giovedì, 25 Aprile 2024

Nasce l’ecologia circolare: un progetto da 18 milioni

Sommario

Ricavare valore dagli scarti della pesca. Questa l’idea dei partecipanti a ecoeFISHent (accordo numero 101036428), progetto da 18 milioni promosso dall’Università degli Studi di Genova e finanziato grazie a Horizon 2020, programma di finanziamento della Comunità Europea. Grazie all’esperienza di un team che mette insieme partner istituzionali e privati, l’obiettivo è quello di creare catene di valore replicabili, sfruttando l’economia circolare e valorizzando l’industria del territorio. «Un fatto interessante di questo progetto è che opera per l’80% in Liguria. È molto originale tra i progetti europei, in cui di solito è richiesto un partenariato distribuito su diversi Paesi», racconta la prof.ssa Elena Grasselli, work package leader per lo scale-up del progetto. «L’idea innovativa è quella di creare value-chain interamente in Liguria per poi esportarle, in un Paese simile all’Italia, cioè la Spagna, e in uno sottosviluppato, cioè il Kenya. Si sviluppa qualcosa integralmente in una regione in cui l’economia della pesca è molto importante».

Il vostro legame con il territorio è evidente. In che misura il progetto risponde a un’esigenza dello stesso?

«Al 100%. Il legame è fortissimo ed è testimoniato anche dalla sponsorship delle autorità regionali e dal coordinamento di FILSE (Finanziaria Ligure per lo Sviluppo Economico). In più, abbiamo prestato molta attenzione alle esigenze specifiche della Liguria: proprio per questo ci siamo orientati verso una nicchia quasi assente finora, cioè quella della cosmetica e della nutraceutica (ambito che studia i nutrienti e i composti bioattivi presenti negli alimenti con impatto positivo sulla salute, ndr). Dato che al momento non abbiamo produttività forti da questo punto di vista, l’idea è di generarle, creando nuovi posti di lavoro, prima di tutto grazie alla fondazione di uno spin-off universitario che estragga materie prime di valore aggiunto dagli scarti della pesca. Ma l’obiettivo è anche di fare da battistrada all’estrazione di materie prime dal punto di vista industriale nella regione, con la produzione di 1500 prodotti tra nutraceutici e cosmesi».

Quindi parliamo di sostenibilità ambientale, ma anche sociale?

«Certo. La sostenibilità sociale è un tema che, mi perdoni il termine, è di gran moda, e rappresenta uno dei grandi punti di forza del progetto. Ad esempio, parte delle attività che svolgiamo sono gestite da un consorzio, Omnia, che aiuta persone socialmente svantaggiate. Un altro valore aggiunto molto rilevante è proprio nel fatturato che la cosmesi può portare in Liguria. Si tratta di una delle produzioni a più alto fatturato, e implementare attività in questo settore è una novità interessante. Non si tratta quindi solo di estrarre materia prima a valore aggiunto, ma anche trovarle un’applicazione ad alto ricavo come questa, senza perdere di vista la sostenibilità ambientale».

Alla base del progetto c’è il concetto di economia circolare. Ma ad aggiungere un quid alla vostra missione di sostenibilità c’è un rapporto molto diretto col mare…

«Personalmente penso che quello che facciamo vada anche oltre l’arcinota economia circolare e la metta anche in rapporto con l’aspetto ecologico. Per definire il processo ho coniato il termine “ecologia circolare”: visto che prendiamo qualcosa dal mare, dobbiamo renderglielo. In termini tecnici, il Mediterraneo è un mare oligotrofo, cioè relativamente povero di nutrimento. Pescando, gli si sottrae della biomassa. Noi la recuperiamo mediante l’uso di alcuni insetti, come la Hermetia illucens, che crescono sugli scarti e possono essere utilizzati per produrre mangimi, che sono un modo per ridare indietro biomassa all’ecosistema».

Quali sono i tipi di prodotti ricavabili dal recupero di questi scarti?

«Sono prodotti abbastanza noti e diffusi» risponde la prof.ssa Boggia. «Le molecole principali sono, a livello proteico, il collagene, a uso nutraceutico e cosmetico, nonché gli idrolizzati di peptidi, che ricadono nella stessa categoria. Dal punto di vista lipidico abbiamo invece i cosiddetti PUFA (Polyunsaturated Fatty Acids), Omega 3 e gli Omega 6, anch’essi con valenza nutraceutica e cosmetica. In più, pensavamo di realizzare dei cosmetici food-grade: nel momento in cui si estraggono materie prime utili a entrambi gli scopi, si opta per l’impiego che dà maggiore sicurezza, cioè quello alimentare. È un’alternativa da esplorare, perché potrebbe dare al mercato un’immagine migliore di quella solitamente associata a queste categorie di prodotto».

Essendo un progetto che si occupa di sostenibilità, esistono difficoltà anche nel trovare metodi di produzione sostenibili a loro volta?

«Certo. Per ora il progetto si sta occupando dell’estrazione delle materie prime in laboratorio. Questo procedimento avviene con metodi green, usando solventi non inquinanti e food grade e cercando di mantenere basso il costo dell’energia. In questo senso, anche l’utilizzo di insetti, cui accennavo prima, è molto proficuo, perché permette di sfruttare un processo biologico per creare qualcosa di valore, consumando pochissima energia. Entro la data di inizio dello scale-up, il 1° ottobre, bisognerà aver valutato il miglior processo per estrarre le materie prime nel modo più efficace e meno inquinante. Poi si proseguirà fino alla formulazione di prodotti per il settore nutraceutico e cosmetico e la loro produzione, sempre con un’ottica zero-waste».

Come descriverebbe il rapporto con i vostri partner?

«Fondamentale. Il progetto stesso nasce da una serie di collaborazioni dell’Università con elementi esterni, come Project Hub 360, che si occupa di scrittura di progetti europei e di LCA, oppure Angel Consulting, che si occupa di compliance in ambito cosmetico. Distinguerei le nostre collaborazioni in tre categorie. Prima di tutto, ci sono le affiliazioni di ricerca istituzionali, più simili a noi. Poi ci sono altri partner di ricerca privati, come quella con MicamoLab, ma anche ANFACO, l’associazione spagnola della pesca. Questi partner hanno anche una funzione di collegamento tra noi e quelli privati, ad esempio Generale Conserve, ovvero As do Mar. La nostra collaborazione si articola in maniera abbastanza gerarchica. C’è un responsabile di progetto e poi una serie di work package leader, che dettano tempi e modi. Queste figure sono responsabili del lavoro di tutti davanti alla Comunità Europea. I vari work package sono divisi in task che determinano le singole attività. Ad esempio, nello scale-up abbiamo cosmetica, nutraceutica e l’allevamento dell’insetto Hermetia illucens. In fin dei conti però, pur parlando lingue diverse, siamo tutti sullo stesso piano».                  ©

Marco Battistone

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Foto di Paul Einerhand su Unsplash

Studente, da sempre appassionato di temi finanziari, approdo a Il Bollettino all’inizio del 2021. Attualmente mi occupo di banche ed esteri, nonché di una rubrica video settimanale in cui tratto temi finanziari in formato "pop".