sabato, 27 Aprile 2024
Sommario

L’Europa si divide sulla definizione di stupro. Il testo della Direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica non conterrà, per ora, il concetto di consenso. A Strasburgo solo 13 Stati, tra i quali l’Italia, erano favorevoli ad approvare la bozza. Non rappresentando almeno il 65% della popolazione, la loro presa di posizione non è bastata. Ad opporsi in prima linea nel Consiglio dell’Unione Europea: Ungheria, Repubblica Ceca, Bulgaria, Slovacchia, Lettonia, Lituania. Scelta che non fa che confermare la mancata ratifica della Convenzione di Istanbul in vigore dall’ottobre 2023 che interviene sulla violenza di genere, con indicazioni giuridicamente vincolanti, dove il sesso senza consenso configura il reato di stupro. Contrari, per ragioni di diversa natura, i ministri di: Portogallo, Malta, Estonia, Irlanda, Paesi Bassi, Polonia, Francia e Germania. Bocciato l’articolo 5, che conteneva riferimenti alle volontà della vittima, durante il negoziato del 6 febbraio, Parlamento Europeo (che aveva già approvato la proposta con 71 voti favorevoli su 83), Commissione Europea e Consiglio dell’Unione Europea sono giunti a un testo comune che ad aprile sarà portato in plenaria per il voto e l’approvazione definitiva. Qualora l’iter non venisse concluso sarà l’Ungheria, a cui spetta la prossima presidenza del Consiglio dell’UE, a decidere se inserirla nell’agenda europea o meno.

Violenza di genere, l’Europa perde un’occasione storica

«L’Unione Europea ha perso un’occasione storica», dice Florinda Scicolone, Consigliera Direttiva dell’AITRA (Associazione Italiana Trasparenza e Anticorruzione) e membro del Comitato W7 Italia (Women7 Gruppo Ufficiale sulle pari opportunità del G7 – Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti), nonché giurista d’impresa riconosciuta a livello nazionale e internazionale come una delle maggiori esperte di politiche di genere. «Questa è la prima legge europea contro la violenza sulle donne. Il risultato è l’assenza del riconoscimento di stupro nei rapporti sessuali consumati senza consenso. Non averlo incluso rappresenta una battuta d’arresto nella lotta al fenomeno».

Stupro e consenso, chiariamo la posizione dell’Italia

«È stata tra le Nazioni che avrebbero voluto includere la clausola del consenso. Puntava all’introduzione dell’articolo 5 della Direttiva, che originariamente doveva essere diversa, rispetto a quella che approderà all’assemblea plenaria di aprile. Da cittadina italiana sono orgogliosa che il mio Paese si sia impegnato affinché il riconoscimento avvenisse. Fa piacere appartenere a uno di quegli Stati che non era per l’esclusione. Su questa tematica il Governo italiano si è molto battuto per avere il riconoscimento dello stupro senza consenso. È stata una norma discussa che ha diviso i 27 Paesi. Da donna credo che non dovesse esserci una separazione su questo tema. Stiamo parlando di diritti umani. Il testo della Direttiva europea non contempla, inoltre, la tutela dalle molestie sessuali sui luoghi di lavoro. L’Italia invece in questa legislatura sta attenzionando questa fattispecie di reato con dei provvedimenti legislativi che disciplinano la materia. Un fenomeno sottostimato rispetto alla reale portata e che da qualche anno è tornato alla ribalta. Rappresenta un tema nevralgico da inserire nel Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro affinché le misure siano efficaci. Inoltre ricordo che l’Italia ha anche attivato, su base volontaria, la Certificazione Parità di Genere con indicatori che, raggiunto lo score del 60%, danno diritto a incentivi e sgravi fiscali. Ricordiamoci invece che esiste già  una figura professionale, quella  della consigliera di fiducia, che  nei luoghi di lavoro dovrebbe occuparsi  di tutelare da discriminazioni e molestie. Sarebbe auspicabile estenderne l’introduzione».

Cosa succederà se ad aprile verrà approvata questa Direttiva sulla lotta alla violenza di genere?

«Nel testo che sarà votato non c’è il riconoscimento dello stupro senza consenso. È stata prevista, in compenso, una clausola generale che obbliga gli Stati membri a sensibilizzare la cittadinanza sul tema. Finora nelle fonti del diritto europeo non c’era un testo organico contro la violenza sulle donne, in quanto non era mai stata formulata un’apposita direttiva. È un’occasione storica. Nella prima legge europea contro la violenza di genere il mancato inserimento di questa fattispecie criminosa, per quanto mi riguarda, è deludente. Sappiamo che le direttive dell’Unione Europea nella gerarchia delle leggi prevalgono sul diritto interno ai Paesi: si doveva fare molto di più per tutelare l’universo femminile. In UE vige la Convenzione di Istanbul, che considera la violenza sulle donne un crimine contro l’umanità. Bisognerebbe porre rimedio a questo gap. Abbiamo assistito a cosa succede, in questi casi delicati, nei tribunali: quando i testi normativi non sono ben definiti, la tutela dei diritti umani è delegata alla buona volontà interpretativa della giurisprudenza. Per mettere al riparo e difendere le vittime servono invece leggi ben delineate, che possano essere applicate ai casi specifici di stupro. Quella del consenso è un’esclusione eclatante. Se fosse stato inserito il suo riconoscimento per definire il reato di stupro allora avremmo avuto la prima vera Legge europea contro la violenza sulle donne».

Per le donne vittime di violenza in Italia cosa cambierà?

«Le direttive europee non vincolano le leggi nazionali ad arretrare se sono formulate per garantire maggiori tutele alle vittime. Questo è il caso dell’Italia, che ha norme ancor più restrittive di quelle inserite nel testo che andrà a disciplinare la lotta alla violenza sulle donne e domestica. Il nostro codice penale si è evoluto a piccoli passi, ma siamo andati avanti: abbiamo il codice rosso, il reato di stalking, il Disegno di legge Roccella. Disporre di una direttiva che interviene su un fenomeno atroce come quello degli stupri sarebbe stato un passaggio epocale.  Avrebbe creato una cassa di risonanza che poteva fungere da prevenzione. Ciò non toglie che ovviamente gli Stati si muoveranno con le normative presenti al loro interno».

Lei afferma che la radice dei femminicidi si annida nella violenza economica

«La violenza economica è il primo atto che trasforma la donna in vittima, ma non è ancora disciplinata. Urge intervenire. Confidiamo nella legislatura attuale affinché consegni alle italiane questa definizione normativa di violenza economica, se non a titolo penale, almeno dal punto di vista civile. Ciò consentirebbe di richiedere i danni. Nel momento in cui avverrà, assicuro che i tribunali saranno inondati da azioni di richieste risarcitorie. Si tratta di una piaga sociale, estremamente diffusa: colpisce tutte senza distinzione di classe o età, nessuna è immune. Una disoccupata con più lauree e una mamma senza istruzione possono cadere nella stessa trappola: la dinamica è identica. E i femminicidi iniziano sempre tutti con un’escalation di violenza psicologica ed economica. Quest’ultima è da intendersi come la prevaricazione del potere finanziario dell’uomo sulla donna, che si estrinseca in varie declinazioni. Si regge su una dinamica semplice quanto crudele. Un ricatto poco velato: “io ti do ciò che ti serve per vivere, tu fai quello che dico altrimenti ti tolgo tutto”. Circostanze patologiche, che si verificano soprattutto all’interno di famiglie apparentemente benestanti. E’ necessaria la formazione degli avvocati in queste materia per riconoscere le situazioni di violenza e sapere inquadrare la difesa. Le violenze di genere che si consumano in modo pericoloso tra le mura di casa, cominciano in oltre il 90% dei casi con la sottomissione economica. Solo l’autonomia finanziaria rende la donna davvero libera. Per sconfiggere la violenza di genere serve lavorare sull’occupazione femminile».

Come si può agire in Paesi come l’Italia, dove la metà delle donne non lavora?

«In Italia la violenza economica è maggiormente diffusa perché il 50% delle donne non ha impiego. Abbiamo il tasso nazionale di occupazione femminile più basso d’Europa e in alcune Regioni le condizioni sono ancora più gravi: in Calabria lavora solo il 32% delle donne, mentre in media in Europa sono quasi il 70% ad avere un impiego. Chi ce l’ha nel nostro Paese è spesso costretta a lasciarlo perché non ha possibilità di conciliare lavoro e famiglia. Si trova quindi a scegliere tra maternità e carriera. A ciò si aggiunge l’accentuato gender pay gap italiano, dove le differenze salariali tra uomo e donna sono perlopiù indirette. A parità di requisiti e di data di assunzione, il dipendente di genere femminile non ha uguali avanzamenti. Per la lavoratrice la progressione di carriera generalmente rallenta con gli stop per maternità. Succede perché non viene aiutata con strumenti di welfare aziendale che rendano più elastica la gestione dei tempi di lavoro. È una dinamica estremamente diffusa in Italia, soprattutto nelle mansioni di quadro e dirigente, tant’è che queste ultime sono pochissime nel nostro Paese. È ovvio che una donna disoccupata rischia di diventare succube dell’uomo che le fa violenza economica. Ancor di più se ha figli, che spesso sono il motivo che l’ha portata a perdere il lavoro. Per spezzare questo circolo vizioso serve investire nel welfare aziendale per evitare discriminazioni alimentando la violenza di genere».

Nel 2024 è iniziata la presidenza dell’Italia nel Women 7. Come ci si sta muovendo?

«Il passaggio di delegazioni dal Giappone all’Italia è avvenuto l’11 dicembre.  In queste settimane è partito il lavoro di 80 advisors internazionali provenienti da associazioni non governative che si occupano dei diritti delle donne in 40 diversi Paesi. Sono stati selezionati per scrivere con i membri del Comitato italiano del W7, sotto la guida del tre co-chair Martina Rogato, Annamaria Tartaglia e Claudia Segre (intervistata a pag. 22 di questo numero), il documento che consegneremo alla Premier Giorgia Meloni o al Vice Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Antonio Tajani. L’atto contenente le raccomandazioni finali sarà affidato al Governo nel summit Women 7 che si svolgerà al Campidoglio a Roma l’8 e il 9 maggio 2024. In questo anno di presidenza italiana sentiamo di avere una particolare responsabilità a livello internazionale nell’agire in chiave sostenibile a tutela delle donne e delle bambine, delle fasce vulnerabili, dell’ambiente e della Pace. Anche perché siamo l’unico Stato del G7 con un Primo Ministro donna: Giorgia Meloni. Stiamo lavorando su diverse tematiche, tra cui il welfare aziendale e il gender pay gap. Il documento sarà poi presentato dal Governo italiano al G7 della Puglia in giugno. Auspichiamo che le nostre indicazioni vengano accolte per vedere avanzare pari opportunità ed empowerment femminile. Così nel 2024 si potrebbero gettare solide fondamenta per raggiungere l’obiettivo 5 dell’Agenda 2030 dell’ONU, quello sulla parità di genere».

In Europa e in Italia, 1 donna su 3 ha subito molestie e abusi. Qual è il suo augurio?

«L’8 marzo e il 25 novembre celebrano la tutela dei diritti delle donne. Ricordiamoci però che deve valere ogni giorno: da quando ci svegliamo a quando andiamo a dormire. Per lottare contro la violenza di genere, per liberare le donne, serve l’impegno di tutti: dalla società civile alle istituzioni. Il mio augurio è che ognuno si spenda per proteggerle da discriminazioni, molestie e abusi». 

Che cosa dice l’articolo 5?

1. Gli Stati membri provvedono affinché siano punite come reato le condotte intenzionali seguenti: (a) compiere atti non consensuali di penetrazione vaginale, anale o orale di natura sessuale su una donna, con qualsiasi parte del corpo o con un oggetto; (b) indurre una donna a compiere con un terzo atti non consensuali di penetrazione vaginale, anale o orale di natura sessuale, con qualsiasi parte del corpo o con un oggetto.

2. Gli Stati membri provvedono affinché per “atto non consensuale” sia inteso l’atto compiuto senza il consenso volontario della donna o senza che la donna sia in grado di esprimere una libera volontà a causa delle sue condizioni fisiche o mentali, sfruttandone l’incapacità di esprimere una libera volontà in quanto incosciente, ebbra, addormentata, malata, fisicamente lesa o disabile. 3. Il consenso deve poter essere revocato in qualsiasi momento nel corso dell’atto. L’assenza di consenso non può essere contestata sulla sola base del silenzio della donna, dell’assenza di resistenza verbale o fisica o del suo comportamento sessuale passato. ©

Articolo tratto dal numero del 1° marzo 2024 de il Bollettino. Abbonati!

📸 Credits: Canva

Giornalista professionista appassionata di geopolitica. Per Il Bollettino mi occupo di economia e sviluppo sostenibile. Dal 2005 ho lavorato per radio, web tv, quotidiani, settimanali e testate on line. Dopo la laurea magistrale in Giornalismo e Cultura Editoriale, ho studiato arabo giornalistico in Marocco. Ho collaborato a realizzare in Saharawi il documentario La sabbia negli occhi e alla stesura della seconda edizione del Libro – inchiesta sulla Statale 106. Chi è Stato?