venerdì, 29 Marzo 2024

Italia ai primi posti per disoccupazione, ma a certe spese non si rinuncia

DiMario Catalano

1 Settembre 2022
disoccupazione

Ai primi posti per disoccupazione (20,5% quella giovanile), il nostro Paese si distingue anche per evasione fiscale, lavoratori in nero, NEET (1 giovane su 4 tra i 15 e i 35 anni non lavora). Non solo, siamo secondi solo alla Grecia, in Europa, per debito pubblico. «Parlare di poveri, di redistribuire soldi che non ci sono, di tassare di più gli odiati ricchi, porta consensi e plausi, fa fare la figura dei buoni e mantiene alta la simpatia; parlare di doveri fa perdere consenso. Così facendo però si “dopa” il Paese con metadone di Stato, l’Italia diverrà terreno di conquista e i giovani perderanno libertà e democrazia», dice Alberto Brambilla, economista e Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, autore di Il consenso a tutti i costi (edito da Guerini e Associati). «Più lo Stato spende in assistenza e più aumentano i poveri, meno tasse e contributi si pagano e più benefici si ottengono dallo Stato».

Gli ultimi dati parlano di massimo storico di povertà assoluta in Italia: 5,6 milioni di persone. Cresce la percentuale al Sud e nelle famiglie numerose. Meglio al Nord e dove c’è almeno un anziano. Quanto peserà l’inflazione e come accorciare la forbice tra Nord e Sud?

«Prima di tutto dobbiamo fare un’osservazione: nel 2008 spendevamo 73 miliardi a carico della fiscalità generale per l’assistenza e la lotta all’esclusione sociale e all’epoca le persone in povertà assoluta (quelli che non arrivano alla seconda settimana del mese) censite da Istat erano due milioni e 100mila. Nel 2019 abbiamo speso 115 miliardi, con un incremento del 57%) ma i soggetti in povertà assoluta sono saliti fino a 4,7 milioni di individui; se a questi sommiamo chi è in povertà relativa (quelli che faticano ad arrivare alla terza settimana del mese), che sono altri 8,9 milioni di soggetti, scopriamo che quasi il 25% della popolazione italiana fatica a mangiare. Se fosse vero, avremmo l’assalto ai forni di manzoniana memoria e ai supermercati».

Numeri non veritieri?

«Penso che la metodica di rilevazione, fondata su una semplice autodichiarazione somministrata a un numero molto ridotto di famiglie (circa 25mila) scelte con un sorteggio scientifico, sia assolutamente insufficiente anche se simile a quella di altri Paesi UE. È diversa la popolazione e soprattutto gli italiani hanno il record dell’evasione fiscale e contributiva, fenomeno molto frequente al Sud dove quasi una famiglia su due sarebbe povera; è difficile che un intervistato dica quanti soldi spende per andare a mangiare la pizza o in gioco d’azzardo o per altre spese poco comprensibili in un’ipotetica situazione di povertà, anche per la paura di perdere i mille sussidi erogati senza controllo dalle pubbliche amministrazioni».

Quest’ultimo è un fenomeno sempre più in crescita in Italia…

«Secondo quanto riportato dall’Agenzia dei monopoli nel Belpaese per il gioco d’azzardo, regolare e irregolare, gli italiani spendono 130 miliardi, molto più di quanto costa la sanità, e sono nei primi tre posti delle classifiche mondiali della spesa per i giochi d’azzardo».

Non è l’unica anomalia…

«È mai possibile che siamo così poveri se spendiamo moltissimo per giochi, lotto, lotterie, gratta e vinci, macchinette ecc. e secondo i dati Eurostat e l’Ocse siamo ai primi posti per possesso di animali da compagnia, per consumi di droga, per chirurgia estetica e palestre? I contratti di telefonia mobile sono pari al 130% della popolazione, il che significa che abbiamo più di un contratto per abitante, e almeno il 97% degli italiani possiede un cellulare, spesso di ultima generazione, mentre una buona percentuale ne possiede due o più. Se mettiamo insieme questi dati con il tasso di evasione fiscale e con la spesa pubblica per bonus e sussidi, i nostri benpensanti (politici, sindacati e media) dovrebbero rendersi conto che qualcosa non va. Dobbiamo chiedercelo altrimenti continuiamo a elargire reddito di cittadinanza e poi, aperta finalmente la stagione turistica, non si trova nessuno disposto a lavorare».

Anche il calcolo di disoccupazione e occupazione sarebbe inefficace?

«È una metodica del 1900, fa comodo alla politica, alla Chiesa e ai sindacati perché più poveri ci sono più possono promettere: reddito di cittadinanza, bonus di tutti i tipi, rivalutazione delle pensioni, tutti argomenti che servono per catturare il consenso politico, che però svanisce in fretta perché le promesse sono grandi bugie anche se costose per lo Stato: il bonus Renzi ci costa 10 miliardi l’anno dal 2016, a cui aggiungere circa 20 miliardi di decontribuzione e bonus vari (un botto da oltre 60 miliardi). Il che, peraltro, ha consentito all’ex sindaco di Firenze di ottenere il 40% alle elezioni europee, percentuale dimezzata dopo soli tre anni. Poi è arrivato il Movimento 5 Stelle che ha promesso il reddito di cittadinanza raggiungendo il 33% alle politiche (100% in Sicilia), ridottosi in meno di tre anni al 13% ma con un costo complessivo per la collettività di oltre 23 miliardi; poi la Lega, con Quota 100, balza al 37% nei sondaggi e poco sotto alle Europee del 2019 ma oggi veleggia, dopo meno di tre anni, al 13% (il costo in tre anni tra flat tax e Quota 100 è di oltre 25 miliardi). Eppure, la gente continua a votare chi la spara più grossa, salvo pentirsi dopo poco e la colpa è si degli elettori ma anche di politica media e dintorni».

NEET: l’Italia è prima in Europa con oltre tre milioni di giovani. Quanto pesano sull’economia e quanto questo fattore potrebbe portare a un aumento di disoccupati e una carenza di capacità specifiche per chi cerca lavoro?

«Nel nostro Paese manca il personale che fa il cameriere e il lavapiatti. Nessuno vuole più fare questi lavori. Alcuni italiani tra politici, religiosi, media, sindacati vorrebbero addirittura più immigrati per il lavoro che “la nobiltà italiana fallita” non vorrebbe più fare: il peggiore dei razzismi e degli schiavismi possibili ma, di nuovo, i benpensanti tacciono. Se facessimo così avremmo come pessimo risultato il più alto tasso di immigrati e disoccupati. Bisogna anche sottolineare un aspetto importante: quello che manca da noi è un sistema adeguato di politiche attive e di incontro tra domanda e offerta di lavoro. Non solo. L’Ocse ci ricorda che siamo tra i pochi ad aver visto calare i redditi da lavoro in termini reali del 2,9%, nemmeno Grecia, Malta o Cipro hanno fatto così. Stiamo parlando di dati che io considero esplosivi. Non dobbiamo stare dietro ai talk show. Fortunatamente negli ultimi mesi siamo stati miracolati e abbiamo avuto il Governo guidato da Mario Draghi ma gli ultimi esecutivi sono stati pessimi per l’economia e lo sviluppo del Paese».

Il debito pubblico italiano ha superato i 2.750 miliardi di euro. Quale sarà l’effetto dello scudo anti spread?

«Se, come “da programmi” la Banca Centrale concluderà il Quantitative Easing e progressivamente, come la FED, aumenterà i tassi di interesse sul reddito fisso, per l’Italia saranno problemi gravi dovendo ogni anno rinnovare fino a 470 miliardi di titoli di Stato in scadenza. L’unico scudo contro lo spread è non ascoltare i politici che vogliono continuamente fare scostamenti di bilancio (cioè nuovo debito). I giovani devono scendere in piazza per contrastare il debito pubblico che porterà al default».

Il tasso di disoccupazione si attesta all’8,4%, mentre tra i giovani è al 23,8%. Come incentivare l’occupazione giovanile?

«La Francia ha i nostri stessi abitanti e lavorano in 34 milioni. In Germania, su 80 milioni ne lavorano più di 40; in Italia arriviamo a malapena a 23 milioni. E a questo aggiungiamo il 25% dei giovani (3 milioni e 100mila) che sono NEET: non studiano, non lavorano e non frequentano percorsi formativi. È evidente che nel nostro Paese tra reddito di cittadinanza, cassa integrazione e ammortizzatori sociali, viene incentivata una quantità enorme di persone a non cercare lavoro pur di beneficiare dei mille sussidi che sono totalmente fuori controllo. Se l’Europa ha una media del 67% del tasso di occupazione e noi del 59% ci sarà un perché».

Cosa bisogna fare per cambiare rotta?

«Elargire meno sussidi e realizzare finalmente banche dati che censiscano e controllino dove vanno a finire i 155 miliardi di spesa a carico della fiscalità generale, gli oltre 10 miliardi di spesa assistenziale degli enti locali e i 7 dell’AUUF, che costituiscono un’immissione nel sistema Italia di oltre 170 miliardi esentasse. Sono risorse che lo Stato immette nell’economia “in nero”, che non vengono dichiarati. Se si abbassassero queste somme aumenterebbe l’occupazione. Distribuendo importi superiori a 600-700 euro chi vuole andare a lavorare? Nessuno». ©

Mario Catalano

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