venerdì, 19 Aprile 2024

La tecno-fede darà le chiavi del mondo ai robot

Sommario
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La tecnologia non sempre è chiara e trasparente. E noi viviamo in un ecosistema digitale dove non ci sono ancora regole definite e aggiornate. «Da questo nasce la tecno-diffidenza», spiega Giorgio Bartolomucci, autore del libro “Non mi fido”, edito da Headmaster International e Segretario Generale del Festival della Diplomazia.

«Ogni giorno siamo informati riguardo i pericoli del digitale. Ma soffermandosi sui singoli rischi si perde il quadro d’insieme. L’intensificazione delle nostre relazioni con gli strumenti digitali ha preparato la strada per il Metaverso. Non il punto di arrivo, ma il vettore per immergerci in un mondo reale dipendente dalla tecnologia. Così ci abitueremo a far gestire la nostra vita alla macchine, a vivere in maniera etero diretta. Perderemo progressivamente la memoria, sostituita da un device, così come l’indipendenza decisionale».

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Non cambiare è un’opzione?

«La risposta arriva dal titolo di questa edizione del Festival, “Transizioni e Contraddizioni”. Si deve cambiare, ma come farlo in meglio? La guerra ha accentuato e messo in evidenza questioni esistenti. Ad esempio, chi paga i costi della transizione energetica e come realizzare gli obiettivi prefissati. In passato si è cercato di rispondere alle richieste che venivano dalla piazza, per esempio nella lotta ai cambiamenti climatici, accogliendo richieste legittime provenienti dalla società civile. Si è messo in secondo ordine l’aspetto economico.

La sostenibilità difficilmente è realizzabile oggi, di fronte alla crisi generale che stiamo vivendo. Crisi che investe anche la globalizzazione, che erroneamente speravamo potesse fronteggiare la povertà. Si inizia a parlare di globalizzazione regionale, ma emergono alleanze sull’innovazione tecnologica che tendono ad escludere alcuni Paesi. Ad esempio nella ricerca spaziale, l’Internet of Things e il machine learning. Trasformazioni che sono state sollecitate da forze che avevano l’interesse, economico e geo-politico, di affermare la propria leadership».

Parliamo della tecno-diffidenza

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«La tecnologia ha un ruolo centrale per risolvere diversi problemi. Ma imporre lo SPID dall’alto ignorando che esiste una popolazione che ha una difficoltà ad utilizzarlo non ha senso. I rischi reali e percepiti sono descritti dettagliatamente nel Libro Bianco sull’Intelligenza Artificiale dell’Unione Europea. Una descrizione che dovrebbe metterci in allarme, ma l’Europa dice: fidatevi di noi perché controlleremo. La stessa UE investe miliardi di euro nello sviluppo di sistemi sempre più smart, oltre a rendere la nostra industria e ricerca all’altezza degli altri Paesi. Così nasce la tecno-diffidenza. Il timore è che le tecnologie possano essere usate in modo poco utile o etico, le rassicurazioni dei Governanti europei non bastano. È difficile che l’aggiornamento delle normative possa essere altrettanto rapido quanto il progresso tecnologico».

Come creare una cultura digitale in opposizione alla tecno-fede?

«Oggi ci troviamo di fronte alla scelta se accettare il progresso tecnologico senza porsi domande o guardarlo in modo critico. Nel primo caso, questo vuol dire accettare che l’uomo perda la propria centralità e venga messo da parte nel processo decisionale. Nasceranno problemi di responsabilità civile.

L’utopia che la tecnologia possa risolvere i problemi del mondo è un modo di prepararci a uno scenario in parte distopico. L’unico modo per difendersi da un processo che non ha una sola fonte di produzione, dalla piccola startup alla grande compagnia californiana, è sviluppare una capacità che non ti faccia cadere nella “trappola tecnologica”. Bisogna imparare a dubitare e prendere le distanze dagli ultimi prodotti di mercato, sviluppare senso critico. Penso ci siano persone predisposte ai cambiamenti e altre che non hanno la struttura neuro biologica per adattarsi. Per loro la tecno-diffidenza è uno strumento di difesa dai pericoli digitali, poiché non si sentono abbastanza tutelati.

Pesa l’assenza di trasparenza su dove finiscono e come vengono gestiti i nostri dati. Un bene che stiamo svendendo in cambio di vantaggi e promozioni. Per non parlare del fatto che investiamo miliardi per istruire i bambini su come usare gli strumenti digitali, ma rischiamo che diventino dipendenti da una socializzazione online che gli impedisce di avere relazioni personali».

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Si aprono “scenari digitali inquietanti”, riprendendo il titolo di un capitolo.

«Il cambiamento è inevitabile e sta coinvolgendo tutto: cultura, organizzazione della società, modelli di business. Dobbiamo accettarlo con ottimismo, ma le innovazioni portano con sé contraddizioni, ad esempio la Gig Economy si basa sul lavoro precario, spesso sfruttato. Rischiamo di preparare le condizioni per un mondo governato da un potere autocratico gestito dai grandi gruppi digitali. Realtà che si espandono a tutti gli aspetti della quotidianità. Le diagnosi saranno fatte dalle macchine, i medici avranno un ruolo marginale nel processo decisionale. La vera sfida è trovare un equilibrio tra possibilità tecnologiche e garanzie etiche e giuridiche. Non possiamo pensare al progresso senza la redistribuzione del benessere, senza un’etica dell’innovazione. Chi può contrastare questi poteri? Questo è il vero quesito. La geopolitica dell’innovazione sta creando realtà che sfuggono al controllo degli Stati».

Come superare le contraddizioni dello sviluppo tecnologico e raggiungere la pubblica utilità della tecnica?

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«I nuovi sistemi, in particolare quelli basati sull’Intelligenza Artificiale, stanno già modificando l’essenza stessa dell’umanità. Il problema è quali strumenti hai per intervenire. Non c’è una vera capacità della società di contenere queste forze. Alcuni grandi gruppi si stanno tutelando chiedendo agli Stati di alzare gli standard di sicurezza per assicurare che le innovazioni siano antropocentriche.

Può sembrare un gesto etico, così facendo si rischia però di eliminare la concorrenza dei player minori, che difficilmente potrebbero far fronte a questi costi. Questo aprirebbe la strada all’acquisto da parte delle big tech, escludendo così dal mercato le aziende più piccole.

Non si tratta di essere catastrofici, ma di rendersi conto del fatto che il nostro spazio di libertà si sta riducendo. Non puoi più comprare un viaggio se non in rete. Moltissima attività turistiche stanno chiudendo, le agenzie di viaggio sono allo stremo. L’ecommerce ha messo in ginocchio migliaia di piccole aziende, anche i centri commerciali sono in sofferenza». ©

📩 [email protected]. Il mio motto è "Scribo ergo sum". Mi laureo in "Mediazione Linguistica e Interculturale" e "Editoria e Scrittura" presso La Sapienza, specializzandomi in giornalismo d’inchiesta, culturale e scientifico. Per il Bollettino mi occupo di energia e innovazione, i miei cavalli di battaglia, ma scrivo anche di libri, spazio, crypto, sport e food. Scrivo per Istituto per la competitività (I-Com), Istituto per la Cultura dell'Innovazione (ICINN) e Innovative Publishing. Collaboro con Energia Oltre, Nuova Energia, Staffetta Quotidiana, Policy Maker e Giano.news.