L’anno che viene sarà, per molte ragioni, un anno cruciale. Nella ripresa postpandemica come nella lotta al cambiamento climatico, nelle transizioni ecologica ed energetica come nella diplomazia internazionale. Secondo Standard & Poor’s, nel 2023 il PIL italiano calerà dell’1,1%, con una frenata legata soprattutto all’inflazione in aumento e alla crisi energetica. Più ottimista è l’ISTAT, che prevede nel 2023 una lieve crescita dello 0,3%. Nell’uno o nell’altro caso, la frenata rispetto alla crescita del 3,8 % stimata per il 2022 è evidente. Per le imprese italiane si prospetta un periodo critico, in cui dovranno prendere decisioni chiave riguardo al loro futuro per riuscire a navigare le correnti opposte di un’inflazione ancora altissima e di tassi d’interesse in aumento. Il rischio è altissimo, ma potrebbe essere l’occasione perfetta per imprimere definitivamente al Paese la svolta in senso di transizione ecologica e digitale auspicata nel Next Generation EU. D’altronde, se c’è una cosa che ci ha insegnato l’anno passato è a prepararsi a uno scenario sempre più incerto e sempre meno prevedibile. Sul fronte sanitario, il 2022 è stato l’anno in cui finalmente la pandemia è diventata endemia, cioè una malattia ormai costantemente presente nella vita di ciascuno di noi. Allo stesso modo, il dizionario Collins, scegliendo tra i neologismi coniati la parola dell’anno, ha etichettato quello passato come l’anno della ‘permacrisis’, la crisi permanente. In parte è la “tempesta perfetta” che molti, specie nella finanza, si aspettavano, ma sono diversi gli eventi che hanno contribuito a trasformarla in uragano. Ecco quelli più importanti da cui aspettarsi conseguenze anche nel 2023.
Conflitto in Ucraina
L’invasione dell’Ucraina intrapresa dalla Russia a partire dallo scorso 24 febbraio è il vero e proprio cigno nero di quest’anno. Le sue conseguenze, aggravate dalla concomitanza con la ripresa dalla pandemia, sono sia dirette sia indirette. L’ISPI, Istituto per gli studi di politica internazionale, stima i costi diretti del conflitto e degli aiuti all’Ucraina in circa 82 miliardi di dollari per la Russia, 52 per gli USA e 25 per l’UE. Ma, come se queste cifre non bastassero, le implicazioni indirette hanno visto combattersi un altro conflitto, specie in Europa, sui prezzi del gas e dell’energia in generale. Se il prezzo del gas naturale in Europa secondo l’indice olandese TTF stava a 8,87 euro al megawattora prima della pandemia e a circa 80 alla vigilia della guerra, oggi i prezzi superano abbondantemente i 100 euro a mWh dopo picchi vicini ai 300. Un fattore che ha alzato follemente i costi per le imprese, soprattutto nell’industria, già gravate dalla pandemia. Tuttora, sia sui campi di battaglia sia nelle aule parlamentari, la questione è lungi dall’essere risolta. Anche se Kiev ribadisce di essere aperta a trattative, per ora i tavoli diplomatici hanno prodotto poco. D’altra parte, nemmeno interrompere la guerra ora potrebbe evitare gran parte delle conseguenze economiche che porta. Per questo, il fronte con gli sviluppi più interessanti potrebbe essere quello economico, delle soluzioni che UE e singoli stati adotteranno per contrastare i rincari.
Inflazione, PIL e BCE
Il conflitto in Ucraina non ha fatto altro che peggiorare una dinamica già molto delicata come quella inflattiva. Come atteso, la massa enorme di aiuti del post-pandemia, pur stimolando la crescita, ha inondato il mercato di una massa di denaro che ha completamente cambiato le dinamiche. Abituati all’inflazione bassissima degli anni ’10, ci troviamo ora a un +8% circa sull’indice generale, con prezzi al consumo che premono sempre più sulle famiglie in difficoltà. Ma la soluzione con il rialzo dei tassi di Fed e BCE mette a forte rischio la tenuta delle nostre imprese, i cui margini rischiano di essere compressi considerevolmente. Per questo, come raccontiamo nella nostra intervista con Fabio Cappa, il 2023 dovrà essere l’anno della distensione nel tapering delle banche centrali, mano a mano che l’inflazione va scemando. Come e quando, è uno dei più grandi interrogativi che ci attendono.
Norme e Criptovalute
Dopo aver giovato particolarmente del periodo pandemico, le criptovalute versano ora in una situazione di grave difficoltà. Dopo la cifra record di 56000 euro a Bitcoin raggiunta a novembre 2021, la crypto per eccellenza viaggia ora tra i 10 e i 20000 euro. Un valore, peraltro, non indicativo dell’andamento generale del mercato, viste le performance ancora più scadenti della maggior parte delle altcoin (valute digitali alternative al BTC). Insomma, la situazione è poco rosea, ma è diventata persino nera, quando a novembre FTX, uno dei più grandi exchange di criptovalute al mondo, è stata sottoposta a procedura fallimentare. Le vicende di FTX e del suo anticonformistico fondatore Sam Bankman Fried (ora rifugiato alle Bahamas) gettano luce su una finanza slegata da ogni sottostante reale e gestita da persone senza le nozioni necessarie. Si tratta del colpo più grande alla reputazione delle crypto: il mercato dovrà fare passi rapidi in termini di trasparenza e di corporate governance. E dal regolatore ci si aspetta almeno altrettanto: il 2023 potrebbe essere l’anno giusto per cominciare a costruire un framework normativo all’altezza di un mercato così complesso.
Il ruolo della Cina
Il XX Congresso del Partito Comunista Cinese di ottobre ha reso più chiare che mai le posizioni di politica interna ed estera della Cina. Xi Jinping, presidente per la terza volta (il primo dai tempi di Mao) diviene sempre più, nel governo del partito come in quello del Paese, un uomo solo al comando. In termini di politica interna, questo significa una sempre maggiore stretta sulle grandi compagnie non allineate alla politica di partito e un controllo sempre più tentacolare di ogni aspetto della vita dei cittadini. Su un piano internazionale, questo significa un allontanamento dalla linea delle potenze occidentali e degli USA e relazioni sempre più fredde, testimoniate dalla posizione ambigua assunta nei confronti della Russia. La Cina mira a far crescere la propria economia in modo sempre più autonomo da tecnologie e servizi americani e il campo fondamentale su cui si giocherà questa battaglia nel prossimo periodo sarà il mercato dei chip. Con una task force che unisce enti governativi a colossi tecnologici come Tencent e Alibaba, Pechino sta puntando a ritagliarsi un posto nel mondo del design dei chip, oggi quasi esclusivamente americano. A questo si aggiunge l’obiettivo di riunificazione con Taiwan, rilanciato da Xi nel discorso di apertura del Congresso. Se ci riuscisse, la Cina potrebbe controllare l’altra fase fondamentale nella filiera dei semiconduttori, ovvero la produzione, campo di eccellenza della società taiwanese TSMC.
Sfida del PNRR
Il 2023 sarà l’anno decisivo per realizzare molte delle riforme previste dal Next Generation EU. Infatti, la maggior parte delle misure infrastrutturali deve essere terminata entro il 2026 o prima, eppure i cantieri già avviati sono pochi, secondo quanto ammesso dallo stesso Matteo Salvini, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. Nel 2022 il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è stato responsabile di molta della ripresa dell’Italia dopo lo shock della pandemia. Sono già stati stanziati fondi per circa 21 miliardi di euro ripartiti tra misure sociali e infrastrutturali, transizione verde e digitale, istruzione e salute. Ma la guerra e il conseguente caro energia, nonché l’inflazione e gli effetti dei rialzi dei tassi hanno colpito duramente le imprese, azzoppando la crescita. Per questo, stando al governo, nell’anno a venire è a rischio la fattibilità di riforme per 40 miliardi. Per cercare di mantenere questi fondi, sono in corso colloqui con la Commissione Europea per adattare alcuni punti alla situazione corrente, rendendoli più attuabili o quantomeno regolando i bandi secondo i nuovi livelli di prezzo. Nel frattempo, i provvedimenti che il governo ha annunciato per accelerare sul Piano, come la riscrittura del Codice degli appalti, lasciano sperare in una soluzione da più parti.
Crisi delle Big Tech
L’exploit di Elon Musk, che si è comprato il social network con il logo dell’uccellino Twitter ci insegna che, nell’era digitale e dell’informazione, un singolo individuo può controllare la libertà di espressione di milioni di altri. Ma il fatto che nemmeno un guru visto da molti come un “Mida” della tecnologia abbia saputo per ora migliorare granché la situazione mostra ben altro. La crisi di Twitter espone la debolezza dell’infrastruttura della nostra società dell’informazione, ma soprattutto del pugno di colossi globali che ne permettono l’esistenza. Un esempio? Se Twitter ha dovuto licenziare di colpo 3700 dipendenti, Meta (casa madre di Facebook) è stata costretta a mandarne a casa 11000. Ma le evoluzioni che provengono dai tentativi di rilancio portano novità interessanti: dal Metaverso di Mark Zuckerberg alla spunta blu a pagamento di Musk, il 2023 riserverà novità interessanti.
COP 27 e ESG
Finanza e ambiente a braccetto. La lotta al cambiamento climatico deve accelerare. Lo ha reso evidente la COP 27 di Sharm-el-Sheikh. A dire il vero, a colpire è proprio l’irrilevanza dell’ennesimo appuntamento internazionale sul clima e la scarsa attenzione con cui è stato accolto. In compenso, le contestazioni sono state molte e forti. A quanto pare, la credibilità delle promesse fatte negli anni è calata drasticamente e ora più che mai la gente chiede di agire. D’altronde, lo stesso andamento del clima ne mostra l’urgenza: nel 2022 abbiamo registrato ben 14 eventi estremi, con danni totali da 29 miliardi di dollari (Yale Climate Connections). Eventualità da cui la finanza stessa, e ne ha sempre più coscienza, deve tutelarsi sempre più. Per questo, osservati speciali saranno gli investimenti ESG (Environment, Sustainability and corporate Governance), al centro di questo cambiamento epocale.
Aumento popolazione
Traguardo record a metà novembre, secondo le stime, quando la popolazione globale ha raggiunto quota 8 miliardi. Un numero simbolico, che punta i riflettori sulle sfide sempre più imponenti che la crescita demografica pone sul piatto. Se i Paesi che consumano e inquinano di più, come affermato dall’ONU stessa, restano quelli con crescita demografica a zero o negativa, un pianeta così popolato rende più urgenti i problemi sul piano sociale e dei diritti umani. E quindi la finanza, se vuole essere veramente etica, non può ignorare questa situazione. Secondo l’ultimo rapporto della World Bank, circa l’8,6% della popolazione mondiale (più di 600 milioni di persone) vive in condizioni di povertà assoluta. Più crucialmente, parafrasando l’OCSE, il climate change colpisce con molta più violenza i Paesi in via di sviluppo, sia per fattori geografici sia sociali. Insomma, ecologia e lotta contro povertà, fame e sottosviluppo vanno di pari passo. Un promemoria fondamentale per impegnarsi in una finanza sostenibile per l’ambiente, quanto per le persone.
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