La criticità della situazione nel Donbass spaventa e preoccupa i mercati finanziari. Oltre ai risvolti geopolitici e di politica internazionale, il conflitto tra Russia e Ucraina avrà conseguenze molto pesanti anche sulle tematiche economiche e finanziare del Vecchio Continente.
Le ripercussioni dei venti di guerra dell’Est saranno potenzialmente trasversali in qualunque esito del conflitto. Perché se già con una situazione di stallo e incertezza come quella attuale le materie prime e i profitti delle grandi società internazionali sono a rischio, con le eventuali sanzioni dirette alla Russia la situazione diventerà molto preoccupante e difficile.
IL SETTORE ENERGETICO È IL PIÙ A RISCHIO
Appurato che la guerra e le sanzioni causeranno forti danni alle grandi società ed aziende occidentali, bisogna chiedersi: quali possono essere i settori maggiormente colpiti? A darci una risposta è un’analisi pubblicata da Reuters.
Il primo settore è sicuramente quello energetico, saldamente legato alla sfera russa. La britannica BP, operante nel petrolio e nel gas naturale, ha una partecipazione pari al 19,75% in Rosneft, compagnia petrolifera di maggioranza del Governo russo, l’equivalente di un terzo della sua produzione.
Altro esempio del settore energetico è la Shell, che detiene una partecipazione del 27,5% nel primo impianto russo di GNL, Sakhalin 2. L’impianto rappresenta un terzo delle esportazioni totali di gas naturale liquefatto nel Paese. Inoltre, sempre la Shell, conta anch’essa una serie di joint venture con il gigante energetico statale Gazprom.
Altri colossi energetici sono attivi in Russia, come la Exxon statunitense, la norvegese Equinor e la Oil and Natural Gas Corp indiana.
Quindi sicuramente chi in questo momento sta rischiando di più pare essere il settore energetico, su scala globale, con una moltitudine di aziende e società legate alla Russia, e conseguentemente anche alle eventuali misure punitive verso Mosca. Molto semplicisticamente, le società energetiche potrebbero limitare i danni ai ricavi o ai profitti, con un potenziale aumento del prezzo del petrolio.
ANCHE LA FINANZA TREMA
L’altro settore fortemente spaventato è quello finanziario, più specificatamente quello localizzato in Europa. Non a caso dopo gli ultimi risvolti nel Donbass il blocco europeo sta ponderando e valutando con estrema attenzione e precisione le possibili sanzioni.
La Raiffeisen Ban International, banca austriaca, ha generato il 39% del suo utile netto del 2021 dalla sua controllata russa. OTP e UniCredit intorno al 6-7% dalle loro rispettive.
La francese Société Générale ha invece il 6% degli utili netti attraverso operazioni di vendita della Rosbank. Numeri non del tutto rassicuranti visto lo scenario attuale nemmeno per Renault, con l’8% dell’EBIT in Russia. La tedesca Metro AG ha il suo 10% di vendita in territorio russo ed il 17% sul profitto principale. Il produttore di birra Carlsberg è detentore della Baltika, maggior produttore di birra russo, con quota di mercato quasi al 40%.
Altri dati interessanti arrivano della Banca dei regolamenti internazionali (BRI) che vedono queste nazioni come maggiori prestatori occidentali alla Russia: Francia con 24,2 miliardi, seguita dall’Austria con 17,2 miliardi, Stati Uniti 16 miliardi, Giappone 9,6 miliardi e Germania con 8,8 miliardi. I numeri si riferiscono al totale che le banche dei rispettivi Paesi hanno a credito con la Russia.
LE POSSIBILI CONSEGUENZE IN ITALIA
La stessa Italia nutre molte perplessità e timori, dopo le dichiarazioni di Vladimir Putin e le varie ipotesi di reazione del blocco NATO. I dati dell’Agenzia Ice (su base Istat) parlano di circa 300 aziende direttamente in affari con la Russia, ed un totale di 4 miliardi di euro di interscambio nel 2021. Su più ampia scala, le esportazioni dell’Italia verso la Russia sono oltre 7 miliardi, mentre oltre i 12 quelle delle importazioni.
Riccardo Seghizzi
Twitter: @RiccardoS21
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