martedì, 16 Aprile 2024

Togni: «Basta stop all’eolico, definiamo criteri di mitigazione»

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ll vento non sfugge alla crisi. Rallentano gli investimenti e le nuove autorizzazioni per infrastrutture di produzione di energia eolica. Una fonte che permetterebbe di ridurre le bollette e velocizzare la decarbonizzazione. Inefficienza dell’apparato autorizzativo, aumento dei prezzi di energia e materie prime e norme nazionali penalizzanti rischiano di mandare in fumo il potenziale dell’eolico. «Assistiamo a una situazione paradossale. L’aumento delle tecnologie per produrre energia del 30% si contrappone a una riduzione dei profitti, che non consente investimenti», spiega Simone Togni, Presidente dell’Associazione Nazionale Energia dal Vento (ANEV).

Quanto pesa la crisi globale sulla filiera dell’eolico?

«Molto. Negli ultimi 2 anni abbiamo vissuto una situazione drammatica per il COVID, che ha fatto aumentare in maniera importante i costi di manutenzione degli impianti, determinando un’esplosione dei costi di produzione dell’energia eolica. A questo si aggiunge lo stop del Paese dovuto al Covid-19, che ha dato la stangata finale al settore. Oltre 1 anno di prezzi dell’energia molto bassi, che non hanno permesso di far tornare gli investimenti. L’esplosione dei costi dell’energia di questi mesi avrebbe consentito di recuperare le perdite dell’anno scorso, se non fosse che i provvedimenti approvati dal Governo precedente hanno tagliato due volte i profitti degli impianti. Prima fissando il prezzo massimo dell’energia a 58 €/MWh, molto basso, poi tagliando gli “extraprofitti” per le imprese energetiche. A questo si aggiunge l’esplosione dei costi delle materie prime, che ha pesato ancora di più sul fatturato».

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Parliamo del problema autorizzazioni nel settore eolico

«C’è una situazione di stallo difficile da capire. Da un lato dobbiamo combattere le crisi di clima, ambiente e costo dell’energia. Possediamo fonti, come l’eolico e il fotovoltaico, che rispondono a queste esigenze. Le infrastrutture eoliche permettono di produrre energia senza emettere gas climalteranti o inquinanti. Inoltre, hanno un costo di produzione molto più basso rispetto alle fonti fossili. Nonostante questo, non si riesce a installare nuovi impianti perché la burocrazia italiana fa sì che l’iter autorizzativo si protragga per non meno di 5 anni, mediamente 5 anni e 6 mesi. Tempistiche non in linea con la direttiva europea, che prevede che il processo si concluda in meno di 2 anni. È un tema che tutti i Governi dicono di voler affrontare ma alla fine non si riesce a fare. È necessario rendere il processo autorizzativo chiaro e trasparente. Un iter che impegni le Sovrintendenze a definire criteri da imporre agli impianti piuttosto che bloccarli senza alcun tipo di giustificazione, come successo in questi anni».

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Quanti GW di progetti sono in standby?

«In Italia abbiamo 11 GW di potenza eolica installata. L’obiettivo al 2030 è di raddoppiare questo numero. Tuttavia, procediamo a una velocità che non è assolutamente sufficiente a raggiungerlo, poiché le nuove autorizzazioni stentano ad arrivare. Basti pensare che in Italia ci sono circa 5 GW di progetti onshore pronti per essere realizzati ma fermi dopo aver finito l’iter autorizzativo. La situazione non si sblocca per un problema di competenza tra Ministero della Cultura e tutti gli altri enti. Per quanto riguarda l’offshore invece, al momento non ci sono dei processi autorizzativi avanzati perché le tecnologie marine sono recenti, ma ci aspettiamo ritardi burocratici. Questo è il punto su cui dobbiamo intervenire».

Cosa si può fare per sbloccare le autorizzazioni?

«Il legislatore dovrebbe spingere la normativa verso un percorso di maggiore trasparenza e, soprattutto, individuare criteri che indichino quali interventi di mitigazione il proponente deve prendere per realizzare l’impianto, rendendolo compatibile con il vincolo paesaggistico».

Quali benefici porterebbe velocizzare l’iter autorizzativo?

«La riduzione dei costi è il primo elemento, perché chiaramente un progetto fermo 5 anni crea costi ai proponenti che si ripercuotono sul prezzo dell’energia prodotta. In secondo luogo consentirebbe di velocizzare l’indipendenza energetica dai combustibili fossili. In particolare da quelli provenienti da Paesi ad alto rischio geopolitico, parlando dell’attualità. C’è anche un aspetto ambientale e climatico del quale ci stiamo un po’ dimenticando, che rappresenta forse la sfida principale».

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L’eolico offshore floating rappresenta una tecnologia con ottime prospettive di sviluppo. A che punto siamo?

«La tecnologia flottante per le applicazioni marine dell’eolico ha aperto il mercato italiano ed europeo dell’offshore. Il Mar Mediterraneo è complesso per le pale ancorate al fondale. Il floating ha un potenziale importante perché queste strutture permettono l’installazione a diversi chilometri dalla costa. Oggi ci sono richieste di progetti per oltre 50 GW, cinque volte l’installato su terraferma. È evidente che sono ancora idee, perché sta iniziando questo processo, non tutti potranno arrivare a compimento. ANEV stima un potenziale per l’eolico offshore superiore a 10 GW di potenza».

Le infrastrutture energetiche sono tra le più affette dal fenomeno Nimby. Come superare questo problema?

«Le infrastrutture energetiche sono maggiormente avversate anche perché, purtroppo, sono le uniche opere che sono state realizzate. L’impatto paesaggistico esiste, ma si dovrebbe passare da un’analisi d’impatto in termini assoluti a un’analisi in termini relativi. L’impianto eolico si vede da una certa distanza e il punto su cui bisogna fare chiarezza è: la riduzione del bene paesaggistico è prevalente rispetto alla necessità di salvaguardare l’ambiente e il Pianeta, ridurre le bollette, sostituire le fonti fossili con fonti green? Questa è la scelta sulla quale ci dobbiamo interrogare. I nostri Governanti europei hanno già risolto, poiché hanno deciso che la decarbonizzazione deve essere realizzata in tempi rapidi e questo si deve fare sfruttando le rinnovabili. A livello nazionale, invece, l’Italia è ancora indietro».

Quali benefici porta un impianto eolico alle comunità locali?

«Gli impianti rinnovabili corrispondono il 3% del fatturato alle comunità locali che ospitano gli impianti. Inoltre, vengono fatte donazioni da parte dei proprietari delle infrastrutture alle comunità, in forma di mezzi, opere per la popolazione. Il Comune che ospita l’impianto gestisce i fondi in vari modi, ad esempio ridurre le tasse locali e abbassare il costo della bollette. ©

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