giovedì, 25 Aprile 2024

LAVORO: L’ECCESSO DI STRAORDINARI DIVENTA ILLEGALE IN CINA

La Cina si scaglia contro l’orario del 996. Le dodici ore di lavoro quotidiane – dalle 9 del mattino alle 9 di sera – per sei giorni a settimana, tipiche del settore tech, rappresentano una grave violazione della legge. È quanto emerge da un documento emesso dalla Corte Suprema del Popolo e dal Ministero delle Risorse Umane e della Sicurezza Sociale, che dichiara “non validi” tutti quei contratti che impongono turni così impegnativi. «I dipendenti hanno diritto a un compenso che corrisponda al loro impegno, al riposo e alle vacanze, conforme alla legge. È un obbligo legale degli impiegati rispettare le norme nazionali degli orari sul lavoro», si legge nel documento. Nata con il boom di internet e delle start up del tech, la cultura degli straordinari, in Cina, sembra essersi estremizzata negli ultimi anni con il rallentamento della crescita economica che ha investito anche i comparti più fiorenti del Paese. La crisi pandemica, poi, ha reso il mercato delle professioni ancora più competitivo e i licenziamenti sempre più diffusi. In questo contesto, è bene considerare le misure stringenti che Pechino sta adottando per disciplinare i giganti tecnologici: dalle indagini per mano delle autorità regolatrici, a multe e obblighi di auto-rettifica, l’obiettivo è ridistribuire la ricchezza accumulata dalle multinazionali e, al contempo, regolarne le condizioni occupazionali interne. E il 996 fa parte di una cultura del lavoro legata proprio al settore delle nuove tecnologie. Questa modalità eccede di circa il 35% il massimo di ore mensili stabilito dalle leggi cinesi (196 ore), che fissano un limite per le ore extra a 36 al mese: con il 996, invece, si possono raggiungere fino a 128 ore di straordinari ogni trenta giorni. Secondo la Corte Suprema, questa pratica rischierebbe di danneggiare l’armonia dei rapporti professionali e la stabilità sociale: obiettivo delle linee guida pubblicate, quindi, è «chiarire gli standard di applicazione legale dell’orario di impiego e della paga delle ore extra». «Il datore di lavoro può estendere la durata del turno, in caso di necessità della produzione, fino a un massimo di tre ore al giorno in presenza di ragioni speciali», è quanto riportato agli articoli 26, 41 e 43 della legge vigente. Nonostante non sia concesso superare le trentasei ore al mese, le aziende trovano ogni tipo di espediente per aggirare le norme e dichiarano, ad esempio, che sono i dipendenti a scegliere volontariamente di allungare il turno. Orari che eccedano il limite mensile sono da considerare illegali, come anche i diffusi accordi che implicano la rinuncia spontanea da parte del dipendente alla paga degli straordinari. Questo intento regolatore nasce dalle critiche mosse dall’opinione pubblica allo standard non scritto per l’impiego da dodici ore al giorno e una assoluta dedizione al lavoro. Per veicolare le proteste, nel 2019 su Github – il servizio di hosting per progetti software della Microsoft – era apparso il dominio 996.ICU (Intensive Care Unit), i cui membri avevano stilato una lista nera di aziende con turni proibitivi, colpevoli di condurre al burnout entro i trent’anni. La discussione era diventata in breve tempo argomento di tendenza sui social nella Repubblica Popolare, al punto da spingere personalità celebri del mondo imprenditoriale a intervenire in difesa del 996. Primo fra tutti a elogiare il turno di dodici ore, Jack Ma, fondatore del colosso e-commerce Alibaba. «È una grande benedizione di cui non tutti i lavoratori possono beneficiare, e indispensabile per perseguire il successo professionale. Su di essa si regge lo sviluppo dell’economia cinese. Senza, la crescita economica probabilmente perderebbe spinta e la vitalità», aveva affermato l’impresario. Sulla stessa linea di pensiero era Zhu Ning, fondatore della società di e-commerce Youzan. «Se non senti alcuna pressione, è perché il tuo capo sta per morire», aveva scritto nel suo account WeChat. Negli ultimi mesi, la convinzione che orari più lunghi comportino una maggiore produttività sembra sia venuta meno, soprattutto dopo l’ulteriore ondata di indignazione suscitata da diverse morti legate all’overworking. E le aziende hanno iniziato ad adeguarsi: a giugno, uno studio di animazione di proprietà di Tencent, casa madre di WeChat, ha introdotto una politica che obbliga i dipendenti a staccare alle sei di sera e a riposare nel weekend. Altri colossi tech hanno seguito a ruota: da Meituan, leader nella consegna espressa, ByteDance, società artefice del social network Douyin (Tik Tok per i non cinesi), a Kaishou, altra app di video brevi, tutte hanno messo un punto alla pratica di alternare settimane di sei giorni lavorativi e settimane di cinque. Eppure, quello che si prospetta, non è tanto uno scenario di lotta tra “imprenditori socialmente responsabili” e “paladini” degli straordinari quanto, piuttosto, quello di un Partito impegnato a “disciplinare” i giganti tecnologici con multe antimonopolio e minacce di ulteriori controlli statali per le acquisizioni in Borsa. ©

Sara Teruzzi

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Nata e cresciuta in Brianza e un sogno nel cassetto – il mare. Ama leggere e scrivere ed è appassionata di comunicazione. Dopo la laurea magistrale in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale, entra nella redazione de “il Bollettino” con un ricco bagaglio di conoscenze linguistiche acquisito durante il percorso scolastico. Ai lettori italiani porta notizie che arrivano da lontano – dall’Asia al mondo arabo.