venerdì, 19 Aprile 2024
Sommario
Tanta gente sorridente che guarda in alto con le braccia alzate. è la popolazione mondiale.

Un mondo sempre più popolato ma sempre più diseguale. Siamo arrivati a 8 miliardi di abitanti, eppure l’UNFPA (United Nations Population Fund) continua a sostenere la possibilità di convivere garantendo condizioni di vita adeguate a tutti. Certo, una situazione del genere lancia non poche sfide, soprattutto economiche, nella misura in cui la corretta distribuzione delle risorse diverrà molto più complessa nel tempo. Guardando alle proiezioni, la crescita della popolazione non si interromperà fino agli anni ’80 del secolo, quando si dovrebbe toccare un plateau di 10,4 miliardi di persone. E, solo dopo 20 anni di stabilità a questo picco, nel 2100, ci si aspetta che le cifre tornino a calare.

Insomma, le circostanze ci costringono a convivere con il problema, ma la ricerca di soluzioni è carica di opportunità. Già, perché se la crescita demografica e lo sviluppo creano nuovi bisogni e mettono alla prova la capacità di soddisfarli adeguatamente, le transizioni ecologica e digitale che stiamo attraversando potrebbero fornire gli strumenti per affrontarli nel modo più adeguato.                                          

I giovani e il dividendo demografico

Al momento nel pianeta ci sono circa 1,8 miliardi di persone tra i 10 e i 24 anni (UNFPA).

È il numero di giovani più alto di sempre, con una concentrazione prevalente nelle aree più povere e in via di sviluppo. Non a caso, nei 48 Paesi meno sviluppati, la popolazione giovanile rappresenta una maggioranza. A livello globale, questo dato rappresenta un’enorme leva di sviluppo economico per i prossimi anni, se sfruttata adeguatamente.

Giovani che ridono del dividendo demografico.

È quello che gli esperti chiamano “dividendo demografico”, definito come «il potenziale di crescita economica che risulta dal cambiamento della struttura anagrafica della popolazione». Gli effetti positivi di questo vero e proprio dividendo generazionale derivano soprattutto dalla presenza di una popolazione in età da lavoro più numerosa di bambini e anziani. Ma a beneficiarne non saranno tutti. Infatti, guardare al dato globale non basta e la distribuzione specifica del fenomeno dà un quadro molto chiaro.

In particolare, il pianeta è virtualmente diviso tra Paesi sviluppati, con una popolazione anziana e in invecchiamento ulteriore, e Paesi in via di sviluppo, dove la popolazione giovanile continua a essere preponderante. Un simile sbilanciamento, in unione con quello di sviluppo, si proietta anche sul sistema economico: a una concentrazione di capitale nelle aree più “anziane” fa da contrappeso una concentrazione di manodopera nelle aree “giovani”. Nell’immediato, questo alimenta tendenze di off-shoring, cioè l’esternalizzazione di produzioni e servizi delle imprese. A un livello più ampio, è alla base dei fenomeni migratori di ampio respiro cui stiamo assistendo negli ultimi decenni.

Meno nascite, aumenta il risparmio

Dei ritagli su un tavolo. Rappresentano il calo delle nascite.

A fare da contraltare all’alto numero di giovani di oggi, la prospettiva futura sembra essere quella di un vero e proprio inverno demografico. Infatti, nonostante l’altissimo numero di abitanti, il tasso di crescita della popolazione mondiale si attesta al momento ben sotto l’1% annuo, al livello storico più basso dal 1950. È indice di un processo di progressiva diminuzione della fertilità e contemporaneo aumento dell’aspettativa di vita. Se per ora la crescita continua è perché nelle aree ancora in via di sviluppo la prima sta calando più lentamente e più tardi della seconda. Ma in molti Paesi, in primis in Europa, l’invecchiamento è una realtà con cui già si fanno i conti quotidianamente.

Guardando alla situazione economica di queste aree si può avere uno spaccato abbastanza realistico di cosa aspetta il resto del mondo man mano che la fertilità decresce e la crescita si raffredda. Innanzitutto, si assiste tipicamente a un aumento del risparmio e una riduzione della spesa in consumo. In più, generalmente, una popolazione in invecchiamento può presentare esigenze estremamente diverse, ma è caratterizzata da una spesa pubblica tipicamente alta. In particolare, col crescere dell’aspettativa di vita, tende a salire inevitabilmente il numero di anni di pensionamento e dunque il costo del sistema pensionistico. Per molti aspetti, l’Italia è esempio paradigmatico di questi fenomeni: uno dei Paesi in invecchiamento più veloce (di qui al 2050 perderà circa 6 milioni di abitanti), registra una fortissima tendenza al risparmio e una pressione crescente sul suo sistema pensionistico. Una situazione che, alla lunga, rischia di pesare sulle nuove generazioni con un grave deficit strutturale.

I fenomeni migratori

La sperequazione, a livello globale, tra la distribuzione della popolazione in età da lavoro e le risorse, è, come abbiamo visto, una delle principali cause delle migrazioni da un Paese ad altri. Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da una straordinaria mobilità della popolazione umana, tanto che nemmeno la pandemia e le restrizioni di spostamento sono riuscite a invertire il flusso. Agli ultimi dati disponibili (IOM, 2020) circa 281 milioni di persone, il 3,6% del totale, non vivono nel loro Paese d’origine. Molti di questi flussi migratori sono diretti dall’Africa e dal Medio Oriente verso l’Europa, attraverso la “rotta mediterranea”. Nonostante ciò che si sostiene spesso, l’immigrazione non è causa di effetti economici negativi. Al contrario, porta, nella maggior parte dei casi, vantaggi notevoli per entrambe le parti. Ad esempio, i flussi migratori possono contribuire a ridurre gli effetti dell’invecchiamento della popolazione e la pressione sui sistemi previdenziali.

Al contempo la gestione dei migranti pone importanti sfide di integrazione e welfare. In Italia, ad esempio, gli stranieri in età da lavoro, circa 4 milioni, hanno assorbito più che il resto della popolazione gli effetti negativi della pandemia, con un calo occupazionale tra il 3 e il 4%  e un 8,2% che teme di perdere il lavoro da un momento all’altro (XI rapporto annuale Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia). Analizzare la situazione ed elaborare possibili soluzioni a questi problemi, oltre che dovuto, non potrà che portare vantaggi per l’intero sistema.

Chi cresce e chi invece scende: spostamento degli equilibri

Uno schema che rappresenta i 50 Paesi con il maggior. numero di abitanti al mondo nel 2050.
Fonte: Visual Capitalist

Il dato di crescita complessivo non può essere sufficiente per descrivere con precisione i fenomeni demografici in corso. L’invecchiamento progressivo, del “nord” del mondo, accompagnato al netto aumento della popolazione nei Paesi sottosviluppati sta portando, infatti, a un vero e proprio spostamento degli equilibri.

Ma se si guarda ai trend futuri, le sorprese mancano. La più rilevante è che la Cina potrebbe entrare da un momento all’altro in una fase demografica decrescente. Pare infatti che il 2022 possa essere stato il suo picco storico, da cui i suoi numeri cominciano a calare: anche per questo potrebbe cedere il suo primato numerico all’India già nella seconda metà di quest’anno.

Guardando al 2050, il dato è ancora più sconvolgente: per allora la Cina dovrebbe essere scesa a 1,32 miliardi di abitanti contro gli 1,67 miliardi del subcontinente indiano. In generale, la maggior parte della crescita dei prossimi anni sarà compensata dai Paesi in via di sviluppo, contro il calo demografico di quelli più sviluppati, in particolare l’Europa. Si calcola che il vecchio continente perderà nel complesso il 7% della popolazione totale, con l’Italia che, come accennato, scenderà a 54 milioni di abitanti. Come mantenere il funzionamento del sistema economico e delle pensioni? Sarà il principale interrogativo cui il nostro Paese dovrà rispondere nei prossimi anni, assieme alla sfida di una transizione e di una crescita sostenibile e digitale.

Una città sovrappopolata.

Urbanizzazione, ESG e tech

Oggi più di 4 miliardi di persone, circa il 60% della popolazione, vive in aree urbane. Un fenomeno relativamente recente e in netta espansione. Infatti, solamente dal 2007 la popolazione totale urbana ha superato quella rurale. In particolare, cresce la concentrazione in città ad alta densità abitativa.

A livello di consumi, chi vive in città sviluppa bisogni talvolta radicalmente diversi dalla popolazione rurale, non solo in termini qualitativi. È stato infatti dimostrato come nelle aree urbane vi sia una tendenza a consumare più cibo, energia e beni durevoli. Ma la città è anche punto di partenza di innovazioni tecnologiche ed economiche, e lo sviluppo urbano mette in moto meccanismi che generano crescita positiva.

Tuttavia, nonostante il fenomeno sia tradizionalmente associato allo sviluppo, recenti studi evidenziano come l’urbanizzazione sia spesso causa di problemi sociali. Infatti, lo spazio urbano, pur presentando un’ampia gamma di opportunità economiche, è spesso anche incubatrice di forti disuguaglianze, specie nei Paesi più poveri. Per questo la grande sfida in questo campo è rappresentata dalla necessità di progettare e favorire un nuovo sviluppo urbano. Sostenibile a livello ambientale, ma anche e soprattutto sociale.

Articolo tratto dal numero dell’1 febbraio 2023 de il Bollettino. Abbonati!

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Studente, da sempre appassionato di temi finanziari, approdo a Il Bollettino all’inizio del 2021. Attualmente mi occupo di banche ed esteri, nonché di una rubrica video settimanale in cui tratto temi finanziari in formato "pop".