sabato, 7 Dicembre 2024

Semiconduttori, la guerra invisibile del XXI secolo

Sommario
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Tutti i giorni si combatte un conflitto vicino: è la guerra sulla tecnologia che infuria da anni tra Cina e Stati Uniti, le due superpotenze che si contendono il dominio del XXI secolo. Una partita che si gioca soprattutto nel campo di microchip e semiconduttori. A tessere il velo di Maya che impedisce di scoprire la realtà sono le sempre minori dimensioni dei componenti elettronici e la scarsa attenzione verso le aziende che operano nel settore.

«Ho deciso di raccontare questa guerra invisibile: la dimensione internazionale e il tracciato complessivo, consente di dare anche in Italia e in Europa maggiore notorietà a cose sottovalutate ma molto importanti, visto che da esse dipende il funzionamento della nostra vita digitale e tecnologica», spiega Alessandro Aresu, direttore scientifico della Scuola di Politiche di Roma e autore del libro Il dominio del XXI secolo. Cina, Stati Uniti e la guerra invisibile sulla tecnologia.

Qual è il bilancio attuale e quali Nazioni sono coinvolte attivamente nel conflitto sui semiconduttori?

«La guerra sulle filiere tecnologiche è un processo che ci accompagnerà a lungo. Dipende soprattutto da due fattori. In primo luogo, alcune tecnologie possono generare alcune discontinuità in grado di influire sui rapporti di forza internazionali. Ciò genera ampie preoccupazioni e ritorsioni, nell’equilibrio del potere tra Stati Uniti e Cina. La seconda ragione è lo spostamento della manifattura verso l’Asia orientale, il cuore manifatturiero del mondo. Siccome questo processo ha toccato elementi a grande valore aggiunto, ha generato una tensione politica e sociale, molto visibile negli Stati Uniti ma non solo. Da qui il tentativo di riequilibrare questi rapporti di forza».

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Perché parliamo di “guerra invisibile” sui semiconduttori?

«Soprattutto per due ragioni. La prima è l’incidenza di ciò che non si vede nelle nostre vite, anzitutto la miniaturizzazione che accompagna la lunga storia della microelettronica. Da essa dipende il fatto che possiamo svolgere questa conversazione ma non si vede. La seconda ragione, ancora più rilevante, è l’importanza di alcune aziende che si muovono in filiere strategiche come quella dei semiconduttori e delle batterie ma che non conosciamo: Synopsys, Cadence Systems, Nvidia, Applied Materials, Lam Research, Byd, Catl, e molte altre».

Ci dica di più

«Tutti conoscono Steve Jobs, relativamente poche persone sanno chi sia Morris Chang. Se leggete il mio libro, e non solo, capite che si tratta di una personalità molto importante per tutti noi. Asml è una delle aziende europee a maggiore capitalizzazione e nei Paesi Bassi, a Veldhoven, produce la macchina più avanzata della storia dell’umanità. Secondo me tutti i cittadini europei dovrebbero sapere che esiste, almeno come tutti più o meno sanno che c’è Volkswagen.

Se entriamo da un ottico, ovviamente vediamo Zeiss, azienda simbolo dell’economia sociale di mercato tedesca. Tuttavia non sappiamo che è il principale alleato di Asml per produrre quella macchina. Per quanto riguarda l’Italia, vale un discorso piuttosto simile. STMicroelectronics nel nostro Paese ha più di 11mila dipendenti ed è uno dei principali investitori in ricerca e sviluppo. La notorietà dell’azienda è relativamente ridotta rispetto ad altre grandi imprese. Per non parlare di campioni nazionali come Spea e Technoprobe, anch’essi nella filiera dei semiconduttori».

Quanto costa questa guerra sui semiconduttori?

«La carenza di semiconduttori, ad esempio, è costata alcune centinaia di miliardi in vari mercati di riferimento, dall’automobile a diverse attività industriali. Non è però dipesa solo dal conflitto tra Stati Uniti e Cina ma anche dallo squilibrio tra domanda e offerta. Il cambiamento dei rapporti di forza nell’industria militare e nella mobilità sostenibile avranno impatti elevatissimi e ovviamente non solo economici».

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Si susseguono annunci di nuove attività estrattive di litio e altre materie sul Continente Europeo. È possibile passare da una forte dipendenza dall’Estero a una auto-produzione?

«Servirebbero investimenti molto ingenti, ma non basta parlare di soldi per affrontare veramente la competitività dell’Europa e per svegliarci dal sonno in cui siamo piombati rispetto ad altre aree del mondo. Altrimenti crediamo che le cose possano accadere perché la Presidente della Commissione europea fa un discorso e poi invece non succede niente. Bisogna imparare dalle potenze asiatiche e andare in profondità. Occorre agire in tutta la catena del valore, con una strategia su più livelli. In primo luogo, come l’Italia e altri Paesi hanno già iniziato a fare, bisogna semplificare fortemente le autorizzazioni e i procedimenti burocratici per grandi investimenti nelle catene del valore europee: altrimenti nessuno investe mai qui e non iniziamo nemmeno a parlare.

Inoltre, occorrono incentivi pubblici su diversi livelli, ed è importante pensare a professionalità adeguate, come ingegneri chimici, elettrochimici, tecnici specializzati: altrimenti, senza le persone non si fa nulla. In terzo luogo, non bisogna concentrarsi solo sulle attività estrattive, serve una politica che valorizzi le capacità di trattamento e raffinazione: altrimenti, se le aziende chimiche europee sono penalizzate, vanno altrove».

Qual è la situazione del mercato di chip e semiconduttori, fondamentali così come il litio per lo sviluppo della mobilità elettrica?

«La cosa più importante da capire è che si tratta di una filiera enormemente difficile. La abitano aziende specializzate negli strumenti e nei software per la progettazione dei chip; imprese che progettano i chip per poi rivenderli dopo che sono stati prodotti; aziende di materiali, chimica, gas industriali; aziende che realizzano macchinari e strumenti essenziali per la produzione; imprese che producono per conto terzi oppure in modo integrato, quindi progettando e producendo; aziende che realizzano varie e diversificate attività di assemblaggio e di test. Oltre a questo, ci sono i centri di ricerca di base e applicata, che costruiscono e accompagnano vantaggi di lungo termine e innovazioni da provare e realizzare su grande scala industriale. Questa analisi del mercato dei chip nelle varie tipologie aziendali è la cosa più importante, perché così un Paese capisce dove si trova e dove si muovono questi attori, rispetto ai consumi».

Nel 2020 Tesla è diventata la maggiore impresa automobilistica al mondo per capitalizzazione. “Il fondatore di Tesla e SpaceX diviene il capitalista straniero preferito dal Partito comunista. Ma questi legami sono anche problematici, vista la crescente tensione tra Stati Uniti e Cina”, scrive. La crescita dei ricavi di Tesla passa dalla capacità del miliardario di riuscire a mantenersi neutrale?

«Attualmente il titolo di Tesla va male in Borsa e ha incontrato una dinamica molto pesante di correzione rispetto ai valori principali. In sintesi, viene considerata di più come azienda automobilistica che come azienda tecnologica, anche se vale di più delle aziende automobilistiche e se i suoi processi sono più snelli. Ha comunque molti vantaggi rispetto a operatori tradizionali. Secondo me bisognerà vedere come si approfondirà la competizione con aziende cinesi, da BYD in giù: potranno arrivare in modo massiccio sugli altri mercati oppure interverranno chiusure e sanzioni? Ciò è sempre possibile, sulla base del paradigma che ho chiamato “sanzionismo”. Sulla base di questo, saranno da vedere e da valutare anche le eventuali ritorsioni su Tesla».

Spostando l’attenzione sull’universo dei social, l’esodo di utenti da Twitter è il segno del fallimento della strategia di monetizzazione di Musk?

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«Le due principali aziende di Musk, Tesla e SpaceX, sono realtà molto interessanti. Questo si può dimostrare studiando le loro tecniche, la loro struttura manageriale, i loro obiettivi. Non per questo sono in una botte di ferro: Tesla avrà molti più concorrenti in futuro, SpaceX ha sfide enormi ma stiamo parlando di cose importanti e che hanno mobilitato i talenti degli Stati Uniti. Ci sono migliaia di persone che studiano ingegneria perché Musk ha fatto quelle aziende mentre per chi deve decidere che fare della sua vita Twitter non ha nessun ruolo.

Perciò, in confronto a ciò, ritengo Twitter un’idiozia e una perdita di tempo per Musk. Io lo uso ma non vedo nessun vantaggio comparato rispetto ad altri social. Quindi secondo me tutta questa attenzione per l’uccellino blu ha poco senso, se non per un’influenza politica che si rischia di sopravvalutare. Poi c’è anche tutta la casistica giuridica sull’uso di Twitter di Musk e i provvedimenti della SEC (autorità mobiliare americana) che è importante ma il punto principale per me è che il magnate con questo social perde tempo in stupidaggini».

Analizzando lo stato attuale, chi vincerà secondo lei la battaglia dello Spazio?

«È un tema che abbiamo toccato anche nel libro con Raffaele Mauro, I cancelli del cielo. Sullo spazio è avvenuta in effetti una “separazione precoce” tra la filiera americana e quella cinese, negli anni ’90. Perciò ritengo che per Pechino sia un punto di orgoglio, un esempio della capacità di farcela da soli rispetto alla sfera di Washington. Ciò è riflesso anche dall’influenza delle personalità aerospaziali nel Partito comunista cinese».

Parliamo della guerra sul 5 G. Quanto vale?

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«Di per sé non è determinante come altre guerre tecnologiche ma vi è legata, come ho mostrato nel mio libro Le potenze del capitalismo politico, che contiene un lungo studio su Huawei. Anche nel 5G, la Cina ha un importante potere di mercato, la forza del suo mercato interno. Poi ha proiettato questa forza nella conquista di altri mercati, con servizi competitivi. Soprattutto in uno scenario in cui gli attori di telecomunicazioni hanno dovuto ridurre i costi perché i ricavi, per esempio in Europa, sono bassi. Dopo si inserisce l’esigenza di sicurezza nazionale e quella, molto importante, della diversificazione delle forniture. Perché se l’effetto della dinamica che ho spiegato è che l’operatore x di telefonia europeo si affida solo a un fornitore cinese, la sicurezza è per sua natura ridotta». ©

Articolo tratto dal numero dell’1 febbraio 2023 de il Bollettino. Abbonati!

Il mio motto è "Scribo ergo sum". Laureato in "Mediazione Linguistica e Interculturale" ed "Editoria e Scrittura" presso La Sapienza, mi sono specializzato in giornalismo d’inchiesta, culturale e scientifico. Per il Bollettino mi occupo di energia e innovazione, i miei cavalli di battaglia, ma scrivo anche di Mercati, spazio e crypto.