«Un aumento del 50% della spesa pubblica per sostenere ricerca e sviluppo fino a 22 miliardi di sterline, in modo da diventare l’attore principale nel finanziamento per l’innovazione». Il Cancelliere dello Scacchiere della Corona britannica, Rishi Sunak presenta così alla CBI (Confederation of British Industry), la Confindustria di Sua Maestà, il suo piano per il rilancio dell’economia inglese. Gli investimenti del governo britannico hanno raggiunto il livello più alto dagli anni ’70, mentre gli investimenti privati delle imprese sono pari appena al 10% del PIL rispetto al 14% degli altri membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Inoltre, i datori di lavoro britannici spendono solo la metà rispetto alle imprese europee per formare i loro dipendenti.
La politica industriale del Regno Unito e la super-deduzione sull’investimento
Rishi Sunak garantisce che il governo britannico punterà a modellare le tasse per le imprese e le industrie del Paese per incentivare un maggiore investimento nella ricerca, lo sviluppo e la formazione dei dipendenti. Il Cancelliere invita a una nuova sinergia fra il pubblico e il privato. Il Financial Times ricorda come solo poco più di un anno fa Sunak dichiarava che avrebbe rialzato dal 16% al 25% le imposte sulle società ad aprile 2023, consentendo di incassare 17 miliardi annui, al contempo nel 2021 introduce una super-deduzione che offre una esenzione pari al 130% sull’acquisto di macchinari e tecnologie pari ad un’esenzione del 25% sull’imposta di società.
Alla fine dell’anno scorso il presidente della CBI, Tony Danker, si domandava: «Questo governo punta alla crescita o è un governo vecchio stile incentrato sul ciclo tassazione-spesa? Questo è il vero bivio». Le recenti dichiarazioni di Sunak e del premier Boris Johnson sembrano avere recepito le esigenze della CBI, con l’intenzione di portare avanti gli investimenti sull’eolico offshore aumentandone le capacità da 11 a 50 gigawatt entro il 2030 e con la ripresa del nucleare in Galles per giungere a coprire il 75% del consumo elettrico del Regno Unito. Johnson richiama la definizione del Regno Unito quale “Arabia Saudita del vento” e annuncia la costruzione di un reattore nucleare all’anno per i prossimi 8 anni. Inoltre, il premier britannico comunica un piano di investimento di 160 milioni di sterline per gli impianti portuali per migliorare la logistica delle importazioni delle turbine per le pale eoliche.
Gli effetti della super-deduzione sugli investimenti
I dati Eurostat dello European Innovation Scoreboard del 2021 – graduatoria che misura diverse componenti determinanti la capacità di innovazione di un sistema economico – mostrano i risultati della super-deduzione introdotta dallo Scacchiere della Corona. Il Regno Unito risulta il primo Paese per incentivi per l’aumento di ricerca e sviluppo (R&D – Research & Development) nelle imprese e ha una buona posizione fra i Paesi europei rispetto all’investimento privato. Diversamente dall’Italia, che risulta fra le prime nazioni per stimolo pubblico diretto o indiretto per le imprese ma rimane a un livello basso per gli investimenti del settore privato. Il Belpaese viene definito un “innovatore moderato” mentre l’Inghilterra, marcata dal colore verde chiaro, un “innovatore forte”.
Il dibattito attuale in Regno Unito si incentra appunto attorno al dopo super-deduzione, il cui termine è ancora fissato ad aprile 2023. La questione è come sostituire tale strumento, giacché la CBI avverte che con l’interruzione di tale incentivo e l’aumento delle imposte sulle società entro l’autunno 2023 gli investimenti delle imprese britanniche potrebbero precipitare all’ultimo posto fra i paesi del G7. La Confindustria britannica sostiene al contrario che la normalizzazione di tale strumento può contribuire all’aumento degli investimenti privati fino a 40 miliardi di sterline annue entro il 2026.
Il contesto economico e geo-politico del Regno Unito
La preoccupazione è che questa soluzione possa avere ripercussioni sull’impennata in corso dell’inflazione, aumentando drammaticamente il costo della vita e costringendo la Banca d’Inghilterra a rialzare i tassi, rendendo ancora più caro il proprio debito. All’orizzonte non c’è ancora una decisione su cosa sostituirà la super-deduzione, benché sicuramente vi sarà una sua riformulazione per agevolare gli investimenti nella ricerca, l’innovazione e la formazione del personale. Il contenzioso sull’Irlanda del Nord tra Regno Unito e UE ha comportato l’esclusione delle università britanniche dalla partecipazione dei bandi Horizon per un valore di 95 miliardi di euro. Il Russell Group, associazione rappresentante 24 delle università a più alto tasso di ricerca, ha posto all’attenzione di Boris Johnson quanto la partecipazione degli atenei britannici ai fondi europei sia un elemento chiave dell’obiettivo di fare del Regno Unito una “superpotenza della scienza”.
Il Paese si trova di fronte al paradosso di essere fra le nazioni più attraenti per gli investimenti esteri e per la circolazione dei capitali finanziari, senza tuttavia riuscire a incentivare strutturalmente l’investimento delle imprese e dei capitali domestici. Ciò è dettato dalla schizofrenia ancora imperante tra sicurezza nazionale e interessi economici strategici. Ne è un esempio il recente caso della Newport Wafer Fab, impianto di produzione di fogli di silicone assemblati poi in chip in Asia, che rischia di essere ceduto alla Nexperia, una sussidiaria olandese della società cinese Wingtech. Il caso ha persino attratto l’attenzione di nove membri del Congresso americano che lo hanno segnalato direttamente al presidente Joe Biden.
La filiera dei semiconduttori è il prisma su cui si articola la guerra geo-economica sino-americana. Il colosso anglo-giapponese ARM detiene tecnologie di punta per il design dei chip, la cui società proprietaria SoftBank, del giapponese Masayoshi Son, potrebbe spingere per entrare in borsa nella piazza di New York. Il governo britannico risulta così capace di sviluppare strategie per l’innovazione, ma privo degli strumenti per proteggere i propri gioielli della Corona.
Jeremy Rifkin: l’Italia col PNRR deve puntare su investimenti infrastrutturali
La peculiarità del tessuto economico italiano fa sì che molte misure adottate dal Governo per incentivare investimenti e sviluppo in favore della transizione energetica non vengano sfruttate a pieno. Le piccole e medie imprese spesso non riescono ad accedere agli incentivi per la complessità burocratica di richiesta. Stessa cosa per i diversi bandi europei. Questo potrebbe spiegare il minore tasso di conversione di stimoli diretti o indiretti dello Stato italiano per l’aumento degli investimenti privati.
Inoltre, il margine fiscale aperto dalle misure delle politiche pandemiche europee si è tradotto in regimi nazionali di sussidi a breve termine. C’è però l’eccezione del Regno Unito, la cui indipendenza dalle dinamiche top-down delle decisioni europee ha consentito di limitare i confinamenti e introdurre una misura di più lungo termine quale la super-deduzione sull’investimento.
Nella congiuntura attuale, l’Italia si trova con oltre 230 miliardi di euro di fondi europei, sui quali Jeremy Rifkin è ritornato più volte durante i suoi interventi l’11 maggio 2022 al Salone del Risparmio a Milano. L’Italia – in quanto inserita nell’architettura delle istituzioni europee – non può avere lo stesso margine di manovra del Regno Unito, però può seguire il suggerimento di Rifkin. Egli sottolinea come non sia stato ancora annunciato nessun piano di investimenti infrastrutturali su cui l’Italia dovrebbe puntare e in particolare sull’innovazione digitale, la banda larga, le politiche per il Mezzogiorno e le infrastrutture necessarie per la transizione energetica.
Negli ultimi giorni, Draghi si è visto costretto a convocare con urgenza un Consiglio dei ministri per porre i partiti di fronte alla possibilità di perdere tali fondi europei perché le riforme necessarie per averne accesso sono ancora bloccate dall’iter parlamentare. L’esigenza di passare attraverso un DdL per la riforma sulla Concorrenza rivela la mancanza di prospettiva strategica per la crescita degli attuali rappresentanti politici italiani. Si discute ancora per l’attivazione di tali fondi, ma non si ha ancora un piano di investimento e una visione politica per fare potenzialmente dell’Italia un Paese leader nell’innovazione. Che non può prescindere dal quadro delle istituzioni europee.
L’introduzione di una deduzione degli investimenti dalle imposte di società è condizionata da tali istituzioni e finché non avrà luogo una semplificazione delle procedure burocratiche per l’erogazione dei crediti (o agevolazioni fiscali) sarà difficilmente pensabile tale introduzione strutturale su larga scala. Gli stimoli fiscali e l’erogazione dei crediti sono ad oggi concepiti a tempo determinato, o comunque previa domanda secondo casi specifici, cioè non operano mai a livello strutturale. La deduzione degli investimenti implicherebbe una trasformazione dell’economia politica, che l’Italia può soltanto modulare secondo le direzioni prese dalle istituzioni europee. Il PNRR può essere un primo passo, se l’Italia lo gioca bene.
Edoardo Toffoletto
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