venerdì, 29 Marzo 2024

VOLA IL MERCATO DEGLI ESG, MA OCCHIO AL GREENWASHING

In un periodo in cui la sostenibilità è un tema caldo in tutti i settori, soprattutto a causa della consapevolezza sempre più diffusa delle conseguenze nel breve e nel lungo termine del cambiamento climatico, l’interesse per il tema si manifesta anche nel mondo della finanza: «Dal punto di vista delle emissioni di green bond settembre è stato il mese migliore di sempre con 130,6 miliardi di dollari emessi su green bond di varia tipologia, per un totale cumulativo che ha toccato i 2300 miliardi di dollari», spiega Gian Franco Giannini Guazzugli, presidente del Forum per la Finanza Sostenibile.

Partiamo dalle basi: differenza tra green bond il resto del mondo obbligazionario
«Il green bond è un bond di scopo, cioè che pone il problema del progetto che si va a finanziare, ed è uno strumento che fa parte insieme ad altri degli strumenti della finanza sostenibile».

Ci spieghi meglio
«Il green bond classico, che in genere ha un merito di credito piuttosto elevato, è legato a progetti che si occupano del tema ambientale, e nello specifico delle energie rinnovabili. Poi abbiamo i social bond che sono destinati a problematiche legate per esempio all’acqua o alla salute, i sustainability bond destinati alla costruzione di immobili a basso impatto ambientale, o a progetti con un focus sull’agricoltura, come per esempio la produzione di cibo in modo equosolidale. Poi ci sono i transition bond, legati appunto alla transizione, un tema molto attuale al momento, se consideriamo che in Italia è stato creato anche un ministero ad hoc».

C’è una preferenza da parte degli investitori?
«Se ci riferiamo all’acronimo ESG (Environment, Social e Governance), il tema più conosciuto è quello ambientale, e per questo è anche quello più richiesto da chi vuole investire in finanza sostenibile. La pandemia poi ha acceso un faro sui temi sociali, e ora anche le emissioni legate a questo argomento raccolgono più attenzione di prima. Questo vale per il mondo della salute ma anche per esempio per l’agricoltura e gli allevamenti, e quindi per tutti quei progetti che vogliono convertire e migliorare operando sulle problematiche che causano danni ambientali».

Quali criteri devono rispettare i bond per essere definiti “green”?
«Esiste un quadro normativo, ma molto dipende dalla tassonomia, e quindi da cosa viene inquadrato come sostenibile e cosa no. L’Europa sta lavorando moltissimo su questo fronte, ma si tratta di un percorso complesso. Ognuno dei 27 paesi è portatore di interessi diversi, pensiamo per esempio alla Francia che sta spingendo affinché il nucleare venga ammesso come fonte di energia sostenibile. Possiamo considerare quindi la tassonomia come la madre di tutte le battaglie: se non riusciamo ad avere un quadro definitivo si potrebbe rischiare di incentivare attività che poi nel concreto non sono sostenibili nel lungo periodo».

Quali sono i paesi che ne emettono di più?
«Il capofila è l’Europa che negli anni si è sempre contraddistinta per la quantità di somme destinate alla finanza sostenibile. Ora le emissioni dell’Europa rappresentano circa il 50% delle emissioni mondiali, anche perché queste sono strettamente legate alle politiche governative: nelle scelte di chi va a costruire prodotti di investimento c’è attenzione al fatto che i paesi in cui sono localizzate le aziende rispettino i criteri ESG».

L’Europa ha di recente emesso un maxi green bond da 12 miliardi. Con quali obiettivi?
«Si è trattato di uno strumento finalizzato al NextGenerationEU, e quindi destinato a finanziare una ripresa che si propone di rispettare criteri di sostenibilità. Si è trattato di somme molto rilevanti e mai viste prima; l’augurio è che vengano utilizzate al meglio e che raggiungano lo scopo per cui sono state predisposte, e per questo il presidio degli organi governativi sarà fondamentale. Anche perché si tratta di un’occasione abbastanza irripetibile, visti segnali importanti come il mancato movimento dei tassi pur in presenza di inflazione». 

Questa emissione ha ottenuto richieste 11 volte superiori alla disponibilità, come si spiega questo successo?
«C’è grandissima richiesta proprio perché il mercato apprezza gli strumenti che si pongono scopi chiari e precisi. Si tratta della conferma che questa è la direzione in cui sia gli investitori privati sia gli investitori istituzionali vogliono destinare le loro risorse, sempre ovviamente con un’attenzione al rendimento dell’operazione e alla durata degli investimenti (che non sono di breve termine, essendo spesso legati a progetti di ricostruzione o costruzione ex novo). Un successo simile l’aveva ottenuto anche il Btp green emesso l’anno scorso dallo Stato italiano, in cui si sono registrate richieste per 80 miliardi di euro, dieci volte l’offerta che ne prevedeva 8».

Queste emissioni hanno prodotto dei cambiamenti nel mercato?
«Sicuramente erano molto attese. Ormai possiamo dire che circa il 20% dei risparmiatori preferisca nei propri portafogli investimenti legati alla sostenibilità ed è una tendenza in crescita. Da una parte c’è maggiore diffusione e conoscenza di queste tematiche da parte dei risparmiatori (in particolare nella fascia d’età dei millennials), ma c’è anche maggiore attenzione nel mondo della consulenza finanziaria a trattare queste tematiche con i risparmiatori».

Quali sono le prospettive?
«Non voglio fare previsioni, ma nel 2021 il 77% dei risparmiatori conosce gli investimenti sostenibili (erano il 57% nel 2019) e il18% ha già sottoscritto prodotti finanziari di questo tipo: la propensione è positiva. In questo avrà un ruolo importante l’educazione alla finanza sostenibile, perché ancora molte persone pensano che si tratti di attività di charity. Non solo non è così, ma anzi la finanza sostenibile si dimostra resiliente nei momenti problematici del mercato, con investimenti che generalmente procedono con performance positive che mediamente superano gli indici tradizionali. C’è anche il risultato economico quindi a premiare l’investitore».

Quali sono i benefici per chi investe?
«A parte il tema etico, le realtà coinvolte sono quelle che diventano tra le più sostenibili a livello finanziario proprio per il comportamento sano su più fronti. Per questo la dichiarazione non finanziaria, il cosiddetto DNF, è uno strumento sempre più importante. Ora sono obbligate a predisporla le aziende con oltre 500 dipendenti e oltre 40 milioni di fatturato, ma questa soglia si abbasserà. Già adesso il mondo bancario comincia a chiederlo anche alle piccole e medie imprese nel momento in cui deve concedere un mutuo, e si tratta di un cambiamento epocale rispetto alla gestione del rapporto tra imprese e mondo del credito».

E quelli per le aziende?
«C’è un tema importante in termini di immagine, ma ci sono lati positivi anche dal punto di vista economico. Le imprese che rispettano i requisiti quando hanno la necessità di sviluppare progetti possono emettere dei bond che saranno sicuramente acquistati dal mercato. Operare nel campo della sostenibilità significa anche potersi finanziare a tassi più bassi, perché portando avanti pratiche corrette non c’è necessità di remunerare più di tanto gli investimenti che i risparmiatori o l’investitore istituzionale fa presso di me».

Quali sono invece le problematiche del settore?
«Un fronte critico è quello del greenwashing, in cui un investimento viene fatto passare per sostenibile anche se non lo è. Da questo punto di vista è importante l’attività di engagement che tutti i gestori di prodotti finanziari fanno presso le aziende prima di sceglierle. Come Forum per la finanza sostenibile auspichiamo che l’Europa crei un organismo di controllo di queste attività, un soggetto istituzionale che sia parte terza e collabori con delle attività di verifica. Questo è fondamentale anche viste le somme importanti che stanno attraendo questo tipo di investimenti».

Il Forum della finanza sostenibile quest’anno compie 20anni. Qual è il bilancio?
«Sicuramente positivo. Siamo passati dall’essere uno dei pochi soggetti che trattava questa tematica a festeggiare con 130 soci, una realtà multi stakeholder con al proprio interno istituti di credito prestigiosi, fondi pensione e un’importante rappresentanza della società civile con membri del terzo settore. La forza del forum si è dimostrata proprio la capacità di fare sintesi tra i mondi diversi in cui tutti però hanno come obiettivo di lavorare alla diffusione della finanza sostenibile».©

Nadia Corvino

Twitter: @corvonad

LinkedIn: @nadiacorvino

Laureato in Economia, Diritto e Finanza d’impresa presso l’Insubria di Varese, dopo un'esperienza come consulente creditizio ed un anno trascorso a Londra, decido di dedicarmi totalmente alla mia passione: rendere la finanza semplice ed accessibile a tutti. Per Il Bollettino, oltre a gestire la rubrica “l’esperto risponde”, scrivo di finanza, crypto, energia e sostenibilità. [email protected]