venerdì, 26 Aprile 2024

Russia o Cina: qual è il vero rivale degli Stati Uniti in Asia?

russia

Russia Cina e Stati Uniti. In tempi di pandemia e di guerra che provocano scontri economici globali, il termine geopolitica è soggetto a rivisitazioni e spesso anche ad usi impropri. Com’è possibile orientarsi? Prova a fornire i giusti strumenti per farlo, Mirko Mussetti, analista di geopolitica e geostrategia, nel suo nuovo libro La rosa geopolitica. Economonia, strategie e cultura delle relazioni internazionali.

«Ho delineato una rosa di direzioni e di conflitti, soffermandomi sulle tre tipologie di conflitti ibridi. Come in geografia ci sono quattro punti cardinali e infinite direzioni, anche nella geopolitica esistono tre tipologie di conflitto ibrido, ma infinite tecniche per la guerra», spiega l’autore.

«I conflitti ibridi sono la guerra economica, la guerra cognitiva e il global marketing. Nel mio libro parlo dell’importanza delle amity lines (linee d’amicizia) e delle linee rosse. Il Presidente russo Vladimir Putin non ha fatto altro che parlare di linee rosse per tutto il 2021. Mentre le amity lines devono essere lunghe e ben dettagliate, perché condivise tra potenze, le linee rosse devono essere il più corte e rette possibile tra due elementi inalienabili. Nel caso della Russia, gli elementi inalienabili sono il Mar Baltico e il Mar Nero, che non possono certo essere spostati. La linea deve essere corta perché così è più facile da difendere e implica un minor uso di risorse. Una linea rossa però a differenza di un’amity line non è condivisa, ma è unilaterale. Una potenza fissa il perimetro che le altre potenze non devono superare. Se viene superata una linea rossa, nella migliore delle ipotesi subentra una reazione simmetrica e reciproca, nella peggiore si arriva all’escalation. Noi siamo arrivati all’escalation e quindi alla guerra, all’uso della forza, perché la Russia ha sentito violata la propria linea».

Che previsioni si possono fare sulla fine della guerra tra Russia ed Ucraina?

«Secondo me l’obiettivo degli Stati Uniti, vero rivale agli occhi della Russia, non è impedirle il raggiungimento dei propri scopi, ovvero di attestarsi lungo l’istmo d’Europa, la linea rossa più breve tra il Mar Baltico e il Mar Nero, ma fare in modo che lo faccia nel modo più logorante possibile».

Ovvero?

«Il vero scopo degli Stati Uniti è quello di logorare la potenza russa senza esagerare, per non innescare una reazione nucleare. L’Ucraina non è mai stata strategica per gli Stati Uniti ed è sempre stata considerata sacrificabile. Lo ha dimostrato attraverso la NATO che le ha voltato le spalle. Non è però sacrificabile per i Russi, che invece la vogliono a tutti i costi. La formazione di un grande esercito in un bassopiano come quello ucraino significa deteriorare la sicurezza della Russia».

Geoeconomia, geostrategia e geocultura sono tre fattori indispensabili per lo sviluppo?

«Sono le tre branche su cui si suddivide la geopolitica. La geoeconomia è il campo dell’efficienza ed è in contrasto con l’arco dell’efficacia, tipico della strategia e della cultura. L’economia si fonda sull’efficienza mentre strategia e cultura no. In guerra non si può andare al risparmio ma si deve usare tutto quello si ha per perseguire l’obiettivo. Lo stesso dal punto di vista culturale: non si può andare a lesinare su essenza e identità altrimenti si finisce per scomparire. Per quanto riguarda la geostrategia è il campo dell’hard power, del potere duro, in contrasto con il soft power tipico dell’economia  e della cultura. In ultima analisi la cultura è il campo più immateriale della geopolitica, quello non tangibile, in contrasto con quello materiale, fatto di economia, risorse e strategia. La geocultura rispecchia l’ambito più spirituale delle nazioni. Ma attenzione, spirituale non significa evanescente perché la geocultura ha sempre l’ultima parola nella geopolitica. La lingua e la religione sono determinanti nella traiettoria delle nazioni. Le tre branche sono molto simmetriche tra loro e ognuna ha il proprio ruolo, tuttavia è il tempo la vera discriminante. Gli effetti delle politiche geoeconomiche sono immediati o a breve termine, gli obiettivi strategici sono nel medio periodo mentre quelli geoculturali nel lungo periodo. Il fattore determinante che divide le tre branche è proprio il fattore tempo ed è questo che rende impossibile ad ogni nazione evitare la ciclicità degli imperi. Una realtà per essere sana e forte deve avere geopolitiche economiche, strategiche e culturali molto valide ed esaurienti».

Quali sono le nazioni che hanno maggior equilibrio tra questi tre fattori?

«Sono gli imperi, ovvero che hanno una concezione che va oltre i propri confini nazionali. Sono di solito nazioni cardinali, come gli Stati Uniti o la Cina, anche se è un Paese storicamente fissa e non cardinale, che tende a non andare oltre il proprio spazio geopolitico. E poi la Russia, che si contrappone agli Stati Uniti per la sua tipologia. Ci sono le nazioni talassocratiche, ovvero attinenti al dominio dei mari, tellurocratiche, che espandono la propria potenza su terra, e quelle ibride che si dividono tra terra e mare, come per esempio la Francia. È una potenza di terra a tutti gli effetti in quanto nel cuore del continente europeo, ma che ha sempre cercato una proiezione marittima. Se volessimo fare un esempio storico sarebbe Sparta di terra, Atene di mare e Argo ibrida».

Che ruolo gioca il controllo dei corridoi terrestri e degli stretti marittimi?

«È un aspetto fondamentale. Gli stretti marittimi sono essenziali per le potenze di mare. Gli Stati Uniti infatti tendono a dominarli per irretire il mondo sotto la propria influenza. Le potenze di terra invece cercano di dotarsi di corridoi terrestri che sono in grado di aggirare gli stretti. La Cina punta al corridoio Cina-Pakistan per raggiungere l’Oceano Indiano via terra e non rischiare lo scontro con gli Stati Uniti». 

Guardando al futuro, un eventuale scontro militare a Taiwan con la Cina potrebbe essere la svolta nella contrapposizione tra il Paese di Xi Jinping e gli Stati Uniti?

«Indubbiamente lo sarebbe. Anche per questa ragione gli Stati Uniti non vogliono impegnare troppe risorse sul vecchio continente ed è per questo che aiutano l’Ucraina il minimo indispensabile. C’è un dispiegamento di truppe statunitensi in Europa ma comunque contenuto, spesso più simbolico che altro. Questo perché gli Stati Uniti sono una grande potenza, realmente globale. Uno dei teatri più sensibili è proprio quello del Mar Cinese Meridionale, dove c’è Taiwan. Per questo gli Stati Uniti non possono lasciarsi distrarre completamente dalla questione ucraina, a differenza dei Paesi gregari come Polonia e Romania. Se succedesse qualcosa a Taiwan potrebbe essere davvero rivoluzionario per il sistema delle relazioni internazionali, perché vedrebbe lo scontro tra le due più grandi potenze del mondo, ovvero gli Stati Uniti e la Cina. Per gli Stati Uniti il vero rivale non è la Russia, ma la Cina».                       ©

Matteo
Martinasso