosa ha potuto fare ad esempio la sequenza di un virus per preparare dei vaccini che, in un certo senso, possono contribuire al ritorno alla normalità del mondo, come pure dati relativi ad altre patologie importanti, come la misura accurata della glicemia per controllare il diabete oppure della pressione, ma anche dal punto di vista coagulativo: il fatto di avere a disposizione delle tecnologie semplici, veloci ed economiche che acquisi-scono dati ha sicuramente avuto un impatto fortissimo».  

Ha in cantiere altri obiettivi sportivi?

«Nonostante sia difficile gestire contemporaneamente le mie due passioni, visto anche i tempi che stiamo vivendo, lo sport non lo abbandono: mi sono qualificata sia nel 2020 che nel 2021 per disputare il mondiale nella mia disciplina, anche se entrambe le volte il mondiale veterani è stato soppresso. Se pensiamo che abbiamo fatto le Olimpiadi ma anche le Paralimpiadi, quindi con individui estremamente fragili, e in un Paese con contagi non nulli come il Giappone, il fatto che non si disputino le prove vetrani è segno di poca buona volontà delle Federazioni di dare importanza a quello che è l’agonismo anche negli anni meno verdi: lo sport non ha età. Io continuo con gli allenamenti e cerco la terza qualificazione di fila, dopo immensa fatica, nonostante la cancellazione della competizione…».

Se non c’è “due senza tre”, l’auspicio è positivo…

«Lo spero, la mia ultima medaglia è targata 2018, bronzo ai Campionati Mondiali di Scherma, risultato non lontanissimo anche se bisogna avere costanza negli allenamenti per ripetere quelle prestazioni. Per restare in tema, anche io utilizzo i dati tramite app, per esempio il calcolo delle calorie durante l’attività fisica di preparazione, per riuscire ad avere almeno 500 calorie bruciate per allenamento di scherma. Anche se in generale, i dati ci dicono che, per quanto riguarda la prevenzione delle neoplasie, fare 150 minuti di allenamento intenso almeno una volta alla settimana, oppure 30 minuti al giorno, aiuta».                       

© Luca Maddalena