venerdì, 26 Aprile 2024

ESG, inflazione e volatilità: come sarà il 2023 per i mercati

Sommario
Dei fogli con dei grafici su un tavolo. ESG 2023

Dalla dinamica inflattiva all’incognita sulle decisioni di politica monetaria delle Banche Centrali.  Già ora si può dire che l’anno che ci attende sarà cruciale, sul piano finanziario. Ma nel 2023 vedremo anche alla prova la transizione energetica: «L’ESG rappresenterà ancora di più il futuro e la nostra capacità di tutelarci di fronte a eventi climatici estremi sempre più frequenti», dice Fabio Cappa, Senior Institutional Client Manager di Raiffeisen Capital Management. E queste sono solo alcune questioni: gli anni passati ci insegnano più che mai che quelle ignote sono spesso molto più rilevanti. Ma come orientare i propri investimenti in un tale labirinto? «Se avessi una sola fiche la giocherei sull’azionario ESG serio. Senza dubbio archivierà il periodo cupo del 2022, divenendo l’opportunità migliore non solo per il 2023, ma anche per gli anni successivi».

È ragionevole aspettarsi da FED e BCE un rallentamento dei tassi nei prossimi mesi?

«Il documento rilasciato dalla Federal Reserve il 2 novembre ha visto per la prima volta un numero consistente di governatori propendere per un rallentamento del tasso di incremento. Questo, stando ai futures, potrebbe andarsi a stabilizzare intorno al 5%. Vuol dire sostanzialmente 4 o al massimo 5 rialzi da 25 basis points da parte della Federal Reserve. Il secondo semestre del 2023 potrebbe essere il punto di inversione. Allora la Banca Centrale americana dovrà andare a guardare con maggiore attenzione alla crescita rispetto ai prezzi. In sostanza, l’inverso di quello che è accaduto fino a questo momento. Per la Banca Centrale Europea, il mercato oggi ha già scontato sei rialzi da 25 basis points. Per questo consideriamo 1,5 punti di rialzo rispetto al tasso effettivo in questo momento».

Secondo le previsioni della BCE, la headline inflation dovrebbe scendere nel 2023 dall’8,1 al 5,5%. È un cambiamento già entrato nel mercato?

«I nodi alla supply chain che si sono manifestati già dalla fase calante della pandemia, cioè a metà 2021, stanno iniziando a dare segnali positivi, nel senso di un rallentamento dell’aumento dei prezzi. Insomma, ci sono ragionevoli indicazioni macroeconomiche che i prezzi negli Stati Uniti abbiano già raggiunto un massimo e che in Europa lo si possa raggiungere in questi mesi. In più, la dinamica tra prezzi al consumo e alla produzione negli USA è molto positiva, perché i prezzi alla produzione stanno salendo più lentamente. Questo aiuta le aziende, perché se hanno prezzi alla produzione troppo elevati a valle che non riescono a scaricare sul mercato, inevitabilmente si vanno a erodere i margini di profitto. Per ora però in Europa l’inflazione è guidata interamente dall’energia, a differenza dagli USA, dove, come sempre, l’inflazione è cominciata dall’energia e poi è andata a traslarsi sui servizi. E a differenza dagli Stati Uniti, da noi beni e servizi non sono ancora stati contagiati in maniera così palese. I prezzi sono ovviamente aumentati, ma meno».

Crede che la stabilizzazione dei tassi avverrà al livello attuale o con un assestamento verso il basso?

«È totalmente prematuro parlare di inversione. I mercati scontano un picco sui tassi europei intorno al mese di giugno, ma poi non è previsto un ribasso. Negli Stati Uniti si cominciano a vedere le prime previsioni sui FED funds di inversione della politica monetaria, ma anche per loro è presto per prevedere una cosa del genere. Puntiamo alla stabilizzazione dei tassi, anziché iniziare a scommettere su un potenziale ribasso».

Quali saranno le conseguenze per gli investitori?

«Dobbiamo distinguere due categorie di investitori: coloro che devono recuperare le minusvalenze degli anni passati e coloro che possono pianificare in maniera più tranquilla una strategia di investimento. Può sembrare strano pensare che dipenda dall’investitore, perché apparentemente, se i mercati salgono lo fanno per tutti gli investitori, non per uno o per l’altro. Invece le strategie cambiano le cose di parecchio. Perché chi oggi deve puntare a recuperare le forti minusvalenze accumulate durante gli scorsi semestri non può prescindere da una componente azionaria importante: solo con l’azionario in questo momento si può abbassare il prezzo medio di carico. Meglio, se ha liquidità, se compra a prezzi che sono dal 10 al 35% più bassi rispetto a quelli di inizio 2022, mediando. Non ha invece senso mediare per recuperare le perdite su un fondo obbligazionario, perché a un rischio di credito basso, cioè sull’investment grade, parleremmo oggi di rendimenti effettivi lordi a scadenza tra il 3 e il 4. Se pensiamo che il fondo obbligazionario medio potrebbe avere perso negli ultimi 12 o 18 mesi anche un 20%, si capisce come recuperare così sia difficile, a meno che non si pensi che siamo di fronte a una fase di ribasso dei tassi d’interesse. Cosa di cui dubito, punto più a una stabilizzazione nel corso del 2023».

Quindi come distribuirebbe un portafoglio?

«Azionario USA senza dubbio, ma senza esagerare, perché bisogna tenere conto della reazione del dollaro in una fase di stabilizzazione dei tassi, vale a dire il fatto che contro l’euro sia passato da oltre 1,20 al di sotto della parità, prima di realizzare il rimbalzo di queste settimane. Quindi solo pochi più titoli USA che europei, nonostante i multipli molto più bassi dei secondi. Non esagererei ancora con gli emerging markets, li manterrei su un 15% del portafoglio complessivo di investimento, anche tenendo presente che la Cina copre circa un terzo di queste esposizioni. In questo momento preferirei debito e capitale solido».

E per chi comincia adesso da zero, senza perdite?

«Per chi imposta oggi una strategia di portafoglio è diverso. Allora il 3 o 4% per un debito solido è qualcosa di molto interessante, per cui si potrebbe tranquillamente andare a bilanciare azionario e obbligazionario conservando sempre un 20% di liquidità per approfittare di scompensi di mercato che potrebbero realizzarsi.

Gli economisti prevedono per l’Europa un rallentamento, se non una lieve recessione, nel 2023. Questo evento unito ai tassi in rialzo rischia di innescare una fase di fallimenti?

«Il rischio esiste, fondamentalmente per l’aumento dei tassi. Ecco perché suggerisco di farsi le spalle larghe, guardando a società con merito creditizio elevato. Infatti, il ribasso storico, i tassi sottozero che abbiamo avuto fino a più di due anni fa hanno portato sul mercato società che in tempi normali non ci sarebbero mai arrivate. Ecco perché destinerei qualche punto percentuale in portafoglio agli high yield. Parlo di una diversificazione nell’ottica di pochissimi punti percentuali, guardando invece con maggiore attenzione all’investment grade. Il rischio di default esiste».

Quale sarà il ruolo dell’ESG in questo scenario?

«La sostenibilità deve essere lal discriminante fondamentale di queste considerazioni. L’ESG rappresenterà ancora di più il futuro. L’ultimo anno ha visto straordinarie performance. Questo rappresenta una straordinaria buy opportunity, perché la transizione energetica, con quello che sta accadendo, subirà un’accelerazione molto più forte rispetto a quanto avremmo potuto prevedere 12 mesi fa. Quindi oggi tutto ciò che è vero ESG, perché il rischio greenwashing è sempre all’orizzonte, rappresenta una straordinaria opportunità di investimento, prima sull’equity ma poi anche sul debito».                             

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Studente, da sempre appassionato di temi finanziari, approdo a Il Bollettino all’inizio del 2021. Attualmente mi occupo di banche ed esteri, nonché di una rubrica video settimanale in cui tratto temi finanziari in formato "pop".