domenica, 28 Aprile 2024

Logistica navale: la Cina supera tutti, ma la sua flotta fa acqua

DiMarco Battistone

15 Settembre 2023
Sommario
logistica

La logistica cinese arriva in cima al mondo. La flotta commerciale del gigante asiatico supera, con 249,2 milioni di tonnellate di stazza lorda, le 249 della Grecia. A seguire da lontano il Giappone, con 181 milioni di tonnellate. Il dato, che arriva dalle ultime ricerche del portale Clarksons Research, mostra la crescente rilevanza di Pechino nel settore dello shipping. Certo, i rivali ellenici mantengono ancora una serie di primati, come quello nel tonnellaggio di portata lorda, che conta, oltre alle merci, anche qualsiasi componente di carico mobile, come persone, viveri e carburante.

Dal 2000 a oggi, la Cina è passata da circa un ventesimo a più di un settimo del trasporto marittimo globale. Oggi le sue più grandi compagnie, COSCO e China Merchants Group, rappresentano le punte di diamante della logistica globale, con la prima (la cui proprietà è riconducibile allo Stato cinese) diventata leader mondiale del settore, sia per volumi trasportati sia per quelli in transito nei suoi terminal. E i margini di espansione sono ancora ampi: nel 2022 il Paese è stato protagonista del 33% delle esportazioni e del 22% delle importazioni globali via container (Clarksons).

Giampaolo Botta, Spediporto

Un’espansione che non lascia immune il nostro Paese. «Lo shipment cinese ha un ruolo decisamente importante» dice Giampaolo Botta, Direttore Generale di Spediporto. «Non è predominante rispetto, ad esempio, a quello degli armatori tedeschi o svizzeri, ma la sfera di influenza, in particolare del gruppo COSCO, è forte. Lo testimonia anche il fatto che, negli anni scorsi, lo stesso gruppo abbia fatto investimenti nel terminal di Vado Ligure, in provincia di Savona, ed è tra i quattro principali player armatoriali che operano in Italia». Ma l’impegno cinese nel Paese si dispiega soprattutto indirettamente, attraverso canali agenziali, né sembra, almeno per ora, orientarsi verso le infrastrutture e il territorio.

«COSCO ha finora operato principalmente attraverso il gruppo Cosulich, che è di fatto il suo agente per l’Italia. Attraverso questo intermediario, sicuramente la Cina ha cominciato a sviluppare articolazioni e rotte. Tuttavia, l’influenza cinese viene in primo luogo dal fatto che è uno dei primi partner commerciali dell’Italia in senso assoluto. Se si guarda invece alla verticalizzazione della filiera logistica, rispetto ad altre realtà, non ci sono investimenti diretti, eccezion fatta per il terminal di Vado».

Gli investimenti di Pechino

Il sorpasso, nonostante il valore storico, non arriva di certo inaspettato. I risultati sono arrivati con un processo graduale di anni, portato avanti grazie a massicci investimenti, anche pubblici. Una peculiarità nel modus operandi cinese, che si spiega più facilmente in un settore con barriere all’entrata tanto alte. Oltre che sullo shipping vero e proprio, gli sforzi del Paese si sono orientati verso il settore della costruzione, in cui la Cina è stata primo attore per quattro anni di fila.

I risultati sono visibili: nella prima metà dell’anno sono state costruite nuove navi per un totale di 21,13 milioni di tonnellate di portata lorda. Il 14,2% in più rispetto allo stesso periodo lo scorso anno (Ministero dell’Industria e dell’Informatica). Forte di questo risultato, il Paese vanta la flotta commerciale più giovane al mondo, con un’età media di circa 14,4 anni contro la media mondiale di 24,4. Ciò che più sorprende, però, è il miglioramento impressionante della tecnologia impiegata nella costruzione. Ancora fino a un paio di anni fa, la Corea del Sud, un tempo prima nel settore anche per volumi di costruzione, era ancora priva di rivali nel campo delle navi a maggior valore aggiunto tecnologico.

Ma nel giro di poco tempo la concorrenza si sta facendo pressante anche su questo mercato, con la Cina che ha smesso di limitarsi a costruire modelli basilari e di dimensioni relativamente piccole per dedicarsi a vascelli di tutt’altra gamma. «In termini di portarinfuse (impiegate nel trasporto di carichi non liquidi senza container, ndr) e di portacontainer, il gap tecnologico è praticamente nullo», ha detto Woo Jong-hun, Professore di architettura navale e ingegneria navale alla Seoul National University (SNU). Tuttavia, «ci sono molte differenze in vascelli come le metaniere».

Russia: il game changer

Proprio le navi metaniere, impegnate nel trasporto di Gas Naturale Liquefatto (GNL o LNG), sono protagoniste di una nuova frontiera di cambiamento per il mercato. La guerra in Ucraina, oltre a sparigliare le carte della politica internazionale, ha causato notevoli smottamenti a livello commerciale. In particolare, l’applicazione delle sanzioni occidentali ha messo in seria difficoltà molte compagnie impegnate in affari con la Russia, che sono state costrette a dismettere nel giro di poco le loro succursali. Ciononostante, questa disruption nelle catene di approvvigionamento globali, pur cambiando gli assetti, è lungi dall’arrestare del tutto i flussi di prodotti in uscita dal Paese più esteso al mondo.

A interessare gli acquirenti internazionali sono due tipi di prodotti russi: gas naturale e greggio. Sul secondo, in particolare se portato per nave, vige un cap di 60 dollari sul prezzo di vendita al barile imposto dai Paesi del G7. Un’imposizione che molti Paesi hanno visto con ostilità: se alcuni, come l’India, l’hanno apertamente rigettata, in molti altri casi la risposta è stata un sistematico aggiramento. Da allora, decine di diverse società fantasma con sedi sparse nel mondo, ma basate soprattutto negli Emirati, si sono impegnate nell’acquisto di navi vecchie e praticamente in dismissione con le quali operare un traffico sempre ai confini della legalità, ma enormemente redditizio.

Quanto alla Cina, ufficialmente ha tenuto una posizione ambigua, forte anche del fatto di essere collegata alla Russia da viadotti, esenti dal tetto. Ma la forte domanda di navi provocata da questa situazione potrebbe favorire quello che ne è divenuto ormai il primo produttore mondiale, moltiplicando gli introiti. In aggiunta, alcune fonti evidenziano l’apertura durante l’estate anche di un canale di traffico marittimo dell’oro nero. Avrebbe coinvolto alcune grandi petroliere cinesi, impiegate per triangolare il greggio russo.

Il settore annaspa

Va detto però, che, se si escludono le alterazioni causate nel mercato causate dall’inondazione di beni russi più o meno clandestini, il 2023 ha finora sancito un netto raffreddamento per il settore. «In Italia, come in tutta Europa, si sta assistendo a una crisi generalizzata di import ed export», ricorda Botta. «Se l’anno dovesse chiudersi oggi, probabilmente in molti porti europei si registrerebbe un arretramento a due cifre. I mercati internazionali hanno subito un forte rallentamento, proprio a causa dell’impatto dei problemi di economie come quella cinese».

La fine del 2022 ha dato inizio a una contrazione nel commercio globale che non lascia certo immune il settore logistico. Proprio nel momento in cui la domanda si raffreddava dopo il Covid-19. Un utile indicatore può essere il prezzo dell’olio combustibile pesante impiegato per muovere le navi da trasporto. Se si guarda al prezzo, prendendo a riferimento il porto di Rotterdam, osserviamo come dopo i picchi che nel 2022 hanno portato alla cifra record di quasi 1.400 dollari per tonnellata, il prezzo sia calato, per tornare oggi a circa 700 dollari (Clarksons, ING Research). Per l’economia cinese, che ormai occupa il primo posto di questo mercato, questa situazione potrebbe non essere delle più propizie. Specialmente se si pensa alla sua posizione di primo (e quasi unico) fornitore globale di container.

Il tutto senza contare i rischi ulteriori derivati dalla situazione contingente: da un lato, un sistema economico che, per la prima volta in decenni, si avvia su una traiettoria discendente; dall’altro, le crescenti tensioni internazionali che spingono i partner occidentali a ricercare l’autonomia da Pechino.

«Negli ultimi mesi stiamo assistendo a un riposizionamento delle politiche internazionali di molti Paesi. Le conseguenze sono tutte da scoprire, anche perché la politica cinese, negli ultimi anni, aveva favorito fortemente politiche rivolte ai consumi interni. La spesa cinese si è contratta in virtù di una crisi che è partita col Covid-19 e che la Cina ha affrontato in maniera molto severa (con la cosiddetta zero Covid policy, ndr). Al venire meno della domanda interna, le partnership commerciali e internazionali, anche con l’Europa, si sono rivelate determinanti per garantire anche solo un livello minimo di crescita. È una realtà talmente imponente da essere fragile. Questo avrà le sue conseguenze anche a livello di shipping».

La situazione finanziaria

Un fronte da cui, invece, almeno alla fine del 2022, sembrava che la Cina stesse ritirandosi era quello del leasing. Una forma di finanziamento ampiamente adottata nello shipping, nonché uno dei principali canali di finanziamento del settore logistico. Da quando, a partire dalla Grande Recessione, le banche occidentali hanno cominciato a mostrarsi più prudenti nel finanziare il settore, gli istituti di credito cinesi hanno assunto un ruolo fondamentale.

Ma l’afflusso di finanziamenti dall’Estremo Oriente sembrava destinato ad arrestarsi quando, alla fine dello scorso anno, il Governo di Pechino ha messo sotto arresto alcuni tra i più importanti operatori del settore. Su tutti, Li Li, per anni Segretario della sezione di Shanghai della Export-Import Bank of China (Cexim), soprannominata la “madrina” del leasing cinese. L’accusa è quella di corruzione, in un’inchiesta ad ampio raggio che da alcuni è stata definita come una vera e propria purga. Certo, se, come è possibile, prefigura un passo indietro da parte dei colossi cinesi del settore (spesso e volentieri detenuti dallo Stato, come la stessa Cexim), lascerà un vuoto da riempire nel mercato. E, chissà, potrebbe riaprire la via al ritorno di altri operatori occidentali sul mercato.

«In un’economia globale come la nostra, è ovvio che laddove si registrino dei fallimenti che investono il mondo della finanza. E le loro conseguenze si avvertono nel resto dell’economia. Le ramificazioni del mondo finanziario sono di tale ampiezza da investire settori radicalmente diversi. Per questo, la caduta di alcune realtà produce scossoni che si avvertono anche a livello internazionale. Tuttavia, per ora, è difficile valutare le reali implicazioni».

La sfida net zero

Il grattacapo più grande, tra quelli che impensieriscono gli armatori cinesi, è però quello degli obiettivi climatici. Il Paese al momento cresce basandosi su leve tecnologiche non compatibili con la transizione ecologica che le economie più sviluppate stanno portando avanti. E questo potrebbe causare notevoli difficoltà, specie nel settore logistico. Un settore in cui la Cina non ha finora mostrato particolari interessi “verdi”. Se, secondo quanto ha affermato di recente la International Maritime Organization, l’intenzione è quella di raggiungere le emissioni zero entro il 2050, la partita potrebbe giocarsi fin da ora.

In tal caso, il fatto di avere una flotta tanto giovane e in espansione, ma con navi ancora alimentate da combustibili fossili, giocherebbe a sfavore del gigante asiatico. Si prevede infatti che, per raggiungere l’obiettivo, sarà necessario avviare controlli e inaugurare limitazioni già a partire dal 2025. Una data che non lascia molto tempo alle esitazioni. Rispondere adeguatamente alla crescente domanda di sostenibilità permetterebbe a Pechino di cementarsi come leader indiscusso del settore. Al tempo stesso, ridurrebbe il rischio di un vero e proprio decoupling con i partner europei in quest’ambito.

Scenari di settore

L’outlook futuro, per il settore, resta dunque incerto, con una situazione difficile da leggere. Di certo si può dire che il neonato dominio cinese, raggiunto a pochi passi dal picco, si troverà subito minacciato dalla “normalizzazione” del mercato. La long run però potrebbe riservare sorprese. Quanto al breve termine, invece, «i fenomeni da tenere sott’occhio per capire quanto lunga sarà questa crisi internazionale sono due», riassume Botta.

«Uno è l’inflazione. Le politiche europee e americane di contenimento della stessa che non hanno portato i risultati sperati, ma anzi hanno contratto la domanda. Il secondo elemento fondamentale è la guerra in Ucraina. Se dovesse cessare, probabilmente l’economia tornerebbe a correre rapidamente. Di fronte a prospettive di stabilità politica e disgelo tra est e ovest, si assisterebbe a un recupero molto forte della fiducia dei mercati e a una ripartenza veloce. Ma in assenza di questo, dovremo pazientare almeno fino alla primavera del 2024 per veder muoversi qualcosa».

 ©

📸 Credit: Canva

Studente, da sempre appassionato di temi finanziari, approdo a Il Bollettino all’inizio del 2021. Attualmente mi occupo di banche ed esteri, nonché di una rubrica video settimanale in cui tratto temi finanziari in formato "pop".